Violet Bloodrose ha lasciato alle spalle un passato avvelenato-- letteralmente.
Cresciuta sotto l'opprimente dominio di genitori spietati, ha sopportato anni di tossine che hanno corroso corpo e mente. E anima. Eppure, malgrado tutto, è una forza de...
[ TW del capitolo: sangue, violenza, linguaggio esplicito.]
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Violet
«Serve una mano?»
La voce di Winter squarciò il silenzio come un colpo di cannone, risonando nel piccolo locale con una chiarezza che catturò la mia attenzione. Alzai lo sguardo, trovandomela di fronte. La sua figura, di solito così vivace, mostrava ora segni di stanchezza.
I capelli biondi, normalmente lisci e impeccabili, erano intrecciati in una treccia disordinata che sembrava quasi implorare di essere liberata dalla sua prigionia. Gli occhi, sempre così impassibili e lucidi, scorrevano sulla ferita che percorreva il mio avambraccio, privi di emozione, ma non di preoccupazione.
Avevo steso il braccio sul bancone, la benda sfilacciata penzolante dal gomito, completamente inzuppata di sangue rappreso. Non era certo il luogo ideale per trattare una ferita simile, ma il mio senso di urgenza sopraffaceva ogni considerazione igienica.
L'aria pesante era intrisa dell'odore metallico del sangue, mescolato a un vago sentore di alcol e sudore, creando un'atmosfera densa e opprimente. Se qualcuno avesse assistito a questa scena, avrebbe storto il naso.
Ma il tempo stringeva, e dovevamo muoverci in fretta. La notte, infatti, non si sarebbe conclusa con la chiusura delle porte del locale. Il vero movimento sarebbe cominciato dopo, nell'area più nascosta e meno... accessibile del The Icehouse. Era diventato un rituale, una danza macabra che si ripeteva con regolarità, un giorno sì e uno no, come una sinfonia di cui conoscevo a memoria ogni nota.
Mossi lentamente la mano verso il rotolo di garza accanto a me. «Prendilo e legamelo intorno» le dissi, lasciando cadere il batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante. Sollevai il braccio, la pelle tirava attorno alla ferita, offrendole spazio per lavorare.
