Capitolo 5

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Finalmente posso godermi la tranquillità di un venerdì pomeriggio, spegnendo lo schermo del mio pc e lasciando il mio posto di lavoro prima che il lunedì mi piombi di nuovo addosso come un macigno.

La mia borsa di pelle nera mi cinge la spalla destra con il suo manico, mentre porto una sigaretta alle labbra per assaporare quel fumo tanto nocivo quanto, per me, indispensabile. Inalo a fondo, riempiendo i polmoni di particelle di tabacco, mentre passeggio tra le strade semi-vuote di Chicago. La tempesta è alle porte, e immagino che la maggior parte delle persone sia già rintanata nelle proprie case, al sicuro e al caldo, mentre la bufera in arrivo si prepara a ricoprire ogni angolo della città con un manto bianco che contrasta con i colori freddi e artificiali degli edifici.

Svolto un angolo, ed è quasi surreale vedere questo posto così spoglio, disintossicato dalla solita folla che lo attraversa senza nemmeno notare ciò che lo circonda, vicolo dopo vicolo. Una mano infilata in tasca, l'altra stringe la fine della mia Marlboro, che intanto si consuma lentamente. Assorbo l'odore pungente del fumo che mi circonda, i miei passi sono lenti: cerco di godermi quella strana quiete. Alla mia destra ci sono i soliti caffè, di solito affollati e rumorosi, ora quasi desolati. I dipendenti stanno portando dentro i tavolini esterni, salvandoli da un inevitabile disastro.

Proprio accanto a me, un anziano signore è su una piccola scala di ferro, intento a rimuovere con cura gli addobbi natalizi dalle vetrine. Prende una ghirlanda e la ripone delicatamente in una scatola, insieme ad altre decorazioni: luci artificiali, fiori finti, e così via.

Lo supero, lasciandomi alle spalle l'ultimo isolato prima di arrivare a destinazione. Mi fermo un attimo sul bordo del marciapiede, inspiro un ultimo tiro dalla sigaretta ormai ridotta al minimo, e mentre espello il fumo, getto il mozzicone in un cestino lì vicino. Lo schiaccio con decisione, spegnendolo del tutto. Un'ultima folata di vento mi travolge, gelandomi più di quanto io già non lo sia. Sento la pelle del mio naso tendersi per il freddo, probabilmente rossa e pronta a screpolarsi.

Accelerando il passo, mi dirigo verso una grande porta verde, di quelle tagliafuoco da usare in caso di emergenza. Premo la maniglia e una lama di luce illumina per un istante il mio viso mentre entro e mi chiudo il gelo alle spalle. Finalmente, almeno per un po', sono al riparo dal freddo.

Il locale è caldo e silenzioso. Le pareti di un giallo pallido, probabilmente scolorito dagli anni, sono intervallate da grandi finestroni da cui filtra la luce di un cielo plumbeo, quasi nero, come se stesse divorando il sole per riscuotere un debito antico.

"Yas!" echeggia una voce familiare dall'altra parte del grande spazio. "Vieni, riscaldati!"

Alzo lo sguardo verso la riccia che mi osserva da lontano. Indossa un maglioncino bianco che le copre il collo, mentre il suo corpo è letteralmente incollato al termosifone fisso al muro. Sta cercando calore, e non posso biasimarla: anch'io ho ancora il naso praticamente ibernato. Mi tolgo cappotto e borsa, appendendoli all'appendiabiti accanto alla porta. Accanto al mio, ci sono già un cappotto azzurro polvere, uno nero e un giubbotto imbottito verde scuro, di quelli super caldi.

"Fammi spazio, riccia," dico con la voce tremante per il freddo. Saltello verso di lei, fino a incollarmi anch'io contro il termosifone, lasciando che quel calore mi avvolga tutto il corpo.

Ci poggio le mani su, spingo contro gambe e pancia, e rivolgo il viso verso di Isabel. Mi avvicino e le lascio un bacio sulla guancia. Non avrei dovuto farlo, considerando che sono ancora incazzata con lei.

Lei e Ben hanno passato tutta la notte scorsa a pregarmi al telefono di non essere più arrabbiata per lunedì scorso, giurando che stavano organizzando qualcosa per il mio compleanno e non volevano che io lo scoprissi.

Fight to feel - Lotta per sentirti viva.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora