Un finto incidente

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Avevo paura. Molta paura. Qualcuno riusciva ad entrare in camera mia.
Accartocciai il bigliettino e lo buttai via. Non volevo saperne più nulla.
Cercando di distrarmi feci i compiti per tutta la settimana, compresi quelli per il lunedì successivo. Quando finalmente mi bloccai l'orologio segnava le 19:32. Potevo benissimo sentire i miei genitori che cenavano insieme e discutevano di lavoro. Invece io ero sola, spaventata e probabilmente in pericolo. Tanto, anche se avessi gridato aiuto, nessuno mi avrebbe ascoltata. Non lo hanno mai fatto.
Guardando fuori dalla portafinestra, non vidi nulla. Il buio aveva già coperto il cielo e le stelle non erano abbastanza luminose per illuminare l'oscurità notturna con la luna coperta dalle nuvole. Come al solito, chiusi le porte e le finestre e andai a dormire. Non cenai, non avevo fame.
Il mattino seguente mi svegliai particolarmente presto, avendo il tempo di fare anche un'abbondante colazione. Nel tragitto da casa a scuola incontrai dei gatti, cosa che ultimamente era abbastanza rara. Il primo era grigio, dal pelo estremamente lungo. Mi si avvicinò a fatica, ma poi si buttò a pancia all'aria facendosi accarezzare volentieri. Il secondo, invece, era arancione e molto meno timido. Subito mi corse incontro e si strusciò sulle mie gambe. Accarezzai anche lui. Come il primo, anche il secondo era molto morbido. Il terzo e ultimo invece, era un gatto tigrato, con sfumature marrone grigiastre. Provai a coccolarlo, ma subito iniziò a soffiare e mi graffiò una mano. Andai con la mano sanguinante a scuola, dove venni medicata dalla bidella. Qualche cerotto, nulla di più.
Andai al secondo piano e percorsi il corridoio per arrivare nella mia classe, mi sedetti al mio banco e tirai fuori le mie cose. Qualcuno a quel punto mi si avvicinò. Era Michael, un mio compagno di classe. "Ehi, regina delle nevi, sono sicuro che tu centri qualcosa con la scomparsa della nostra prof, solo che non ho prove sufficienti per incolparti!"
Regina delle nevi? Perché quel nomignolo? Era per il mio aspetto? Per i miei capelli bianchi? Per la mia pelle? In effetti aveva un senso...
Mise una mano sui miei libri e continuò: "Senti, o sputi il rospo oppure te lo faccio sputare io e, fidati, saprei come fare". Poi lanciò i miei libri per terra. In quel momento entrò la supplente, che lo rimproverò. Era la prima volta che qualcuno prendeva le mie difese. Ci si sentiva capiti. Facemmo 2 ore di italiano, che furono particolarmente pesanti, ma per fortuna suonò la campanella della ricreazione. Io, a differenza di tutti gli altri che uscirono per prendere una boccata d'aria, rimasi in classe a studiare per la verifica dell'ora successiva. Stavo leggendo l'ultimo paragrafo quando sentii un enorme botto. Corsi a vedere cos'era successo e vidi la supplente alla fine delle scale, contorcersi dal dolore. Doveva essere caduta. O, mi correggo, conoscendo i miei compagni, qualcuno doveva averla spinta. Aveva le ossa di una mano completamente distrutte e l'osso dell'altro avambraccio stava fuoriuscendo. Doveva aver cercato di attutire la caduta. Le bidelle chiamarono subito i soccorsi, che arrivarono con i loro tempi. La portarono via ed io rimasi di nuovo da sola. Ora ero di nuovo indifesa. La mia classe, non avendo più un'insegnante, venne rimandata a casa.
Quel giorno, per fortuna, non trovai nessun regalo nella mia stanza.
Come sempre, i miei non mi chiesero neanche perché fossi tornata a casa in anticipo. Potevo morire, che a loro non sarebbe fregato niente. Anzi, gli avrebbe dato fastidio dovermi pagare il funerale.
Il giorno dopo presi una bicicletta e, invece di andare a scuola, corsi all'ospedale dov'era ricoverata la supplente. Chiedendo qualche informazione in giro riuscii a trovare la stanza in cui si trovava la donna. Era una piccola ma accogliente stanzetta alla fine di un lungo corridoio. Bussai alla porta, ed una voce femminile mi disse di accomodarmi. Entrai. Quando la professoressa mi vide scoppiò in lacrime. Non poteva credere che qualcuno la fosse andata a trovare. Lei, che come me non aveva nessuno, non si sarebbe mai aspettata delle visite, specialmente da uno dei suoi studenti.
Aveva le braccia completamente ingessate e quando doveva mangiare aveva bisogno di chiamare un'infermiera che la imboccasse.
Le dissi che avrebbe dovuto denunciare gli studenti che l'avevano fatta cadere, ma lei mi rispose sorridendo: "È stato solo uno stupido incidente, sono sicura che non l'abbiano fatto apposta". In quel momento sbottai: "Se non lo avessero fatto apposta ora sarebbero qui a chiederle scusa e a piangere ai suoi piedi chiedendo di essere perdonati per l'atto disumano che hanno compiuto! A loro non frega niente! Non gliene è mai fregato!"
Sorrise di nuovo e replicò: "È solamente stato un incidente, nulla di più. Non voglio rovinare la vita a dei ragazzini denunciandoli".
Mi risedetti sulla sedia vicino al lettino dove era sdraiata la prof e sospirai delusa. Aveva l'occasione di vendicarsi, allora...perché non lo faceva? Cos'era che le impediva di agire? Paura? Bontà?
Osservai la stanza. Pur essendo piccola, non era male. Mi ricordava molto camera mia. Camera mia...una volta era l'unico posto in cui mi sentivo protetta. Ora, invece, ho paura anche solo al pensiero di entrarci...e se, un giorno, aperta la porta di camera mia, trovassi al suo interno la persona che mi aveva fatto i regali? Al solo pensiero, mi venivano i brividi.
Un'infermiera arrivò avvertendomi che il tempo delle visite era finito, invitandomi ad uscire dalla stanza. Andai a riprendere la bici e, mentre stavo per tornare a casa, vidi un gruppo di ragazzi a me familiare. Erano dei miei compagni di scuola. Con loro, c'era anche Michael. Avrei potuto riconoscere i suoi capelli marrone rossastri da chilometri.
Mi si avvicinarono, lasciando avanzare Michael tra di loro: "Guarda guarda chi si vede!"Esclamò. Poi continuò: "Sei venuta a trovare la tua adorata supplente o a farti ricoverare per disturbi mentali, palla di neve?"
Rimasi impassibile. Se una persona era tanto stupida non si sarebbe neanche meritata una risposta. Prendendomi per la mandibola mi strattonò in avanti facendomi avvicinare al suo volto, infine concluse: "Beh, tu non vuoi dirci perché sei qui, ma noi invece sì. Siamo qui per finire il lavoro che abbino iniziato a scuola". Dopodiché mi lanciò a terra. Per fortuna lasciarono stare la mia bici, altrimenti avrei fatto fatica a tornare a casa. Sperando che non dicessero sul serio, ripresi la mia bicicletta e tronai a casa. Il tragitto del ritorno fu più difficile di quello dell'andata, pur essendo il medesimo.
Prima di tornare a casa mi fermai nella piccola piazza del mio paesino, andando a sedermi su una panchina vicino alla fontana.
Mi guardai intorno, notando un bar a pochi metri da lì, così decisi di andarci. Presi un caffè e qualcosa da mangiare, poi tornai alla fontana. Ero sicura che quel bar non ci fosse stato qualche settimana prima, o forse ero solo io che non uscivo mai.
In questo periodo dell'anno non c'erano mai i pesci nella fontana, perché faceva troppo freddo, venivano messi solo in primavera.
Osservando attentamente la piazza, notai che era meno noiosa del solito. Affascinata da alcuni alberi, iniziai a scattare delle foto.
Vedevo la gente passare, guardarmi, storcere il naso e proseguire per il proprio cammino.
Forse pensavano che fossi pazza.
Lentamente, mi avviai verso il parco, dove m'imbattei in un'altalena. L'altalena...che bei ricordi.
Mi ci sedetti sopra ed iniziai a dondolare. Non avrei dovuto, era una cosa stupida, ormai avevo 18 anni. Eppure, qualcosa mi impediva di non farlo. Mentre dondolavo ogni mia preoccupazione svanì e un sospiro di sollievo mi uscì spontaneamente. Quella bellissima sensazione fu interrotta da una goccia di pioggia che mi cadde sul viso. Una, due, tre. Pian piano iniziò a piovere ed io dovetti trovare un riparo. Entrai nella casetta di legno, una delle attrazioni meno utilizzate del parco, mentre aspettavo che smettesse di piovere. Ma il tempo sembrava odiarmi. Stetti ben tre ore ferma ad aspettare che il tempo migliorasse. Quando il cielo si calmò, mi avviai verso casa. La bici era fradicia, così dovetti andare a piedi trascinandola per il manubrio.
Mentre camminavo, non potei fare a meno di pensare a quello che la supplente definiva "solo uno stupido incidente".  Il tonfo, poi il sangue ed infine le ossa in bella vista della prof mi avevano segnata ma, allo stesso tempo, non mi avevano fatto alcun effetto. Forse, era proprio il fatto che non mi avesse estorto alcuna emozione che mi preoccupava.
Guardai attentamente le mie mani, poi mi toccai l'orecchio. Inconsciamente, guardai e toccai proprio le parti che mi erano state regalate. Che regali assurdi...chiunque me li avesse fatti era matto, non c'era dubbio. Tuttavia, ero così curiosa di scoprire chi si celasse dietro quei doni. Strinsi la collana, come se desiderassi che la persona che mi spiava venisse allo scoperto e mi spiegasse tutto quello che stava succedendo, ma non accadde nulla.
Un momento di solitudine mi pervase, rendendomi inspiegabilmente triste.
Non incontrai nessuno nella strada verso casa, ma forse era meglio così. Tanto, se avessi incontrato qualcuno, avrebbe solo peggiorato la situazione. O sbaglio?
Finalmente, dopo una lunga giornata, ero di nuovo a casa.

OUT OF THE ROUTINEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora