prologo

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<<Non andartene, per favore>> gridava mia madre, aggrappata al braccio di papà, che trascinava l'ultima valigia fuori casa. Io e Cameron eravamo accanto alle culle di Dakota e Miky, quando avevamo sentito le grida provenire dal salotto, e mi ero subito precipitata al piano di sotto. Nascosta dietro un muro, tenevo le mani strette per non fare rumore.

<<Non voglio più rimanere a Camden, Ileen>> sentì dire da mio padre, e mi lasciò interdetta. Cosa voleva dire che non voleva rimanere più a Camden? Mio papà voleva andarsene? Senza di noi? Per sempre?

<<Abbiamo quattro figli, cazzo!>> strinsi gli occhi, convinta che, così, quelle parole potessero colpirmi di meno. <<Dici a quella troia che la uccido! Giuro, che la uccido!>>

<<Non posso più vivere con te. Sei un'alcolizzata, non vedi? Sei ubriaca anche ora!>> anche papà alzò il tono della voce, e io mi domandai se fosse tutto un giochetto. Uno scherzo per spaventarci, perché ci stavano sicuramente riuscendo.

<<E allora perché te ne vai con un'altra?!>> ora la mamma piangeva, e non avevo idea di come reagire. Avrei voluto correre lì ed abbracciarla, ma quando era così alterata era meglio non avvicinarsi... <<Non mi hai amato, e non hai mai amato neanche i nostri figli!>>

<<No, Ileen. Io non ti ho mai amato, ma adoro i miei figli>> proseguì con voce cauta, <<provvederò a...>>

<<Sei un figlio di puttana!>> sentì il rumore di una bottiglia di birra schiantarsi sulla parete, e rimasi immobile finché non smisi di tremare come una foglia. La mamma aveva ormai scorticato tutti i muri, ma io e Cameron li avevamo resi più colorati per coprire i graffi e la carta da parati recisa.

Continuai a sentire schianti, cose che volavano, e io sperai non arrivassero a me. Papà diceva che ero già molto carina, e non doveva importarmene della cicatrice che portavo sulla guancia da un paio d'anni, quando appoggiai il viso sul divano per coricarmi, ma delle schegge mi si conficcarono nella pelle. D'altra parte, non mi piaceva per niente e volevo non ricapitasse.

<<Hey, Kaia!>> sentì un sussurro alle mie spalle, che mi fece sobbalzare. Era Connor, il fratello della mia migliore amica Chelsea. <<Vieni con me. Non preoccuparti.>>

Mi prese la mano e sgattaiolammo insieme nel retro. Mi fece nascondere dietro un albero dove, ormai, le voci di mamma e papà erano lontane e non udibili. C'era pace lì fuori, differentemente dalla nostra casa, che era sempre un po' caotica.

Ma a me piaceva molto, perché c'era il papà, che era un bravo cuoco, e la mamma che, nonostante certe volte fosse un pochettino scorbutica, ogni tanto ci lasciava abbracciarla e io ne ero molto felice. Cameron mi faceva sempre ridere, e ora avevo anche due nuovi fratellini che avrei accudito io stessa.

Mi chiedevo, però, se dopo questo sarebbe rimasto tutto uguale. Non capivo cosa papà volesse dire. Andava al lavoro e non tornava a casa? Oppure, si stava preparando per una lunga gita fuori? Forse, la mamma avrebbe sempre voluto averlo vicino a lui ed era questo il motivo della sua rabbia.

<<Ho sentito un forte baccano, e sono entrato a controllare>> mi aveva detto Connor, aggiustandosi i riccioli d'oro. Mi sembravaun principe azzurro, ma mi ero sempre vergognata di chiedergli se potesse essere il mio, anche solo per giocare. <<Cosa è successo?>>

<<Il papà sta andando via>> alzai le spalle, <<la mamma è agitata...>>

<<Hai visto qualche bottiglia?>>

<<Ne aveva una di birra in mano, ma l'ha scagliata contro papà. Menomale che non mi ha preso>> ridacchiai felice, accarezzandomi la cicatrice sul volto che nascondevo sempre dietro una ciocca di capelli, <<si calmerà sicuramente.>>

<<È meglio se per i prossimi giorni tu, Cameron, Dakota e Miky veniste a dormire a casa nostra. Abbiamo un letto gonfiabile.>>

<<Perché?>> domandai curiosa, <<la mamma ora ha bisogno di noi! Qualche abbraccio la calmerà.>>

<<Meglio di no, Kaia>> sospirò Connor – aveva un'aria da adulto, nonostante avesse solamente nove anni e non era chissà quanto più grande di me – e disse: <<So che non ti piace sentirtelo dire, ma Ileen ha dei problemi di autocontrollo e... potrebbe farvi male.>>

<<Intendi dire che d'ora in poi non sarà più la nostra mamma?>> quel discorso provocò in me molta tristezza, e qualche lacrima rigò il mio viso. <<Lei è cattiva, ma non sempre... certe volte.>>

<<Meglio che veniate da noi. Non fatevi acchiappare, Kaia. Per nessuna ragione al mondo.>>

<<Ma se in casa non c'è più papà, né la mamma... Rimaniamo io e Cam, Dakota e Miky. Come faremo? Papà dice sempre che casa nostra è buia, ma insieme riusciamo a risplendere. Se se ne va...>>

Lui si sfilò dal polso un braccialetto – lo invidiavo, perché ne aveva sempre moltissimi e io non ne avevo mai avuto uno – e infilò al mio un piccolo cordoncino in cui eravamo stati infilati dei cubicini, ognuno riportante una lettera. Sun outside.

<<Guarda sempre oltre, Kaia. Potrebbe anche essere buio, ma basta buttare un occhio fuori. Non è tutto nero.>>

way out Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora