5. Quella promessa

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𝗝 𝗔 𝗡 𝗘

L'aria è lieve e il mio vestito svolazza.

«Devi farmi una promessa».

La voce che mi parla è troppo familiare, l'ho già sentita.

Siamo su un molo che affaccia su un lago, dietro di me si erge una villa bellissima e davanti a me c'è un ragazzo vestito di bianco. I capelli color caramello sono mossi dal vento, gli occhi castani che mi fissano in un modo che mi fa venire la pelle d'oca.

«Deve chiamarla Luce» dice, e io non capisco. Corrugo la fronte. Non capisco.

«Se il bambino che aspetta fosse femmina, Danielle deve chiamarla Luce».

Dischiudo le labbra, non so cosa dire.

Un tuono rompe la quiete e sovrasta la sua voce. Non la sento, non lo sento. Tremo e il temporale si scatena. Era tutto così tranquillo fino a poco fa, che sta succedendo?

Un secondo tuono mi vibra sotto le ossa e io sussulto dallo spavento. Diventa tutto così chiassoso, tutto così caotico. Un attimo prima regnava la calma, l'attimo dopo l'inferno.

«Promettimi che te ne ricorderai, Jane!» il ragazzo davanti a me urla ancora e all'ennesimo tuono, tutto si spegne.

Ingoio un singulto. Sbarro gli occhi.

Mi sveglio.

Era solo un sogno, ma il mal di testa divampa. Mi toglie il respiro. Mi sollevo sul materasso, mettendomi a sedere.

Mi scosto i capelli dal volto con il cuore che corre come un treno e il fiato corto. Mi sento disorientata, non so dove sono. Non riconosco le lenzuola sotto di me, non riconosco le pareti con la carta da parati a fiori, non riconosco la mobilia.

«Hai dormito per quasi un giorno» trasalisco. La mia testa scatta verso destra, il mio sguardo si ferma sulla ragazza seduta sulla poltrona color crema.

Ha gli occhi stanchi, il volto magro, la pelle pallida. I capelli biondi sono stretti in una treccia disordinata e quando scosta la coperta per mettersi in piedi, ingoio un respiro alla visione del suo pancione.

È in attesa.

Aspetta un bambino.

Una fitta alla tempia mi provoca uno spasmo e sono costretta a voltarmi per tenermi la testa. Il sogno che ho fatto è ancora troppo vivido nella mente, la voce che ho sentito...

Adesso ricordo perfettamente dove sono. Ricordo anche l'ultima cosa che ho fatto prima di svenire: sono andata al cimitero e ho pianto sulla lapide di una persona che credevo di non conoscere. Poi, l'ho sognata.

«Ti è salita la febbre» il materasso si piega. A fatica, riesco a sollevare le palpebre per guardare la ragazza dai capelli biondi sedersi di fronte a me. «L'hai avuta per tutta la notte, hai anche delirato. Conosco questo tipo di crisi, mi sto specializzando in neurochirurgia, sono una dottoressa» mi parla come se fosse troppo consapevole del fatto che io non la conosca.

«Sei Danielle?» il suo nome mi scappa di bocca.

Non colgo nessuna emozione, nemmeno un bagliore di stupore nei suoi occhi. Niente. Il più profondo e totale nulla.

Annuisce. Poi, si inumidisce le labbra e mi chiede: «Che cosa ti davano quando stavi male?»

Scuoto le spalle, al momento non riesco nemmeno a pensare.

«Calmanti, il più delle volte» sospiro, «non c'è una cura specifica per chi perde la memoria e, onestamente, non mi capitava di svenire da molto tempo».

JANE'S MEMORIES 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora