Capitolo 3 ANTI ROMANTIC

39 7 0
                                    

Il sentiero, e poi il corridoio in casa, tutto diventava sempre più stretto mentre correvo, ma rimanevo bloccato sul posto, impantanato nel pavimento.
Volevo raggiungere il salotto, ma le pareti mi soffocavano, si stringevano attorno a me e non trovavo un'uscita. Poi, i lacci si sciolsero e caddi a terra. Le stanze sembravano restringersi sempre più velocemente, ogni passo pesante, come se il pavimento stesso cercasse di trattenermi ancora.
E poi la vidi. Seduta sul divano, immobile, con lo sguardo perso nel vuoto, e il suo sorriso nascosto nell'ombra di ciò che era una volta.
«Ti ho cercata ovunque. La cena è pronta?» dissi, sentendo il cuore affondare. Ma non rispose; i suoi occhi fissavano un punto lontano, come se non potesse vedermi.
«No, resta,» feci eco alla voce di un bambino.
«Non lasciarmi solo.» Le lacrime uscivano dai miei occhi e mi resi conto che quella voce era la mia. C'era così tanto rosso.
Le parole mi uscivano dalla bocca come un fiume in piena, ma lei rimaneva silenziosa, i suoi lineamenti immobili, come una fotografia sbiadita. Il silenzio era assordante. Mi avvicinai, sentendo un nodo stringersi in gola. Ogni fibra del mio essere urlava per la sua presenza, ma lei rimaneva lì, distante, come un ricordo che non potevo più toccare. Mi inginocchiai accanto a lei. La vista era offuscata. Cercavo un segno, un movimento, qualcosa che mi dicesse che non era davvero andata via.
«Ti prego, torna da me!» Ma le parole si dissolsero nell'aria prima ancora di uscire dalla mia bocca.

A inghiottirmi è il mio grido disperato che rimbomba nella stanza.
Il cuore che batte nella cassa toracica, il sudore freddo sulla pelle. La realtà mi colpì all'istante; il peso della sua assenza continuava a gravare su di me, lasciandomi il cuore su un dirupo di schegge, che mi feriscono i piedi, mentre guardo più e vedo ciò che rimane della mia anima.
Ormai frustrato dal sonno interrotto mi alzai litigando con i tentacoli delle lenzuola che mi bloccavano sul letto. Ormai non dormivo più bene da lungo tempo e quelle volte che il sonno mi prendeva alle spalle come un aggressore, gli incubi erano un bonus costante del mio squilibro emotivo.

Erano passate settimane da quel primo messaggio, e molti altri ne erano susseguiti. Da citazioni dei suoi libri preferiti a frasi di incoraggiamento, eppure l'eco alle mie parole era il nulla.
Più cercavo di guadagnare terreno nella sua vita, più venivo, balzato in dietro dalla sua indifferenza.
Aprendo il computer tornai a guardare il suo profilo instagram, e visualizzando le sue storie annullo il volume e osservo la sua mimica facciale. Un tic sul l'occhio mentre solleva il libro, la fossetta sul guancia si accentua, e il suo sorriso che si allarga ma non arriva a gli occhi. Quelli rimangono morti, spenti di ogni luce. Quello che mi perseguitava è diventata la mia ossessione e non smette di farmi sanguinare.
Quel sorriso, più scorrevo le sue storie, e più vedevo calare la sua maschera.
Perché nessuno la vede? Perché riesce a rimanere a galla e non a soffocare nelle sue bugie?
Come vorrei vederla crollare adesso, dannazione!
Dio, come godrò.
La luce dello schermo smette di illuminarmi, quando sbatto, lo schermo per chiudere la mia impazienza.
Decido che è ora di ritrovare il controllo, e so qual è l'unico modo.

La palestra era il mio rifugio nascosto, un luogo che pochi conoscevano e ancora meno frequentavano.
Le pareti, un tempo ornate scaffali pieni di trofei e medaglie appese, erano ormai coperte quasi spogli e pieni di polvere, con qualche poster sbiadito di campioni del passato.
L'odore di gomma e sudore permeava l'aria.
Le luci al neon tremolavano, gettando ombre irregolari sul pavimento di cemento.
C'erano poche attrezzature, ma tutte ben tenute, anche se l'usura era visibile. Un ring dominava al centro della stanza, un paio di sacchi da boxe consunti erano appesi allineati in un angolo della stanza vicino a una panca arrugginita.
Lasciai cadere la sacca sulla panca, il rumore attutito dal silenzio che avvolgeva quel luogo. In quel momento, il tempo rallentò e l'aria si caricò di una tensione palpabile. Preparai le mani, consapevole della loro vulnerabilità. Sotto i guanti, indossai con cura le fasce, avvolgendo ogni dito e polso con un gesto rituale.
Questa protezione non era solo una barriera fisica: era un modo per salvaguardare il carpo e il metacarpo, mentre il sudore che si accumulava veniva trattenuto, mantenendo le mani fresche e asciutte. Ogni avvolgimento era un passo verso la concentrazione, un modo per ancorarmi al presente.
In quel silenzio denso, il battito del mio cuore si sincronizzò con il respiro.
Era solo suono dei miei pugni, che colpivano il sacco a rompere la quiete. Ogni colpo era un'esplosione di energia, un tentativo di liberare la tensione accumulata. Il ritmo era incessante, un'alternanza di jab, cross, ganci e montanti che mi lasciava senza fiato. Il sudore scorreva lungo la mia schiena, e i muscoli urlavano per la fatica, ma continuavo a spingere, a cercare quel limite che sembrava non arrivare mai.
Mentre il mio corpo si muoveva quasi automaticamente, la mia mente era un vortice di pensieri. C'erano frammenti di idee e piani che si intrecciavano, cercando di trovare un ordine. Ogni colpo al sacco sembrava mettere a fuoco un piano, solo per vederlo sfumare un attimo dopo. C'era un solo modo, un'idea malsana che si delineava lentamente, sempre più limpida.
Cambiando posizione in maniera rapida, sferrai un jab veloce, il pugno sinistro che si estendeva in avanti lungo la traiettoria del mio sguardo, colpendo il sacco con un suono secco. Era come se stessi colpendo ogni dolore trattenuto, ogni volto che sorride. La mia mano tornava rapidamente indietro, pronta per il prossimo movimento, e nella mia mente quell'idea folle ormai era radicata.

Seguii con un cross potente, il pugno destro che si fiondava in avanti, ruotando il corpo per dare più slancio al colpo. Ogni rotazione era un atto di liberazione, un modo per scaricare l'odio che mi aveva avvelenato, e mi rendeva lucido. Sento la resistenza del sacco, ma è come se stessi abbattendo un muro fatto di piume e non di sabbia, un passo più vicino alla mia vendetta. Concludo la combinazione con un montante, il pugno sinistro che sale dal basso verso l'alto, colpendo il sacco all'apice del mio sfogo, un colpo che racchiude la mia ultima decisione.
Con il cuore che batteva forte e il respiro affannoso, la mia mente disegnava il finale del mio piano. E senza rendermene conto, dopo una doccia veloce e un rientro a casa altrettanto repentino, mi ritrovai davanti al computer.
La rinnovata calma strisciava quieta tra le mie dita, mentre facevo ricerche e guardavo una live in cui era stata intervistata poco tempo prima, come miglior nuovo talento in ascesa nel mondo degli influencer.
Ogni informazione, ogni video che guardavo, era come una scheggia che si infilava al suo posto, e trovavo conforto nel pensare a come la sua vita potesse diventare un gioco pericoloso. Tutto grazie a lei. La gente la adorava, la acclama, e mentre io, dall'ombra, mi nutrivo di rancore, riflettevo su quanto l'amore potesse diventare un'arma a doppio taglio.
Mentre mi rendo conto che, se voglio arrivare al mio appuntamento in orario, devo sistemarmi in fretta, mi trovo davanti allo specchio della mia cabina armadio. Mi preparo con cura, consapevole dell'importanza dell'appuntamento di lavoro che mi attende.
Indosso un abito tre pezzi gessato, il tessuto mi scivola perfettamente sulle mie spalle larghe, conferendomi un'aria di eleganza e autorità. La giacca si adatta come una seconda pelle, mentre il panciotto abbraccia il mio torso, aggiungendo un tocco di raffinatezza.
Con movimenti misurati, abbottono la camicia bianca sotto il panciotto, assicurandomi che ogni dettaglio sia impeccabile. Mi avvicino allo specchio per sistemare i miei capelli castani, raccogliendoli in un codino ordinato. È il mio segno: si tratta di affari, niente deve rimanere fuori dal mio controllo. Mentre finisco di guardarmi un'ultima volta, sento che un rituale così semplice mi regala ulteriore quiete.

C'è una determinazione silenziosa nei miei occhi, e senza rifletterci ulteriormente, mentre scendo dall'ascensore del quinto piano del mio palazzo estraggo il telefono dalla tasca interna della giacca, digito il codice di sblocco e si apre direttamente sull'app di TikTok.
Compongo un messaggio, un unico attacco mirato, un colpo diretto al suo debole ego. "Sei così sicura di essere amata, ma cosa accadrà quando la maschera cadrà?"
Premo invio, e un brivido di soddisfazione mi percorre. Il rancore si trasforma in potere e la mia vendetta prende nuova forma. Quando le porte dell'ascensore si chiudono dietro di me, senza accorgermene, mi tocco le labbra e, con aria stupita, mi rendo conto di star sorridendo.

«Ciò che ami di più sarà la tua più grande debolezza; non vedo l'ora di scoprire quanto possa essere dolce l'amarezza sul tuo volto,» mi ritrovo a sussurrare con voce roca, con un'eccitazione scottante che non provavo da tempo.

————

C'è poco che possa aggiungere!
ANTI ROMANTIC È ...non so cos'è. Onesta.

Quando ho scritto questo capitolo, mi trovavo in un momento buio. Provavo un dolore, causato da una situazione su cui non avevo alcun controllo. Era come se un veleno avvolgesse tutto ciò che mi circondava. Credo di non essere riuscito a tirare fuori tutto ciò che sentivo, perché si impara a convivere con queste emozioni.
Il dolore, l'indifferenza, la gelosia e il rancore si mescolavano e avevo bisogno di un modo per liberarmi. Quando scegliamo di rimanere attivi sui social media, accumuliamo tutto questo, e prima o poi scoppia. Alcuni di noi lo fanno attraverso video, altri con frecciatine, e altri ancora con il silenzio. Anche quest'ultimo è una forma di scelta. Non sempre giustificata, ma reale. È una verità che tutti noi affrontiamo quando ci immergiamo nelle piattaforme social.
La vita ci presenta sfide in ogni spazio momento e spesso ci sentiamo soli. È importante ricordare che ogni emozione, anche quelle più oscure, fanno parte di noi. È essenziale dare voce a ciò che sentiamo, non per cercare approvazione, ma per trovare una forma di liberazione e di comprensione sempre e comunque prima verso noi stessi. La mia esperienza, sebbene dolorosa, mi ha dato pace.

Spero che troviate un po di pace. ❤️‍🩹
La stessa che auguro a anti romantic.

ANTI-ROMANTIC di Alessandra VertenziDove le storie prendono vita. Scoprilo ora