5. Una stella che ha dimenticato come brillare

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Chiudo gli occhi e lascio che il vento e il dolce abbraccio di Noah mi cullino.

Mi sembra ancora surreale, ma tra le sue braccia ho trovato il mio piccolo angolo di paradiso.

Un luogo in cui poter smettere di nascondermi, in cui poter dimenticare il passato. Un posto sicuro in cui rifugiarmi.

Non ricordo l'ultima volta in cui mi sono sentita in pace, in cui ho potuto abbandonarmi e non pensare a nulla.

È passato davvero troppo tempo. Troppo tempo in cui non ho fatto altro che sopravvivere in mezzo al dolore, al pianti, ai lividi, al disgusto e alla paura.

Troppo tempo in cui mi sono nascosta e isolata e ho lasciato andare tutto ciò che era importante per me.

Ho rinunciato a tutto per qualcosa che mi ha distrutta dall'interno.

Ora mi rimangono solo frammenti, e non so ancora come ricomporli. Ma, in questo momento, con Noah... Ritrovo la speranza.

Forse ci riuscirò. Forse, se troverò il coraggio di fidarmi, Noah mi aiuterà a tornare a vivere.

 Forse, se troverò il coraggio di fidarmi, Noah mi aiuterà a tornare a vivere

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Il tempo vola e, troppo presto, cala la sera. Prendiamo le nostre cose e torniamo verso la macchina; abbiamo parlato molto poco, oggi, però ho la sensazione che siamo riusciti a conoscerci ancora meglio di quanto avessimo fatto prima d'ora.

Ho sonno e vorrei tanto appisolarmi durante il viaggio di ritorno, ma non posso: sebbene Noah si mostri molto gentile, qualcosa dentro di me mi impedisce di fidarmi del tutto.

Mentre osservo il paesaggio scorrere al nostro fianco, mi chiedo come abbia potuto farlo davvero. Mi sono lasciata toccare, abbracciare. Gli ho affidato me stessa senza quasi esitazioni.

Non c'è nulla che desidererei di più che dimenticare le mie paure, ma è impossibile: sono cicatrici indelebili sulla mia pelle, nel mio cuore, e non se ne andranno.

La paura si stringe forte a me e non mi lascia mai sola. Mi accarezza i capelli e ride di me, ride del mio tremore e delle mie lacrime. Ride e mi distrugge, mi ferisce, mi toglie il respiro; è come se, con mani gelide dalle dita lunghe e pallide, mi stringesse la gola e gioisse nel vedermi annaspare.

È come un mare nero e profondo, l'acqua è troppo alta e io mi affanno per non soccombere; nuoto con tutte le forze rimaste, mi batto e piango, la morte assume l'odore della salsedine, la sento entrarmi fin nel cervello e annebbiare tutto il resto.

Chiudo gli occhi, provo a ristabilire il controllo, ma la mia mente ha abbandonato ogni razionalità e i miei pensieri vagano, insensati e confusi. Guardo la mia mano, sta tremando in modo preoccupante ma non riesco a farla smettere. Stringo le dita a pugno e mi costringo a respirare, sebbene sia ogni secondo più difficile.

«Ecco, siamo arrivati.»

La voce di Noah mi giunge lontana, ovattata. Mi pare di non essere più qui, in questa macchina. La vista si fa sfuocata, ma mi impegno a fingere che vada tutto bene.

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