Cambiamenti

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Toccai la maniglia della porta, osservandola come se stessi guardando un mostro. Lentamente, la aprii. Sentivo il cigolio del legno. Rendeva il tutto ancora più inquietante.
I miei genitori erano lì, che dormivano, ricoperti da un velo di sangue. I due peluche che mi erano stati regalati osservavano la scena, seduti sullo schienale del letto. In mezzo ad essi, un biglietto: Ora quei bastardi non si intrometteranno più tra noi due!
Richiusi il biglietto, rimanendo immobile per qualche minuto a fissare i miei genitori, che ormai non si sarebbero più svegliati, neanche se avessi fatto tutto il rumore del mondo.
Con le lacrime agli occhi e il biglietto appoggiato sul cuore, dentro di me mi sentivo sollevata. Irrefrenabilmente, una parola uscì dalla mia bocca insieme ad un sospiro: "Grazie..." Ora ero libera. Libera dalle persone che mi facevano soffrire, libera dai doveri di figlia e di studentessa.
Chiamai la polizia, che arrivò dopo qualche ora. Portarono via i corpi e mi dissero di stare attenta. Questo é tutto quello che fecero. Forse per loro era sembrato anche troppo.
Il mio più grande problema in quel momento era trovare un lavoro. La soluzione fu andare a fare la barista nel bar vicino alla piazza. Non era molto lontano e con le poche persone che abitano il mio paese non avrei dovuto parlare con tanta gente. Accettarono la mia richiesta, ed iniziai a lavorare in quel luogo dimenticato a dio.
Per un breve periodo di tempo, non ricevetti più regali.
I due peluche però erano ancora lì, ad osservarmi, su quel maledetto letto.
Regolarmente, andavo a trovare la mia ex professoressa in ospedale. Sembrava si stesse riprendendo in fretta.
Una sera, sfinita da quei pochi e fastidiosi clienti abituali, non cenai neanche. Quando entrai in camera mia e mi tolsi i vestiti, realizzai che avevo ancora addosso la collana che quella persona mi aveva regalato. Non l'avevo mai tolta se non per fare la doccia. Ormai ero troppo abituata ad indossarla. Mi guardai intorno e notai una scatolina sul tappeto della camera. La aprii e, senza stupirmi, dentro ci trovai un biglietto: cosa c'è che non va? Ti faccio troppi pochi regali? Perché sei così tristemente bella?
Per una volta, gli risposi: sono stanca, ma la gente intorno a me non lo capisce. Vorrei solamente qualcuno che mi comprendesse.
Lasciai fuori in terrazza il biglietto, poi chiusi tutte le finestre. Infine andai a dormire.
Il mattino seguente, quando mi svegliai, ero seduta e legata a una sedia, con una benda sugli occhi.
C'era qualcuno nella stanza con me.
Iniziai a dimenarmi cercando di slegarmi, ma fu inutile. Quei nodi non volevano saperne di sciogliersi. Qualcuno delicatamente mi accarezzò il viso, facendomi bloccare. Poi mi diede un bacio in fronte. Sentivo che stava giocando con i miei capelli, pettinandoli e acconciandoli in qualche strano modo. Quando smise, sentii che stava rovistando nei cassetti della cucina. Prese qualcosa e si mise di fronte a me. Poi, con un tono di voce calmo e basso, disse:
"Apri la bocca...dovrai pur mangiare qualcosa, no? La colazione è un pasto importante". Mi prese il volto con una mano e con l'altra portò sulle mie labbra quello che sembrava essere un semplice biscotto. Aprii lentamente la bocca, mordendo qualunque cosa mi avesse dato. Era veramente solo un biscotto. Finii di mangiarlo, e a quel punto mi slegò.
Disse che non avrei potuto assolutamente togliermi la benda dagli occhi se non lo avesse detto lui.
Mi condusse al bagno, dove mi fece lavare i denti. Conoscevo bene casa mia, quindi non ebbi troppi problemi ad orientarmi anche con gli occhi bendati. Quando riposi lo spazzolino al suo posto, il ragazzo misterioso mi disse di girarmi. Poi mi mise le mani sui fianchi, sfiorandomi le labbra con le sue, senza baciarmi. Mettendogli le mani sul volto, cercai di tastarlo per capire come potesse essere.
Aveva i capelli lunghi fino alle spalle, mossi.
Gli zigomi ben definiti, la pelle morbida. Non sembrava avesse peli sul volto. Era come toccare il viso di un bambino. Oltre a ciò potei dedurre che fosse parecchio più alto di me, più o meno 25 centimetri.
In quel momento, chiesi sussurrando: " Sei stato tu ad ucciderli?"
"Cosa?"
"Non fare finta di niente, lo sai benissimo".
"Sì...ma ti ho protetta, lo capisci? Dovevo farlo. Tu e la tua voce siete le cose più belle e dolci che io abbia mai visto o sentito. Non posso permettere che vi sia inferta ferita alcuna".
Portai il suo volto vicino al mio, accarezzandogli i capelli. Non ci potevo credere, stavo "coccolando" un serial killer.
Era paura che mi spingeva a fare ciò o, in realtà, amore?
Timidamente, le nostre labbra si toccarono. Una timidezza che, però, scomparve dopo poco.
Era la prima volta che baciavo qualcuno. Credo che anche per lui fosse lo stesso.
Impacciatamente, ma con determinazione, la sua lingua fece irruzione nella mia bocca, provocandomi un brivido lungo la schiena.
Lo bloccai, rendendomi conto che quello che stavo facendo era incredibilmente sbagliato.
Con voce delusa, domandò: "Cosa c'è che non va? Sembrava piacerti. Ho fatto qualcosa di sbagliato?"
"No, non...tu hai ucciso delle persone. Hai ucciso la mia professoressa, i MIEI genitori!"
"Ti ho già detto perché l'ho fatto. Loro non ti trattavano come meritavi e io li ho trattati come loro si meritavano".
"Uccidere rimane comunque un gesto violento e ingiustificato. Dovrei andar subito dalla polizia e avvertirli".
"E perché? Credi che faranno qualcosa? Vivi in un paesino di merda dove tutti pensano solo e unicamente a se stessi".
"Ma..."
"Ssh". Mi zittì. Attirandomi a se riprese a baciarmi. In tutto quel casino, non ero ancora riuscita a vederlo in faccia. Questa cosa mi preoccupava e mi dava parecchio fastidio.
Lo spinsi via di scatto e affermai: "O ti fai vedere, oppure te ne vai!"
Passò qualche secondo. Non sentii più alcun suono. Mi tolsi le bende e non vidi nessuno. Diamine! Se ne doveva essere andato.
Sistemai la cucina, dove aveva lasciato un vero disastro, e quando finii mi sedetti nella sedia sulla quale mi aveva legata poco prima. Presi tra le mani la collana che avevo ricevuto in regalo e pensai tra me e me -chissà se la indossava-.
Era un cazzo di maniaco omicida, quello era sicuro, ma allo stesso tempo si comportava in maniera così dannatamente romantica! Mi sentivo impazzire. Perché? Perché tutta quell'attrazione nei suoi confronti? Per la prima volta, la mia mente mi diceva che non serviva un perché.
Sentivo ancora le sue labbra sulle mie e le sue mani sui miei fianchi. Avevo la pelle d'oca.
Perché non voleva che lo vedessi? Cos'era che lo intimoriva tanto da spingerlo a bendarmi pur di non farsi vedere? Questi pensieri relativamente profondi venivano troncati da quell'estremamente piacevole sensazione delle sue labbra. Odiavo il ricordo di quella sensazione, ma allo stesso tempo non potevo farne a meno.
Quella sera stessa, un altro regalo comparve nella mia camera da letto. Aprendolo, ci trovai all'interno un cuore. Andando per logica, era un altro pezzo della mia vecchia insegnante. Ora, finalmente, avevo la certezza che fosse morta. Questa volta, invece di buttarlo nel fuoco, seppellii il regalo in giardino. Per quanto mi riguardasse, era un segno di gratitudine. Quando finii di scavare la buca, la torcia si fulminò e le ultime luci del sole smisero di illuminare il celo. Un rumore proveniente da dietro un albero attirò la mia attenzione. Una sagoma maschile, alta circa un metro e settantacinque avanzò di qualche passo da dietro il tronco. Non riuscivo a vedere la faccia, quindi non capii subito di chi si trattasse.

OUT OF THE ROUTINEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora