Capitolo 7

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Il cavaliere si allontanava zoppicando sul fango, barcollante a causa della ferita al braccio che doveva provocargli forti dolori; l'aveva notato subito dal suo sguardo, che celava con un'espressione melensa lo sforzo immane di non dare a vedere il dolore dinanzi al suo re.
Magett rimase a guardarlo mentre entrava insieme alla principessa dentro una capanna. Ancora non riusciva a credere che quella fanciulla che lo seguiva dappresso, minuta e sporca, con i capelli aggrovigliati e gli occhi arrossati, fosse sua sorella Meinit, colei che doveva divenire la sua erede.
Aveva immaginato una lady dal carattere temerario e la lingua tagliente, con lunghi capelli d'oro velati dietro a una retina blu di quelle che tutte le nobili portavano. Immaginava di incontrare una ragazza sveglia, vivace e non una timida fanciulla che arrossiva a ogni sguardo e non osava nemmeno rivolgergli la parola. Non poteva credere che quella creatura all'apparenza tanto fragile fosse davvero sua sorella, che ricordava sorridente e risoluta nei suoi scintillanti abiti di lustrini. Tuttavia poco prima, nonostante l'imbarazzo che sembrava dominarla, Meinit lo aveva contraddetto appoggiando la proposta di ser Rudolf di chiedere asilo agli elberiani. Forse dopotutto non era così ingenua e nemmeno timida come appariva.
«Mio signore, dovremo muoverci. Molto presto il sole tramonterà» disse Aaron distogliendolo dai suoi pensieri.
«Sì hai ragione Aaron. Andiamo.»
Sua sorella ormai era entrata con Rudolf Ruyn, rimanere lì avvinghiato in riflessioni inconcludenti non lo avrebbe portato da nessuna parte. Si avviarono verso il villaggio, a piedi per non destare sospetti o spaventare la gente di Elber. Non era conveniente che un re andasse a piedi come la comune plebaglia, ma per lui non aveva alcuna importanza e anzi questo gli permetteva di non inimicarsi subito quella gente mostrandosi arrogante in sella a un purosangue bianco, quando loro invece possedevano solo poche casette di paglia e lagno marcito.
Aaron camminava un passo dietro di lui, i suoi stivali battevano contro la terra sollevando schizzi di fango da quanto forte pestava; osservandolo di sottecchi Magett vide che la sua mano destra era sul pomo della spada che portava al fianco, pronta a scattare in caso di pericolo.
«Non la userai quella, non è vero Aaron?»
«Cosa?» L'altro fu colto di sorpresa dalla domanda. «No, certo che no Maestà, se non sarà necessario.»
«Non lo sarà, ne sono sicuro. In ogni caso fa attenzione a non mostrarti troppo aggressivo.»
«Maestà, è mio dovere proteggerti.»
«Lo so Aaron, ma gli elberiani non si
fideranno di noi se non gli dimostreremo che veniamo in pace.»
«Come vuoi mio signore, farò come tu dici.» Aaron tolse la mano dalla spada, anche se a Magett non sfuggì il suo sguardo contrariato. «Spero solo che tu non sia in pericolo.»
«Non lo sono» disse sollevando il mantello, mostrando la spada e i suoi pugnali che portava appesi al cinturone. «Sono anch'io un cavaliere o lo stavi forse dimenticando?»
Aaron rise, si scambiarono uno sguardo d'intesa. Per un attimo tornò ad essere come pochi anni prima, quando si allenavano insieme in finti tornei con le lance di legno e si rincorrevano nei prati di Kart con le spade in pugno e il sorriso in volto. Ma ormai era tutto diverso, il loro futuro era cambiato, così come i loro doveri e non potevano fare altro che rispettarli.
Intanto erano arrivati al villaggio, che distava solo di una trentina di passi, poco più, dalle tre capanne bruciate. Le casupole di Elber spuntavano come funghi contorti e deformi dall'erba alta della foresta, all'apparenza talmente malmesse che sarebbero potute cadere dopo una sola sferzata di vento. Eppure a Elber le raffiche non mancavano, ma le casette erano ancora tutte lì, e ora li osservavano con i loro occhi tondi e annacquati dalla miseria. A Magett sembrarono larghe crepe sulle sformate pareti di legno, in attesa del prossimo viandante di passaggio per divorare la sua anima e vivere in eterno.
Si rivolse ad Aaron con un lieve cenno della testa, indicò la casa che tra tutte spiccava per la sua grandezza. Comunque molto piccola, era grande quasi quanto due delle capanne normali.
Andarono verso quella direzione, ignorando gli sguardi delle donne che li scrutavano dall'uscio delle loro case. Magett rivolse loro solo uno sguardo, curioso di notare qualcosa che potesse dargli un segno della loro fedeltà, ma già sapeva che non l'avrebbe trovato in quel luogo. Le donne, infatti, lo fissavano con odio, le guance cascanti come vecchie, avevano i capelli sciolti e luridi che ricadevano sulle spalle gracili e indossavano stracci che nella capitale non portavano nemmeno i garzoni e i servi più umili. Qualche bimbo era attaccato alle gonne della madre; alcuni indicavano i due sconosciuti con curiosità, anche se nei loro occhi si leggeva la paura, altri invece si nascondevano incitati dalle madri che sussurravano loro di rientrare in casa. I bambini erano nudi, sottili come giunchi, nelle loro pance gonfie erano evidenti i segni della malnutrizione.
Magett si chiese se avessero del cibo, ma scansò quella domanda rimproverandosi che in fondo non era un problema suo, giacché quella gente non era sotto la sua giurisdizione e inoltre aveva un altro compito da assolvere. Doveva trovare un riparo per sé e per i suoi uomini.
La capanna era davanti a loro, nientemeno che un rudere sbilenco di legno e paglia con il tetto in parte mancante. Senza che Magett dicesse nulla Aaron si fece avanti e bussò un paio di volte con la mano stretta in un grosso pugno. Lui gli si affiancò; non era tempo per le titubanze, doveva solo convincerli a concedere loro un rifugio per una notte, perché mai dovevano rifiutare se era pronto a elargire generosi compensi?
La porta della capanna si aprì scricchiolando e ne emerse una figura ammantata di oscurità. «Chi siete? Che cosa volete?» tuonò una voce brusca. «Non vogliamo estranei qui, né tantomeno uomini del re.»
Magett fece segno ad Aaron di tacere e si fece avanti: «Io non sono un uomo del re e vorrei solo sapere se siete il capo di questo villaggio.»
«E chi siete allora?» chiese l'uomo ignorando la sua domanda.
«Sono il re» disse Magett. Per rafforzare la sua affermazione sollevò una mano, si tolse il guanto e gli mostrò l'anello che portava al dito, recante il simbolo reale dei Krown.
L'uomo ammutolì, ma non diede segno di voler ammorbidire la sua ostilità. «Non m'importa chi siete, noi cittadini di Elber non vogliamo problemi con la corona ma nemmeno averne a che fare. Non centriamo nulla con il vostro Regno nordico, perciò andatevene e lasciateci in pace.»
Magett stava per prendere di nuovo la parola, quando un'altra figura spuntò dall'uscio. Era una donna dall'aspetto fragile e minuta quanto Meinit; tra le braccia teneva un fagotto che piangeva, avvolto in stracci unti di una sostanza che pareva sangue. La donna fissò i suoi occhi vuoti su di lui, dicendo: «Siete davvero voi il re? Pensavamo foste più vecchio.»
Intuendo ciò che lei pensava Magett rispose: «Mio padre, re Kigan, è morto più di due anni fa, non vi è giunta notizia?»
«Perciò voi siete suo figlio.» La donna si rivolse all'uomo che probabilmente era il marito. «Caro, non pensi che questo giovane ci stia affermando la verità? Se davvero lui fosse il re...»
«Taci donna! Non dire scemenze, questo ragazzino non può essere il re e comunque non m'importa. Quello che è successo non ci riguarda.»
«Perciò voi lo sapete. Dell'imboscata tesa al drappello che scortava mia sorella la principessa.»
«Certo, ci è stato detto da quel cavaliere, l'uomo con il braccio ferito e con la faccia da nobile arrogante » Magett si scambiò uno sguardo con Aaron. Dalla sua espressione capì che stava pensando alla stessa cosa.
«Perché a lui hai concesso di stare nelle capanne?»
«Quel cavaliere non si è presentato come un Krown e poi a noi non interessa quello che succede, ma non volevamo ritrovarci un mucchio di cadaveri davanti alla porta delle nostre case, per questo abbiamo ceduto quelle tre catapecchie.»
«Capisco, perciò non avete alcuna intenzione di aiutarci.»
«Perché dovremmo? Non siete il nostro re, noi non siamo ai vostri ordini» disse l'uomo restituendogli uno sguardo d'odio. La moglie gli strinse un braccio, reggendo il fagotto con la parte destra del corpo.
«Maestà, noi poveri elberiani non vogliamo problemi più di quelli che già abbiamo. Accontentatevi di quelle capanne e lasciateci in pace.»
Magett scosse la testa: «A me non sembrate in pace. I vostri bambini muoiono di fame e sono più che certo che quel neonato che tenete in braccio non vivrà a lungo. Se non ho capito male quello è sangue. Polmonite rossa dalla nascita, o sbaglio?»
La donna per un attimo sembrò voler negare, ma una lacrima le rigò la guancia e poi abbassò lo sguardo tradendosi. Il marito apparve subito infuriato; mise un braccio attorno alla moglie, come per proteggerla.
«Non avete alcun diritto di venire qua a torturare la mia gente» inveì contro di lui in tono rabbioso. Il suo volto era una maschera distorta dall'ira.
Magett vide Aaron accanto a lui che cominciava a spazientirsi, ma gli lanciò un'occhiata imponendogli di avere pazienza. La rabbia che quell'uomo provava era solo dolore per la sofferenza del figlio. «Io posso aiutarvi, credetemi, non ho nessuna intenzione di farvi del male. Vi chiedo solo ospitalità per una notte, in cambio di qualunque cosa vogliate: cibo, denaro, un guaritore per vostro figlio, qualsiasi cosa. Vi giuro che saremo generosi.»
Guardò Aaron in cerca di sostegno. «Sì, il mio signore ha ragione. Vi daremo ciò che volete.»
«No, voi non potete fare nulla. Andatevene e basta, lasciateci in pace!» gridò l'uomo in preda alla collera. Sua moglie piangeva in silenzio, tenendo stretto a sé il suo bambino. All'inizio le era sembrata gentile, non comprendeva il motivo del suo comportamento.
«Come volete, ce ne andiamo. Diteci almeno una cosa: siete o no il capo del villaggio?»
«Non c'è un capo in questo villaggio, noi siamo solo la famiglia che un tempo era più numerosa e meno povera.»
«Chi comanda quindi a Elber?»
«Lord Rud, chi altri secondo voi?»
Guardò Aaron in cerca di una risposta, ma anche lui sembrava perplesso. «Perché sembrate così poveri? Non comprendo. Se siete sotto la giurisdizione di Lord Rud perché allora non gli chiedete aiuto?»
La donna abbassò la testa e si asciugò le lacrime che le imperlavano le guance. Rispose con voce rotta dal dolore e dal pianto: «Ci abbiamo già provato, Maestà, ma il lord ci ha respinti. Ci ha detto di tornare da dove eravamo venuti e noi abbiamo fatto così. Non avevamo altra possibilità se non tornare nelle nostre case, e sperare in un qualche aiuto che mai arrivò.»
«Voi avete così tante ricchezze nella vostra capitale. Perché non ci avete mai aiutati?»
«Non sapevo che foste così poveri, pensavo che lord Rud svolgesse i suoi doveri» rispose Magett sentendosi improvvisamente in colpa. Guardò il bimbo tra le braccia della donna, un mucchietto avvolto da coperte macchiate di sangue malato. Anche quello era colpa sua?
In quel momento si sentirono delle imprecazioni giungere da distante, videro poi un uomo farsi avanti fissandoli con odio. Aveva i capelli scuri, una lunga cicatrice gli deturpava l'occhio destro e tutta la pelle attorno, rendendo il suo volto orribile. Eppure Magett intuì che un tempo doveva essere un bell'uomo, senza la cicatrice e le rughe agli angoli degli occhi. Dimostrava una quarantina d'anni, ma qualcosa in lui gli diceva che doveva essere più vecchio di quello che sembrava o che voleva far credere. «Siano dannati gli dei! Come osate parlare agli stranieri senza consultarmi? Dimmi un po' Trak, perché tutta questa libertà?»
«Waral, non possiamo chiederti il permesso per ogni cosa che facciamo, questa è pur sempre la nostra casa no?» ribatté l'interlocutore di Magett, che ora aveva un nome: Trak. «Io e Séfina viviamo qui da sempre, perché te la prendi con noi ora per ciò che stanno facendo loro?» Parlando puntò un dito accusatore contro Magett.
L'uomo, Waral, sembrò infuriarsi ancor di più a quelle parole, ma stavolta si rivolse direttamente a loro: «E voi, chi diamine siete? Cosa ci fate nel pacifico villaggio di Elber?»
«A me tanto pacifico non sembra» ironizzò Aaron, che se ne pentì subito quando Waral gli scoccò un'occhiata gelida che avrebbe atterrato una montagna.
Magett intervenne a placare gli animi: «Calma, signori, io e il mio cavaliere non siamo qui per portare discordia fra di voi. Sono Magett Krown, sovrano del regno, sono qui a Elber per soccorrere mia sorella e la sua scorta; di certo voi saprete che cos'è accaduto.» S'interruppe per dare tempo a Waral di rispondere, ma l'altro si limitò a fermarsi di fronte a loro e scuotere la testa con vigore. «Voi non me la raccontate giusta. Dite di essere il re, eppure io non vedo nessuna corona.»
«Sì, certo, avete ragione.» Gli mostrò l'anello come aveva fatto per Trak. «Adesso ci credete?»
Waral fissò l'anello, i suoi occhi brillarono di avidità e stupore. «Che cosa volete da noi?»
«Siete il capo del villaggio, immagino.»
«Ti sbagli, Krown. Il capo è mio padre e non vorrà di certo vederti.»
«Invece noi vorremmo vedere lui, oppure se vi va meglio parleremo con voi, signor Waral, ma proporrei di entrare a riscaldarci. Il sole presto calerà e sta divenendo freddo.»
L'uomo si guardò intorno poco convinto, incontrando gli sguardi di Trak e di sua moglie, che strinse ancora di più il suo bimbo tra le braccia e rientrò in casa.
Trak invece rimase. «Non mi sembra una buona idea, Waral, tuo padre è vecchio e sai che non gli piacciono queste cose.»
«Sì è vero ma in fondo potrei lasciare che il re lo scopra da solo.» I due si scambiarono un cenno col capo, mentre Magett e Aaron seguivano silenziosi la scena. «Allora parleremo con il capo del villaggio?» s'intromise lui con decisione.
Era assurdo che fosse tanto difficile, pensò reggendo lo sguardo indagatore di Waral. Infine, stringendo la bocca per mostrare la sua disapprovazione per quello che stava per fare, l'uomo, in un breve cenno del capo, annuì.

L'undicesimo ReDove le storie prendono vita. Scoprilo ora