Prologo

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Sto perdendo il contatto con la realtà.

Ho dolore, ma non so dove. È come se tutto il mio corpo fosse immerso nell'acido: non riesco a muovermi, la pelle brucia, percepisco le palpebre pesanti.

Vorrei stringere il pugno per reclamare il briciolo di forza che mi è rimasta, per dimostrare a me stessa che ho ancora il controllo del mio corpo, ma non ci riesco.

Piango.

Lo so perché sento le lacrime scorrere, perché percepisco gli occhi umidi, ma non ho sufficiente coscienza per rendermi conto di altro. Per collegare questo al fatto che a quanto pare sono viva.

Non so quanto tempo passa prima di riuscire a schiudere le labbra e a emettere un gemito strozzato. È a malapena udibile, ma per me è come un grido di guerra.

Non riesco ad aprire gli occhi, ma forse è meglio così. Non voglio vederlo, non ho la forza per incontrare i suoi occhi.

Da tempo non mi spiego come quelle iridi splendenti e bellissime possano appartenere a una persona tanto crudele, a un mostro.

Da tempo non mi spiego come occhi così belli riescano a fare così paura, a bloccare il respiro, a gelare il sangue.

Sono viva.

Inizio a recuperare la sensibilità delle punte delle dita. Piano piano, mentre recupero il controllo del mio corpo, sento di nuovo le sue percosse.

Me ne ero quasi dimenticata. Avevo scordato che lui sta cercando di uccidermi.

Vorrei urlare, ma il mio corpo sembra essersi arreso. Ho smesso di lottare da così tanto tempo che ormai penso di aver dimenticato come si faccia.

Ho permesso che la paura si annidasse in me, che mi stringesse nella sua morsa, che mi zittisse quando desideravo difendermi.

Non so più chi sono.

Forse non sono mai stata niente.

Centinaia di volte ho gridato e implorato di essere risparmiata, ma lui non mi ha ascoltata.

Centinaia di volte ho sperato che le mie urla spronassero qualcuno a intervenire, ad allontanarlo da me, ma non è mai accaduto.

Nessuno è venuto a salvarmi.

Forse merito tutto questo dolore.

Serro le palpebre, decisa a fingere che tutto questo non stia accadendo. Riesco finalmente a stringere le dita a pugno, e me lo porto vicino al cuore: batte ancora.

Sono viva.

A volte è più difficile continuare a vivere che scegliere di morire.

Se non fossi così codarda, avrei scelto la morte tanto tempo fa. L'avrei accolta, mi sarei rifugiata in lei per lasciarmi alle spalle tutta questa sofferenza.

Mai come ora ho desiderato di avere il coraggio di farlo, di smettere di sopravvivere. Ma non ho fatto altro per tutti questi anni, e ormai è diventata un abitudine.

Sento un'altra lacrima scorrere sulla guancia. Riesco finalmente a realizzare di essere immersa in una pozza del mio sangue.

Forse è arrivato il mio momento. Forse posso finalmente scivolare via in silenzio, senza farmi notare, senza avere la paura a bloccarmi.

Forse basterà chiudere gli occhi...

Forse posso davvero andarmene.

Sono imprigionata in me stessa. La mia gabbia è la mia mente, e non so come fuggire in altro modo.

Devo solo lasciarmi andare.

Quando sento delle mani delicate su di me, mi convinco di essere morta davvero.

È impossibile che qualcuno sia gentile con me.

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