5 I could see you up against the wall with me

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Il capitolo presenta scene e argomenti che potrebbero disturbare alcuni lettori

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Maissa

«Devo aggiungere due sedie?» Ripeté, stavolta tornando a guardare noi.

Stavo ancora con gli occhi puntati nei suoi quando risposi con un “no” secco.

Forse ero risultata scortese,
ma non potevo davvero credere che fossero finiti nello stesso nostro posto.
Il cameriere si allontanò dopo aver annuito, eppure sembrava pensieroso; infatti anche lui non smise di guardare i due ragazzi all’entrata.

Io mi voltai verso la mia amica, che nonostante fosse anche lei scossa, il suo livello di rabbia non avrebbe nemmeno sfiorato di una virgola il mio.

Ero incazzata come poche volte, presi a stringermi il polso, e le dita di una mano con l’altra. Respinsi con tutta me stessa l’intenzione di portarmi il dorso della mano alla bocca.

«Ci hanno seguite?» Buttai fuori, carica di tensione.

«Cosa?! Non penso, questo posto è nuovo, ci sta che siano venuti qui», ma io sapevo che non lo pensava
davvero, ormai avevo imparato a conoscere June e capivo quando non era tranquilla.

Per esempio, in questo momento, non lo era affatto.

«June, le spalle», le feci presente.

«Oh…» Lei le rilassò immediatamente, abbassandole e muovendo leggermente il collo per sgranchirlo.

Stavo per dirle che forse aveva ragione, era un locale appena aperto, inoltre, in paese, non c’era granché da
fare, soprattutto in autunno o inverno, e che quindi si, era molto probabile che nessuno ci avesse seguite e che fosse stata semplicemente una casualità…

Certo, una del cazzo, ma pur sempre una casualità.

Avete presente quando per un breve minuto vi sembri che tutto vada bene? Che non avete fatto altro che
preoccuparvi inutilmente? Che quando ci pensi bene, ti accorgi che puoi stare tranquilla, perché tanto non
succederà nulla?

Perfetto. Non era il mio caso.

Una grande mano si schiantò sulla sedia, dietro di me e tutti i pensieri di poco fa andarono a farsi
fottere, così come quelli di June, a giudicare dalla sua espressione.

Io neanche mi voltai, poi, però, una voce che non avevo mai sentito, parlò:

«Ehy June, possiamo
parlare un momento?» A quanto pare era stato il ragazzo biondo a parlare, ma non con la solita
strafottenza di quello che era di fianco a lui.

Altair

Pregai che si mosse, che facesse qualcosa, anche urlarmi contro. In realtà però rimase apparentemente
calma e seduta al suo posto senza neanche voltarsi.

«Ehy June, possiamo parlare un momento?»

Solo a quel punto degnò di uno sguardo il mio amico, ed io in quel momento provai a captare di lei più
dettagli possibili: il naso dritto e piccolo, le labbra colorate di un marrone scuro e imbronciate, su cui si
erano formate piccole rughette, le lunghe ciglia dipinte di un blu notte, i mille orecchini che si
intravedevano al di sotto dei lunghi capelli mossi, la pelle rischiarata dai led del locale, il suo collo sottile… e
lei…

Perfetta. Lei era perfetta.

«Parla.» Lo incitò la sua amica.

«Fuori da qui, magari. E soli.»

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