Maissa
Come facevi a dormire quando sapevi che in casa con te viveva un assassino?
Lo aveva detto, in qualche modo aveva confermato di esserlo. Certo, io non ne ero sicura al cento per cento, ma, ad ogni caso, era riuscito in qualche modo a mettermi l’ansia che sarebbe potrebbe succedere qualcosa di brutto a me o alle persone che ho intorno.
Comunque, la risposta alla domanda era che non puoi.
È impossibile, soprattutto se eri una spugna che assorbiva ogni minimo dettaglio di una conversazione e che non si lasciava sfuggire nessun significato come me; in poche parole ero una che riusciva ad angosciarsi per tutto, anche se questa volta non avevo tutti i torti.
Si vedeva lontano un miglio che era una persona fuori controllo, ma davvero sarebbe arrivato al punto di uccidere delle persone? E poi... lo aveva fatto per me?
No, era impossibile, avrà sicuramente avuto interessi personali per farlo.
Scacciai quei pensieri dalla testa e sprofondai con la testa sul cuscino lasciando cadere il libro sul mio petto.
Non avevo dormito, per l’appunto, ma avevo passato la notte a fare due cose: la prima, era stata creare una specie di barriera con libri e una sedia da posizionare davanti alla porta, perché non si sa mai; la seconda cosa che avevo fatto, era stata rileggere per l’ennesima volta uno dei miei libri preferiti, se non il mio preferito in assoluto.
Era strano che una ragazza di quasi diciott’anni avesse come comfort zone uno dei dark romance per eccellenza, eppure “Ti ritroverò, Adeline” ormai era parte di me.
Leggerlo non dico che mi faceva sentire meglio, anzi, forse il contrario, ma almeno riuscivo a dimenticare per un po’ i miei problemi.
Io vedevo Adeline un po’ come un modello di donna, una donna forte, coraggiosa, indipendente, ma con cicatrici, grandi e profonde. Alcune più casuali, altre accentuate da un amore talmente forte da renderti piccola e fragile.
Con gli occhi ancora chiusi immaginai di avere accanto il mio Zade- probabilmente ora sarei in sedia a rotelle, ma tralasciando questo sarebbe meraviglioso-.
Chissà se un giorno avrei trovato un uomo disposto ad amarmi nonostante tutto come Zade con Addie.
Riaprii gli occhi e non potei fare a meno di sorridere leggendo una delle tantissime frasi che decoravano il soffitto della mia camera.
Le due che mi ritrovavo davanti ogni volta appena sveglia la mattina erano “Never be so polite you forget your power” e “If you never bleed you’re never gonna grow”.
Sospirai pensando che avevo già sanguinato abbastanza, ed ero cresciuta fin troppo in fretta.
Ricordo ancora il giorno in cui mi ero messa in testa l’idea di rendere la mia camera unica ed ero andata io stessa a farmi stampare più di trecento frasi adesive che, con l’aiuto di una scala, avevo messo anche sul soffitto.
Guardai sulla piccola sveglia l’ora, erano le cinque e quaranta.
La riappoggiai sul comodino, ma non appena la plastica colorata toccò il freddo legno, nella mia testa si accese una lampadina, ma che dico, un lampadario.
June.
Dopo tutto ciò che era successo nelle ultime ore, non avevo avuto modo di pensare a nessuno, ma il fatto che mi ero scordata di lei mi faceva sentire terribilmente in colpa.
Mi misi a cercare freneticamente il mio telefono tra le coperte, appena lo trovai tornai a respirare, per poi accorgermi subito dopo che fosse scarico.
Lo collegai al cavo e dopo pochissimi minuti si accese.
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Rumore di una vita rotta
General Fiction«Il massimo che posso fare è mostrarti dove si trova la porta d'ingresso e mandarti via a calci in culo.» Lui accennò un ghigno. «Vediamo di sistemare delle cose io e te, Sólsetur.» © Tutti i diritti riservati