Capitolo 3

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Mey tirò più forte le redini un attimo prima di spuntare dalla vegetazione. Il sole la inondò del suo calore freddo, il vento le sferzò i lunghi capelli.
La giumenta bianca si arrestò di colpo, a pochi passi dal margine del declivio, spingendo con gli zoccoli alcuni sassolini che rotolarono giù per il pendio.
Mey guardò in basso. Non temeva l'altezza, anzi le piaceva il senso di vuoto che provava ammirandone il rischio; era un vuoto più colmo di sensazioni di quanto potesse essere il resto della sua vita.
Si trovava in cima a una collina; poteva vedere la foresta che la circondava, in basso e tutt'intorno, immensa e scura. Il sole grigio lanciava deboli raggi sulle chiome nere, donando loro dei pallidi riflessi argentati.
Da quell'altura poteva vedere tutto: il fiume che scorreva in mezzo alla foresta, alcune miglia più avanti, il ponte dei castori più a ovest e i resti del villaggio di Elber, dov'erano diretti. In lontananza si vedeva il castello, sulla sommità di un'alta e ampia collina, con le sue torri alte e massicce, quelle più snelle slanciate verso la volta cupa del cielo, e le quasi indistinte mura merlate. Da quella distanza i dettagli sembravano confondersi, ma Mey li ricordava bene. Per questo poteva vedere; era tutto impresso nella sua mente.
Il paesaggio appariva freddo, quasi tetro, su uno sfondo pallido di primo mattino che richiamava l'inverno ostinato; ma, a suo modo, la principessa lo trovava affascinante, perché ammirarlo da lassù era tutt'altra cosa. Aveva un sapore di libertà.
Un rumore di zoccoli annunciò che il suo seguito la stava raggiungendo, ma non si mosse. Voleva stare ancora un po' a osservare quella veduta, che sapeva di nord, di primavera ancora tarda e di casa.
Inspirò a fondo l'aria gelida, tirando le labbra in un sorriso forzato. Sì, era tornata.



«Quanto manca al castello, ser Rudolf?»
Il cavaliere si avvicinò, in sella al suo palafreno grigio fumo. Sulle sue labbra sottili apparve un sorriso.
A mano a mano che si avvicinavano al castello, il suo umore migliorava ed era sempre più disposto a fare conversazione; così Mey cercava di sfruttare questo a suo vantaggio per carpirgli, di tanto in tanto, qualche informazione.
«Dovremmo arrivare entro il sole del pranzo, principessa» rispose ser Rudolf.
Mey sospirò: «Sembrava più vicino. Dalla collina si vedeva così bene.»
«Vero, Altezza, ma non siamo ancora arrivati. Comunque entreremo tra non molto nei confini del castello.»
La principessa si guardò attorno. Cominciavano già a vedersi i primi villaggi: poche casupole di legno immerse tra la vegetazione. Erano i resti del villaggio che aveva potuto notare dalla collina: Elber, un tempo una magnifica città sulla collina, che si estendeva lungo tutta la foresta.
Indicò un gruppo di persone intento ad abbattere un albero: «Quella gente. Sono anche loro parte del regno del nord?»
Il cavaliere annuì: «Sì, Altezza, ma sono sotto la giurisdizione di lord Rud.»
Mey si accigliò: «Chi è Lord Rud? Non ho mai sentito il suo nome.»
«Non mi sorprende, mia signora. Quello dei Rud è un umile castello al di là di questo bosco. Egli non sa nemmeno che esistano questi villaggi.»
«Come? Non si prende cura della sua gente?»
Ser Rudolf scosse la testa: «Anni fa, quando ancora regnava tuo padre, lord Rud cedette queste terre ai Kart in cambio di denaro. I Kart inizialmente accettarono, poi quando vennero qua si accorsero che era tutto un inganno. Non c'è niente in queste terre che valga nemmeno un pezzo di rame, figurarsi dell'argento.»
«Perciò questa gente è...»
«...Abbandonata. Sì.»
Mey non nascose la sua perplessità. «Come può mio fratello permettere questo?»
Il cavaliere distolse lo sguardo da lei e lo puntò all'orizzonte, dove la stradina di terra battuta si srotolava come un serpente in mezzo agli alberi.
«Ser, rispondi.»
Mey lo vide prendere un profondo respiro. Sembrava stesse per dire qualcosa di sgradevole. «Principessa, il re non sa nulla di quello che succede qui. Questi villaggi fanno parte del regno, ma non sono sotto la sua giurisdizione.»
«Perciò lui non può fare niente.» Ora cominciava a capire.
Stavano oltrepassando delle case che parevano ancora più povere. Qualche bambino visibilmente denutrito camminava qua e là, ma erano l'unica traccia di vita che potesse dare un po' di speranza.
«Non è possibile che queste persone debbano vivere così. Perché nessuno glielo dice? È giusto che il re sappia, anche se non può farci nulla.» Si rivolse al cavaliere, che storse il naso.
«Con tutto rispetto, Altezza, chi pensi voglia assumersi una responsabilità così grande?»
Mey stava per ribattere che poteva farlo lui, ma un sibilo vicino catturò la sua attenzione. Accanto a lei, ser Rudolf si mise in allerta. Si guardò intorno, poi si volse indietro: «Tutti fermi!» ordinò ai soldati della scorta.
«Cosa succede?» Mey non vedeva nulla di strano.
«Quel sibilo mia signora...» Il cavaliere non riuscì a finire la frase. Lei vide il palafreno grigio crollare a terra e ser Rudolf seguirlo con un gemito di sorpresa.
Urla risuonarono da dietro la colonna:
«Frecce!»
«Tutti giù!»
«Le armi! Brandire le armi!»
Mey tirò con uno strattone le redini, cercando di trattenere la sua giumenta, che scalciava terrorizzata. La cavalla voleva andarsene, doveva sentire la sua paura, così Mey tentò di calmarsi nonostante le frecce che sibilavano tutt'intorno.
Tenne la testa bassa, sperando che non la colpissero, ma presto fu difficile mantenere il controllo delle redini. «Sta buona, Isil, ti prego sta buona.» Carezzò la sua criniera abbandonando il volto sul suo collo; sentiva un cupo terrore possederla, le mani le tremavano. Mey si rese conto che presto avrebbe perso il controllo.
Non sapeva cosa fare. Cercando di allontanarsi, correva il rischio di rimanere ferita da una freccia. Restando lì...
«Principessa!» Una voce urlò a poca distanza da lei. Mey si guardò intorno, la testa ancora abbassata. Vide una mano che si alzava dalla polvere, sollevata dalla marea di zoccoli in tumulto.
«Ser Rudolf!» Il cavaliere riemerse da sotto il suo cavallo. Era sporco di sangue sulla tunica; doveva essere ferito. Meinit incrociò il suo sguardo preoccupato.
«Devi andartene, principessa» le urlò, mentre afferrava le redini di un cavallo imbizzarrito. «Fuggi! Mettiti in salvo!»
Lei si guardò intorno; i soldati combattevano contro un nemico invisibile, probabilmente nascosto tra gli alberi attorno a loro. Le frecce volavano, come una tagliente pioggia letale, e spaventavano i cavalli che finivano per disarcionare i loro cavalieri. Molti, infatti, erano a terra, gemevano e c'era sangue ovunque.
Mey cercò di nuovo con lo sguardo ser Rudolf ma non lo vide. Cosa doveva fare? Per un attimo si sentì bloccata, come congelata. Non riusciva nemmeno a muovere le mani per tenere le redini. Non poteva ragionare lucidamente, era come in preda al panico.
Poi vide un cavallo venire verso di lei. Le appariva sfocato ma distinse il cavaliere in sella. «Ser Nolan» sussurrò. Si riscosse e il sibilo delle frecce, unito al cozzare delle lame che fendeva l'aria, penetrò nella sua testa.
Nolan Bastian veniva verso di lei. Stava arrivando a salvarla. In quel momento una freccia sibilò sopra la sua testa. Mey si abbassò, le sue labbra andarono a sfiorare la ruvida criniera di Isil.
Sollevò lo sguardo, con il cuore che le batteva forte nel petto e vide con sgomento che Nolan era stato colpito. La freccia spuntava dalla sua spalla e lui era accasciato sul cavallo. Le sfuggì un grido soffocato e proprio allora la sua giumenta iniziò a correre.
Riuscì a riprendere il controllo della sua cavalcatura non appena i rumori dell'imboscata sparirono dietro di lei.
Isil si arrestò dolcemente, diminuendo in modo graduale l'andatura, sbuffando dalle narici e schiumando per lo sforzo. Mey percepiva ancora il nervosismo e la paura nei suoi muscoli, contratti sotto la sella.
La condusse a lato del sentiero e la giumenta, esausta, calò la testa e si mise a brucare lentamente i ciuffi d'erba.

L'undicesimo ReDove le storie prendono vita. Scoprilo ora