CAPITOLO CINQUE (VECCHIA VERSIONE)
Berlino, novembre 1940.
L'uomo si girò a guardarla. Indossava la sua divisa di generale dell'esercito, tutta bella stirata e inamidata.
«Eccoti qui!» esclamò, come se stesse aspettando la figlia da una vita. «Questo è il capitano Weber. Rimarrà qui da noi con tre dei suoi uomini. Mi aiuteranno nelle mie mosse» e indicò un uomo alto e robusto, a suo modo attraente, sulla cinquantina, con un grosso paio di baffoni biondi che campeggiava sopra le sue labbra rosse. Accanto a lui, tre uomini, più giovani, uno dei quali sulla ventina, stavano belli diritti, i petti portati in avanti. «Signore, questa è mia figlia Anna, una perenne ritardataria» e pronunciò l'ultima parola girandosi verso la ragazza, ancora ferma davanti alla porta, minacciandola con lo sguardo. Doveva aver già presentato loro la moglie e il figlio Adam...
«Buona sera, signore» salutò il comandante.
«Buona sera a voi» ricambiò, profondendosi in un mezzo inchino.
«Ora puoi andare, signorina. Kathrin ti accompagnerà nella tua stanza, dove starai chiusa fino all'ora di cena. Sai che non mi piacciono i ritardatari!» concluse il signor Schmidt, facendo cenno alla cameriera di entrare e prendere con sé la figlia.
«Sì» sussurrò Anna sovrappensiero.
«Come?» l'uomo fece un passo avanti.
«Sì, signore» chiarì la ragazza e lasciò la stanza con Kathrin.
Salirono l'enorme scalinata dell'ingresso in silenzio. Alle loro spalle si sentivano ancora il padre e il comandante parlare tra di loro, con qualche intervento da parte di Adam e degli altri tre ospiti.
La cameriera la lasciò davanti alla porta della sua camera e si allontanò in silenzio.
Quando Anna entrò, il calore emanato dal caminetto acceso la colpì in pieno. Si chiuse la porta alle spalle e si buttò a peso morto sul letto, sbuffando.
Perché? Perché non mi tratta mai come una figlia, ma come un sottoposto? Perché ho fatto così con Wilhelm? pensava, trattenendo a stento le lacrime. Non credeva che quel ragazzo le avrebbe fatto qualcosa, non ora che ci pensava veramente. Forse aveva semplicemente avuto paura che qualcosa di ciò che Juliane le aveva raccontato avesse potuto accadere anche lei.
Rimase sdraiata immobile per quella che le parve un'eternità prima di rialzarsi e di sistemare i libri sulla scrivania davanti alla finestra. Fuori aveva iniziato a nevicare ed entro la mattina seguente un candido manto avrebbe coperto la città. Pensava a Wilhelm e non riusciva a toglierselo dalla testa. Lo immaginava seduto ad una scrivania, magari con i suoi compagni, forse anche rispondendo ad un telefono che non smetteva mai di squillare, pronto ad aggiornare tutti i soldati tedeschi sulla situazione che andava evolvendosi.
Anna scosse la testa e prese in mano il quaderno degli spartiti. Nemmeno Wilhelm Neumann sarebbe stato in grado di farle accantonare il sogno di diventare una pianista famosa.
Si sedette al piano e iniziò a suonare, muovendo abilmente le dita sui tasti bianchi e neri.
Suonava per sua nonna, ricordando quando, da piccola, l'aveva avvicinata a quello strumento, del quale si era subito innamorata. Suonava sempre da piccola. Anche solo battere le dita sui tasti la faceva sorridere. Un po' meno contenta era sua madre, che da sempre odiava il chiasso e qualsiasi rumore più forte di un sussurro. Quando nacque, infatti, Anna venne subito allontanata dalla madre, che non riusciva a sopportare i suoi pianti. Era stata cresciuta da una governate e per lei il padre non era che una figura sfocata che si muoveva sullo sfondo, una comparsa che raramente interagiva direttamente con i protagonisti.
Due colpi sulla porta la bloccarono.
«Sì?» chiese, girandosi verso la porta scura, le dita ancora poggiate ai tasti.
«È pronta la cena, signorina» rispose una voce dall'esterno.
«Arrivo» e sistemò velocemente i fogli con gli altri quaderni. Si rassettò i vestiti e si fiondò fuori dalla sua stanza e giù per le scale. Solo nell'atrio riprese un passo più moderato, dirigendosi verso la sala da pranzo. La madre, come al solito, era assente, ma altri quattro uomini erano seduti, con suo padre e suo fratello, attorno all'enorme tavolo di ciliegio.
«Buona sera» la salutarono, alzandosi in piedi non appena Anna comparve sulla porta.
La ragazza rispose al saluto e prese posto tra suo fratello e un giovane soldato dai mossi capelli biondo scuro che, come scoprì, si chiamava Boris.
Mangiarono in silenzio. Nella stanza risuonavano solo i tintinnii delle posate sui piatti. Secondo suo padre, non bisognava mai mischiare famiglia e lavoro e, essendo il lavoro tutto per lui, spesso non si parlava affatto. Anna aveva presto imparato a tenere la bocca chiusa. Tante volte taceva tutto: i voti di scuola, le nuove amicizie che aveva fatto e persino i problemi che aveva, per i quali, però, non c'era mai tempo. Solo quando il padre si sedeva sulla poltrona del salotto a leggere il giornale, le chiedeva dei voti, sperando sempre che fossero ottimi, come effettivamente poi erano.
Anna si sentiva sola, si era sempre sentita così. Solo quando stava con Juliane o con i suoi tre bracchi, i cani che suo padre portava con sé quando andava a caccia, si sentiva in qualche modo viva. I tre cani le si accucciavano vicino e le appoggiavano il capo in grembo, lasciandosi accarezzare.
E ora aveva anche sputato in faccia a Wilhelm un secco no, tutto perché aveva paura di ciò che le sarebbe potuto accadere, ma che non sarebbe mai successo.
Sei proprio stupida, Anna Schmidt. Una stupida di prima categoria si rimproverò mentre finiva di mangiare, cercando di non guardare nella direzione di Boris, che aveva continuato a fissarla più o meno da quando si era seduta.
Sorrise quando con la coda dell'occhio vide che Adam stava fulminando con lo sguardo il ragazzo. Be', a qualcosa serve allora un fratello pensò sorridendo tra sé e sé. Boris sarebbe stato in grado di saltarle addosso, non Wilhelm.
Le cameriere iniziarono a sparecchiare la tavola non appena il padrone di casa fece loro un segno. E le parole iniziarono a rinascere nella stanza, segno che Anna ora poteva anche andarsene.
Author's note (old): eccomi qui con un nuovo capitolo! E, come promesso... non è passato molto dal 13 aprile.
Non so a chi possa interessare, ma mi sarebbe piaciuto raccontarvi due o tre cose sulla Germania, una volta tornata dallo scambio... Purtroppo ho avuto dei problemi e non sono potuta partire...
Va be', spero comunque che questo capitolo vi sia piaciuto! Magari lasciatemi un pensierino, tanto per farmi sapere che ne pensate...
Angela
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L'amore ai tempi della guerra
Historical FictionNella follia dei suoi diciannove anni era perfino giunta alla conclusione di non essere nata per vivere la sua vita, ma per rivivere quella degli altri, quella di chi aveva perso qualcosa, quella di chi ancora cercava il proprio tesoro, di qualunque...