5. [L] Lei odia l'hockey

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LOGAN

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LOGAN

Abigail è in ritardo di venti minuti.

Ne sono passati solo dieci da quando sono arrivato, in realtà, ma lei non poteva sapere che anche io non sarei stato puntuale.
E anche se questo margine mi concede il tempo di riprendere fiato e non far sembrare che io sia arrivato di corsa dallo stadio – cosa che ovviamente non ho fatto -, ora che sono seduto a uno dei tavoli ad aspettarla non riesco a decidere cosa sia giusto provare. 

Conoscendola così poco, non so se il suo ritardo è per mancanza di organizzazione personale o per un'emergenza improvvisa di cui non mi ha potuto avvisare.

Mi appoggio al muro dietro di me con un sospiro, lanciando uno sguardo ai miei appunti sparpagliati e pentendomi ancora una volta di non averle chiesto il numero di telefono.

Quando devo aspettare prima di lasciar perdere?

Mentre sto ancora decidendo cosa fare, una macchia arancione entra nel mio campo visivo.

Il modo in cui spicca tra tutti gli altri studenti è in netto contrasto con il suo chiaro tentativo di passare inosservata, cercando di evitare qualsiasi contatto, visivo o fisico, con chi la circonda.

L'altro giorno non ho avuto modo di osservarla bene, troppo sorpreso dalla sua apparizione improvvisa, ma ora ho il vantaggio di poterla guardare senza essere distratto dai suoi occhi.

So che ha solo un anno in meno di me, ma non so se a causa della sua statura o del modo in cui incassa le spalle come se cercasse di sparire dentro sé stessa sembra essere molto più piccola.

Anche il suo volto è scavato e pallido e come la prima volta che l'ho vista non ha in faccia nessun trucco che nasconde le sue occhiaie profonde.

Una parte di me, quella che dimentica come farsi i cazzi suoi nei momenti peggiori, si chiede se il suo pessimo rendimento scolastico non dipenda da qualcosa di diverso dalla ignoranza.

Ma prima che possa processare il pensiero, Abigail alza gli occhi e incontra i miei, forse attirata dal mio sguardo persistente.

E così, anche a distanza, vengo fatto prigioniero dalla sua tempesta. Ma è un contatto breve, perché lei abbassa di nuovo lo sguardo mentre cammina nella mia direzione.

Il mio cervello si divide tra il sollievo di tornare a poter ragionare e il dispiacere di aver perso quel contatto e nelle profondità della mia mente una voce che assomiglia molto a quella di Will, il mio ex papà assegnato, si chiede quando devo essere annoiato dall'hockey per aver sviluppato un'ossessione simile per dei semplici occhi.

Quando Abigail arriva al mio fianco, mi accorgo che i suoi capelli, raccolti in una crocchia di fortuna, sono bagnati. «Hai perso la cognizione del tempo in palestra?"»

«Come?» chiede lei, ma la sua attenzione è concentrata sulla stanza.

Ho scelto uno dei tavoli bell'angolo, che ci permettesse di stare lontani dal gruppo di studenti che stanno usando lo spazio per tutto meno che per studiare.
Dal modo in cui si sta guardando intorno, non capisco se sono loro o la posizione a infastidirla.

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