Capitolo 7

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La mattina seguente, a dispetto delle mie speranze, in effetti mi svegliai.
Con una notevole delusione mi preparai ad affrontare la mia prima giornata lavorativa da “morta vivente”. Misi in atto gli accorgimenti che avevo elaborato la sera precedente, ossia trucco pesante, occhiali scuri e maniche lunghe per coprire le ipostasi, ossia le macchie della pelle tipiche nei cadaveri, che nel frattempo avevano fatto le loro prime comparse.

Dopodiché mi soffermai sull’aspetto cibo. Stabilii che il fatto che io non avessi fame era coerente con la mia nuova condizione di “non morta”. Pertanto decisi semplicemente di smettere di nutrirmi. Mi limitai a bere qualcosa giacché, curiosamente, avevo ancora una certa sete.

A quel punto non mi rimase che farmi coraggio e uscire.
Arrivai in ufficio alle otto spaccate. Puntualissima come sempre. Notai gli sguardi incuriositi dei miei colleghi e decisi di segare le loro domande sul nascere, raccontando la storia che mi ero preparata in merito a una brutta infiammazione agli occhi per la quale mi era stato prescritto l’uso di occhiali scuri a tempo indeterminato.

Nessuno ebbe il coraggio di chiedermi altro, o di rappresentarmi il suo stupore in merito al mio trucco ben più accentuato rispetto al solito.
La maggior parte di loro si limitò a dei cenni di assenso, tranne uno, come immaginavo. George era un collega all’incirca della mia età. Palesemente omosessuale si teneva in disparte da tutti, a causa della sua timidezza, tranne che da me. Probabilmente il fatto che io stessa me ne stessi nel mio mondo, l’aveva spinto a cercare la mia amicizia.
E io, devo ammettere, accettai volentieri di avere almeno una persona cui dare confidenza. Chiamiamolo “istinto di sopravvivenza sociale”.
Dunque, quella mattina fu lui lo scoglio più grande.

<<Buon giorno Giulia!>> mi disse accostandosi alla mia scrivania con espressione maliziosa negli occhi. <<Allora, non vorrai mica raccontare anche al tuo amico George la balla dell’infezione vero? Avanti, dimmi che hai combinato ieri sera per avere quella faccia e quegli occhialoni. Tra parentesi, mia cara, sono anche fuori moda!>>
Rimasi alcuni istanti in silenzio, guardandolo, incerta sul da farsi.
Se gli avessi detto la verità e gli avessi mostrato i miei occhi, probabilmente avrebbe iniziato a strillare come una gallina strozzata. Dall’altro lato mi dispiaceva mentire al mio unico amico. Decisi di seguire una strada intermedia, sperando che accettasse la mia risposta.
<<Ascolta George, hai ragione>> gli dissi sottovoce. <<Non ho detto la verità agli altri. Ma in questo momento non sono pronta a parlarne nemmeno con te. Se sei mio amico ti chiedo di rispettare il mio stato d’animo. Quando me la sentirò, ti racconterò tutto.>>

La sua espressione passò dallo stupore alle delusione. Poi mi parlò cercando di atteggiarsi a saggio confessore. <<Quando vorrai, amica mia, saprai dove trovarmi. Fino a quel momento ti aspetterò in silenzio.>>

Pensai di essermela cavata con poco.
<<Ma sappi che non penso di poter tenere la mia curiosità a bada per più di due o tre giorni!>> mi disse mentre si allontanava da me con passo leggermente sculettante.

Come non detto. Compresi di aver semplicemente ottenuto una tregua.
Il resto della giornata trascorse monotono come sempre, salvo qualche incursione di George, che mi chiese se per caso avessi cambiato idea e mi fossi decisa a raccontargli tutto.

Ai miei dinieghi se ne andò sempre rapido come era comparso.
Cercai di immergermi nel lavoro per allontanare i miei pensieri. Avrei voluto che le cinque non arrivassero mai. Ma arrivarono.

La giornata lavorativa era finita, e io ero di nuovo libera di vivere la mia prigionia.

GIULIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora