Promesse dal passato

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Come fu detto a suo tempo da un grande scrittore italiano, la discesa in Italia dei lanzichenecchi, i soldati mercenari del Sacro Romano Impero, portò al Nord della penisola distruzione e il terribile castigo della peste. Sarebbe impossibile andare a ricercare il "soggetto 0" di queste pestilenza, però possiamo affermare che cominciò nell'Impero, dove vittime e malati erano al pari del Nord Italia. Quando Roderich diede ordine ai lanzichenecchi di risolvere le questione di secessione, la malattia era in fase di incubazione nel suo corpo, i sintomi si sarebbero manifestati di lì a poco. Si svegliò una mattina, debole, fiacco, senza forze. Nausea e vomito pervadevano il suo corpo. Si alzò dal letto, camminando come uno zombie, recandosi subito allo specchio. Guardò la sua immagine: gli occhi ametista erano tenui, sul punto di spegnersi, la pelle più bianca del solito, con un bubbone pestilenziale sul braccio sinistro e un altro bubbone sul collo. Non aveva dormito per niente quella sera: era il segno dell'inizio della malattia. Quando vide l'immagine di ciò che era diventato, non si fece subito prendere dalla paura. Cercò di chiamare aiuto dalla sua camera, aprì la porta e con la forza che gli era rimasta, disse con un fine tono di voce:

<< Elizabeta...qualcuno...chiami... >> non finì di pronunciarle che gli occhi gli si chiusero, e cadde per terra come un corpo morto privo di vita. Non ci volle molto tempo affinchè si spargesse l'allarme sulla vita dell'austriaco e di una eventuale contaminazione. Roderich fu perciò "isolato" nelle sue stanze, nel suo letto, aspettando lo sviluppo degli eventi, dal momento che quel letto, il letto dove era a soffrire le pene della pestilenza, avrebbe potuto essere il suo letto di morte. I più illustri medici dell'Impero furono chiamati, ma nessuno sapeva cosa fare in quel momento.

Quando la voce giunse anche ad Antonio, in pochissimo tempo si indirizzò alla casa di Roderich, notando un via vai caotico di persone, tra professori, servitù, medici, notai, giudici e ufficiali imperiali. Nel salone d'ingresso del palazzo, dove la maggior parte di questa gente era riunita, Antonio incontrò Gilbert, Francis e Vash a parlare con Elizabeta.

<< Ragazzi, notizie? Come sta? >> chiese di fretta e furia non appena arrivato.

<< I medici dicono di aspettare, purtroppo non c'è una cura sicura per questa malattia...ora è nelle sue stanze, i medici consigliano di tenerlo lì per evitare che la malattia si propaghi. >> rispose Elizabeta con sguardo rassegnato.

<< Voglio vederlo...voglio vederlo ora. >> disse Antonio con tono serio e solenne, cosa che non era certo da lui.

<< Antonio, forse non hai capito che è in quarantena, non ti puoi avvicinare. >> rispose Vash.

<< E solo perché una persona è malata deve essere considerato una sorta di pericolo collettivo? >> chiese retoricamente lo spagnolo con il tono aumentato di sonorità per l'agitazione.

<< Non è questo il motivo Spein... >> rispose Gilbert avvicinandosi al suo orecchio << il nostro Rod potrebbe non superare la notte... >> gli sussurrò con una voce sottilissima, quasi da non sentirsi.

Gli occhi di Antonio si sbarrarono, restò attonito come se avesse ricevuto un'epifania...la rivelazione che sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto la persona cui egli stesso teneva di più.

<< Mi dispiace amico mio, ma ci sono cose che neanche noi possiamo gestire. >> disse Francis avvicinandosi allo spagnolo accarezzandogli la spalla.

<< Antonio ascolta... >> prese a dire Elizabeta, ma il suo arriva fu interrotto dall'arrivo del piccolo Feliciano che le chiese con la sua voce bianca innocente:

<< Eliza, il signor Austria guarirà non è vero? >>

<< Ma si piccolo, vedrai che domani starà già meglio e potrai suonare il pianoforte con lui tutto il tempo che vorrà! >> rispose Eliza prendendo in braccio il piccolo Feliciano con una voce molto tranquillizzante.

<< Ragazzi scusate, vado a rinfrescarmi un secondo al bagno... >> disse Antonio.

<< Antonio, sicuro va tutto bene...? >> chiese Francis.

<< Si ragazzi, vado solo in bagno. >> rispose lo spagnolo accennando un sorriso.

Ma il furbo e solare spagnolo non si sarebbe recato al bagno. Come fosse un agente di spionaggio fece in modo che nessuno dei presenti, soprattutto dei domestici che vagavano per i corridoi del palazzo lo notasse affinchè potesse raggiungere la stanza del malato. Quando raggiunse la porta, diede un ultimo sguardo a destra e a sinistra per essere sicuro che nessuno lo avesse visto. Vicino alle scale che andavano all'ala est notò un medico. Si avvicinò pian piano al dottore.

<< Mi scusi se la disturbo dottore, volevo chiederle le condizione del signor Edelstein se può enunciarle. >> chiese Antonio con tutta la sua cordialità

<< Francamente non mi sento di dire nulla: la situazione è paradossale, non esiste una cura certa. Possiamo solo aspettare...e pregare. >> e detto questo scese le scale e si allontanò. Rimasto solo, Antonio si fece coraggio ed entrò nella camera da letto dell'austriaco.

L'immensa stanza era pervasa dalle tenebre: le tende erano chiuse e l'unica luce era quella delle candele sopra i comodini accanto al grande letto. Roderich era lì, al confine tra la vita e la morte; sul suo corpo i segni e le cicatrici della sofferenza e della malattia. Lo spagnolo sentì un'indescrivibile fitta al cuore, come se parte della sua anima si fosse disintegrata al solo sguardo dell'austriaco. Prese coraggio e si avvicinò al letto a passi lenti. Prima restò lì a fissarlo, poi gli poggiò la mano destra sulla fronte, cominciando ad accarezzare i suoi capelli castani. Antonio era sull'orlo di piangere: sembrava di accarezzare un morto.

<< Roderich... >> sussurrò tenendo fisso gli occhi sul volto dell'austriaco.

<< Roderich ti prego...almeno ora...rispondimi... >> continuò preso dalla disperazione. In un primo momento non ci fu risposta, ma di lì a poco la testa di Roderich si scosse per un secondo tirando un sospiro.

<< An...to...nio... ?>> fu l'emissione di voce sottile pronunciata da Roderich.

<< Si...si...sono io... >> rispose con un sorriso lo spagnolo.

<< Vai...via...non...pren...dere...ma...la..ttia... >> continuò l'austriaco con le poche forze che aveva in corpo.

<< No Roderich...ti ho promesso che sarei stato accanto a te nel dolore, nella malattia, sia nella buona che nella cattiva sorte...non ti lascerò ora come non ti lascerò mai. >> pronunciò solennemente Antonio.

Lo spagnolo si mise in ginocchio davanti al letto, poggiando la testa sull'addome dell'austriaco. Voleva sentire il suo corpo. Quando la disperazione stava per impossessarsi di lui, la mano di Roderich, inspiegabilmente si poggiò sulla testa dello spagnolo. Pian piano Antonio alzò la testa, tenendo lo sguardo sulle coperte che ricoprivano la parte vuota del letto dove di solito lui era solito dormire. Si toccò il petto e strofinò il crocifisso che aveva al collo. Tirò un sospiro.

" E allora preghiamo..." pensò lo spagnolo. Antonio si tolse il crocifisso e lo adagiò al collo dell'austriaco.

<< Se ne sentissi la necessità...beh...io ci sarò sempre...questa è la mia promessa per te... >> disse lo spagnolo poggiando la mano sul crocifisso quasi a volerlo imprimere allo sterno dell'austriaco. Roderich però aveva perso le poche energie che aveva. Ora era rientrato nella sua sorta di coma, con un o strano cenno di sorriso. Antonio gli accarezzò un guancia e nel migliore dei modi lo abbracciò. Non lo toccavano le eventuali conseguenze, l'attrazione che quei due corpi avevano nei confronti l'uno dell'altro era più forte di qualsiasi malattia, e anche Roderich, nella sua razionalità scientifica, si era lasciato pervadere dal pathos che gli procurava lo spagnolo ogni volta che erano insieme...e anche quando non lo erano.

Ritrovo dal tempoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora