Yasmine.

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"La felicità non risiede nelle cose, ma nel modo in cui le usiamo."

E non è forse vero che l'errore è proprio questo? Usare questa vita come se potesse essere programmata su un'immagine non nostra, scritta da qualcuno che parla di noi e di come dovremmo vivere, senza nemmeno avere la nostra calligrafia. Componiamo ricordi di una realtà che avremmo desiderato essere diversa, eppure, tra questo acceso desiderio e lo sbiadito percorso tracciato da altri, noi scegliamo proprio il secondo. Seppur più debole, seppur più grigio, sembrerebbe essere l'unica alternativa per vivere in sicurezza.
Ma la sicurezza di cosa? Di un'illusione che sembrerebbe dolce, a detta di qualcuno, ma così amara per te stesso? E quanto costa essere codardi, accettare l'uniformità solo per la paura che la libertà possa essere così lontana da essa da emarginarci? E allora sopravvivi, vai avanti, mastichi finché non va giù da solo, perché sputarlo, questo aspro vivere assecondando aspettative altrui, porterebbe alla paura di non avere nient'altro da mandare giù. E se invece prendessimo coraggio e ci rendessimo conto che non c'è bisogno di un boccone amaro per poter vivere? E se bastasse semplicemente accettare il fatto che la felicità è così astratta da non dover permettere a nessuno di disegnarla per noi? Forse solo questo ci permetterebbe di ritrovare il gusto dolce, delicato e saziante dell'esistenza.
Democrito lo sapeva bene di cosa parlava quando pronunciò quella frase; ma avrà poi capito come usarla nel modo giusto? La vita, intendo. L'avrà usata abbastanza?
E tu, la stai spremendo, questa vita? Stai scrivendo questa storia che parla di te? O sei semplicemente un personaggio che compare in quella degli altri?
Io sinceramente credo proprio di non aver colto nulla di questa esistenza.
Esisto. Chiaramente esito. Ma chi sono?
Io non mi conosco.

Eppure passo le giornate in compagnia di me stessa, riempio le ore del mio respiro, mi confido continuamente con la mia mente, provo emozioni con la mia anima, assaporo con la mia lingua. È una convivenza, la mia, intendo; tra il mio corpo e la mia essenza. Eppure, dopo tutti questi anni, io non mi conosco.
Che amica poco fedele sono per me stessa, allora? Nonostante gli anni, non sono ancora capace di riconoscere quest'anima.
Che mi perdoni il mio spirito per non essermi impegnata abbastanza da scavarlo a fondo, però forse non è stata colpa mia.
Se viaggiavo in profondità per fare amicizia con la vera me, finiva che poi dovevo scappare, perché qualcuno mi diceva: "stalle alla larga, ha idee strane." Poi ci riprovavo, perché io davvero volevo stringerle la mano, ma ecco di nuovo arrivare quella voce pronta a dirmi: "Ma non la vedi che non è normale?" E allora scappavo un'altra volta, perché non potevo permetterle di rendermi diversa da quello che mi circondava. Poi un giorno, non so perché, ho deciso di tentare l'impossibile: spegnere la voce della mia coscienza che mi voleva uniforme e farmi abbindolare dal caldo abbraccio di quella parte di me che tanto ci tenevo a conoscere. E allora spensi il cervello, chiusi gli occhi e mi accolsi: ero io.
E allora sarà stata colpa mia, accidenti, se camminavo fianco a fianco a me medesima senza nemmeno stringerle la mano.
Le ho osservato gli occhi; erano pieni di sogni. Poi l'ho ascoltata parlare; era piena di progetti. Quando le ho poggiato la mano sul cuore, quasi riuscivo a sentire tutte le emozioni che provava; cavolo, quante ne aveva. Poi mi sono resa conto che non camminava più al mio fianco, come facevamo sempre (seppur ignorandola). No, da quando avevo deciso di capire chi era e stringerle la mano, eravamo entrambe ferme. Lei non parlava, semplicemente mi guardava e io capivo tutto, sentivo tutto. Ma se finalmente mi ero accorta di lei, allora perché non voleva più camminare alla mia destra?
Poi, d'un colpo, il genio: ero io, che per scrutarla da vicino, mi ci ero piazzata davanti. A quel punto lei si è fermata, perché la stavo ostacolando. Io, che ero così sicura di guardarmi già abbastanza tempo davanti allo specchio al mattino, mi ero invece bloccata davanti alla mia vera interiorità che mai nessuno specchio era riuscito a riflettere. Io, che volevo proseguire affiancandoci, mi ci ero invece piantata davanti, bloccando il suo, il mio cammino.
Allora vedi che la colpa è solo mia? Non della testa, non degli altri: sono io, signori, che ho posto ostacoli al mio cammino.
Grazie al cielo però, a un certo punto l'ho capito! A tal punto le ho sorriso a quella dolce anima, un po' dolorante, devo ammettere, ma pura. Le ho ripreso la mano e da quel punto abbiamo camminato fianco a fianco, di nuovo, ma questa volta eravamo unite dalla consapevolezza della nostra unione.
Le ho chiesto scusa, lo giuro. Per tutte quelle volte che le ho sterrato il cammino senza rendermene conto, per tutte quelle volte che ho ascoltato la voce che mi intimava di starle lontana, e di tutte quelle volte che, seppur vicina, io non l'ho percepita. E io vi assicuro che da quel giorno la mia vita è cambiata.
Quando, finalmente, ho capito chi fossi e da quanto tempo lo stavo ignorando, ho iniziato a vivere.
Non posso però mentire e inventarmi di averlo capito al volo e da sola; sarebbe una grossa bugia. Però posso provare a raccontare il tragitto, con la speranza che ci siano abbastanza parole per poter descrivere ogni singola emozione vissuta. E se le parole non saranno abbastanza, allora vorrà dire che mescolerò le lettere e ne formerò di nuove.

Fight to feel - Lotta per sentirti viva.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora