Balliamo?

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Chi si meritava cosa? Perché c'era del sangue sulle rose?
Le portai in casa, lavandole. Che odio. Ora dovevo pulire anche le rose per colpa di quel tipo. Finito di pulirle, le misi insieme alle altre centinaia che mi erano state regalate. Purtroppo, quella nota di rosso persisteva.
Quella sera, dopo alcuni mesi, lo strano ragazzo tornò a farmi visita. A dividerci, c'era solo una porta. Quella di camera mia, ovviamente. Aveva esplicitamente detto che non avrei potuto aprirla, altrimenti ci sarebbero state delle conseguenze. Lui era all'esterno della stanza, con la mano che bloccava il manico della porta, per non farmela aprire. Mi disse, con tono soddisfatto: "Ho fatto una cosa per te".
"C-cosa?" Chiesi, spaventata dalla risposta che avrebbe potuto darmi.
"Ha presente Michael? Ecco, non dovrai più preoccuparti di lui. D'ora in poi non sarà più un problema".
Me lo disse con un tono così convinto, così contento, che sembrava un cagnolino felice di aver obbedito agli ordini del suo padrone. Aveva compiuto un gesto orribile ma, da come lo presentava, sembrava una cosa adorabile.
Appoggiai la mano destra e la fronte sulla porta, dicendo: "A sì? Ora appenderanno i manifesti della sua scomparsa, lo sai? Ti cercheranno".
"Sono bravo ad apparire invisibile agli occhi degli altri".
"Ti capisco, anche io".
Sentii i suoi passi dileguarsi, mentre io rimanevo ferma a guardare la porta di camera mia. Cosa mi bloccava dall'aprirla e vedere chi fosse lo strano ragazzo? Nulla...eppure non mi ero mai permessa di disubbidirgli. Era come se, in fondo, non volessi vederlo in faccia. Credevo che, se lo avessi fatto, me ne sarei pentita.
Come avevo intuito, il giorno dopo il mio piccolo paesino venne tempestato da volantini che denunciavano la scomparsa di Michael.
Non che alla polizia importasse qualcosa, erano troppo occupati a poltrire.
La mia ex professoressa, i miei genitori, la signora Margaret, Michael...tutte le persone che avevano qualche rilevanza nella mia vita se ne erano andate. Il che era un bene, ma anche un male. L'unica cosa che persisteva era quel ragazzo. Da mesi venivo tormentata da lui e dai sui regali, i suoi omicidi e i suoi momenti di follia. Non c'è la facevo più. Volevo solo essere lasciata in pace. Fosse stato più romantico, più normale, sarebbe stato meglio. Ma no, lui doveva essere un pazzo omicida! Non me ne va bene una! Io e la mia maledettissima voglia di cantare! Se non fosse stato per il mio amore nei confronti della musica, in questo momento tutto sarebbe rimasto uguale...uguale...forse, ora che ci penso, non sarebbe stato poi così bello. Anche se non è che fosse cambiato poi molto. Ero passata da una routine ad un'altra. Nulla di più, nulla di meno. Ogni giorno mi svegliavo, andavo a lavoro, tornavo poi a casa, mi cambiavo e andavo a dormire. Sarebbe bastato sostituire la parola lavoro con scuola per tornare al principio.
Cosa sarebbe successo se in quell'occasione non avessi cantato? Cosa mi sarebbe successo se avessi buttato via i peluche che mi aveva regalato? Cosa sarebbe accaduto se i miei genitori non li avessero buttati? E se Michael e la professoressa fossero stati gentili con me?
Forse tutto questo non sarebbe mai successo. O, almeno, non a me. Anche se, dopotutto, forse è meglio così. Quel ragazzo, quel matto, era l'unica nota di colore che spiccava all'interno del quadro in bianco e nero della mia vita. Riusciva in qualche modo a farmi  capire che si può uscire dalla routine, la si può distruggere, facendo cose impensabili, solo per il gusto di farle.
Quello che io ritenevo una cosa sovrumana, per lui era la normalità. Non credevo esistessero persone del genere o, almeno, non nel mio paesino.
Un giorno, trovai un biglietto particolarmente decorato sul tavolo in cucina. Aprendolo, notai che era un invito a una sottospecie di festa: Mi hai chiesto di essere più romantico, allora lo sarò. Domenica, verso le 17:00, vieni nella vecchia palestra, quella ai confini di questo lurido paesino. Lì ci sarà una sorpresa per te. Vestiti normalmente, nell'edificio troverai gli abiti che ho preparato per te. Ah, comunque...buon lavoro! Ti aspetto domenica, non fare brutti scherzi, o mi arrabbierò!
Avrei pregato che quel giorno non arrivasse mai! Perché io? Perché proprio a me? Ora cosa voleva? Che diavolo aveva in mente?
Sperando cambiasse idea, procedetti la mia settimana normalmente.
Mercoledì, verso tardo pomeriggio, un nuovo cliente si presentò al bar. Ordinò un caffè, e si sedette ad un tavolo. Continuava a fissarmi, distogliendo lo sguardo solo quando mi giravo dalla sua parte. Quando venne alla cassa per pagare il conto, si presentò: "Ciao, sono Luke...ehm e...e tu sei...?"
"Lilith".
"Bel nome..."
"Prima mi stavi fissando, perché? È perché sono albina?"
"N-no...cioè...in realtà sì. Non si vedono tutti i giorni persone come te".
"Scusa, è un complimento o un insulto?"
"Un complimento...tranquilla".
"Ma...quanti anni ha?"
"16, perché?"
"Ero curiosa. Non ti ho mai visto qui. Ti sei appena trasferito?"
"Già..."
"Vai, torna a casa. È tardi, ti staranno aspettando. Ci ha messo un bel po' per bere un caffè".
"S-sì, arrivederci".
"Ciao".
Che strano tipo...anche se forse era uno dei più normali che io avevo incontrato. I suoi capelli erano dello stesso colore del ragazzo psicopatico, ma li aveva più corti. Aveva gli occhi grigio-azzurri e delle labbra quasi femminili. Era un bel ragazzino, ma non era il mio tipo. Non mi sono mai piaciuti quelli più piccoli. Oltre ciò, era minorenne. Anche se mi fosse piaciuto, non avrei potuto stare insieme a lui. Ma perché stavo pensando a quelle cose?
Il fine settimana si stava avvicinando, la paura aumentava. Poi perché proprio nella vecchia palestra? Eravamo solo in due no? Non ci serviva così tanto spazio, giusto? Cosa voleva farmi?
Sabato la pressione continuava ad aumentare, non mi rendevo neanche più conto di cosa stavo facendo. Forse mi stavo preoccupando troppo. Dopotutto, aveva giurato che non mi avrebbe mai fatto del male. Quella sera, mi venne donato un tulipano rosso. Perché non più una rosa bianca? Incuriosita, andai a cercare nel linguaggio dei fiori cosa significasse. -dichiarazione d'amore- perché? Le centinaia di rose bianche non bastavano come dichiarazione? Effettivamente voleva essere certo che mi rendessi conto dei suoi sentimenti nei miei confronti.
Andai a dormire. Feci fatica ad addormentarmi, riuscendo ad appisolarmi solo verso mezzanotte. Il fatidico giorno, mi svegliai alle 9 del mattino.
Mentre pranzavo, sentivo che qualcuno mi osservava. Verso le 4 e mezza mi diressi verso la palestra con la mia fidata bici. L'unica cosa che dall'inizio di quest'orribile vicenda non mi aveva mai abbandonata.
Arrivata all'ingresso, trovai la porta aperta con un bigliettino sopra: dopo che sei entrata, chiudila a chiave. La trovi già nella serratura.
Entrai, per poi chiudere la porta a chiave, come mi era stato detto. Lì, un'altro biglietto. Vai negli spogliatoi, ho preparato dei vestiti per te. Entrai all'interno dello spogliatoio femminile, dove trovai su una panchina una scatola di cartone. La aprii e rimasi perplessa dai vestiti che mi trovai davanti. C'erano un top nero a forma di X e una gonna lunga rossa a vita bassa. Accompagnati da tutto ciò c'erano un rossetto rosso, alcuni trucchi e delle parigine nere. Non c'era ombra di scarpe. A che diavolo di gioco perverso voleva giocare?
Indossai ciò che mi era stato dato, mi truccai e piegai gli abiti con cui ero arrivata. Non ero abituata a quegl'indumenti, mi sentivo nuda.
Andai nella palestra. Era completamente vuota, non c'era più nulla. Tranne lui. Riuscivo a vederlo a malapena per le poche luci accese, ma era lì. Vestito elegante, con una maschera veneziana che gli copriva completamente il volto. C'era della musica classica di sottofondo, che allentava un minimo la tensione. La tentazione di scappare era alta, ma se lo avessi fatto poi si sarebbe sicuramente arrabbiato. L'unica cosa che potevo fare era stare al suo gioco. Un gioco che, a mio parere, non sarebbe finito bene. "Ho due regalini per te". Disse ridacchiando. "Vieni a vedere".
Mi mise davanti a due grandi pacchi regalo, imponendomi di aprirli. Al loro interno c'erano le teste mozzate della mia ex professoressa e di Michael. Quello scenario mi stava per far perdere i sensi, ma il ragazzo affermò: "Sono stato romantico, ho fatto come fanno i principi azzurri nelle favole. Ti ho salvata dai due mostri. In questo caso però non si trattava di draghi, bensì di due teste di cazzo che ti trattavano di merda. Sono stato bravo?"
"S-sì...s-s-sei s-tato bravo..."
Perché avevo detto quelle parole? No che non era stato bravo! Aveva ucciso delle persone, tra cui i miei genitori! Per che diavolo di motivo gli avevo detto ciò?
In quel momento portò le sue mani sui miei fianchi ed io, istintivamente, portai le mie sulle sue spalle. A quel punto mi chiese: "Balliamo?"

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