Capitolo ventotto
Berlino, venerdì 4 aprile 1941.
Boris si era alzato presto quella mattina: l'imminente matrimonio gli aveva impedito di dormire più a lungo o di addormentarsi di nuovo.
E così, poco dopo le otto, aveva già iniziato a prepararsi per quel giorno. Aveva preparato il completo che avrebbe indossato quella mattina già la sera precedente, appendendo la gruccia sull'anta aperta dell'armadio.
Sbadigliò sonoramente prima di alzarsi dal letto caldo, prendere le sue cose e avviarsi verso il bagno in fondo al corridoio.
La porta della camera di Anna era chiusa e nessun suono giungeva dall'interno. Si chiese se stesse ancora dormendo oppure se si stesse già preparando anche lei, proprio come lui.
Mentre si chiudeva la porta del bagno alle spalle, non poté fare a meno di pensare a come lei gli sembrasse cambiata, da quando era tornata da quella scuola. Ora era tutta un "il Führer di qui, il Führer di lì" e si chiese se per caso non le avessero fatto il lavaggio del cervello su quell'argomento, considerando come non ne avesse mai parlato prima di allora. Non ne parlava sempre, questo era vero, ma gli faceva venire il nervoso quando si infilava nelle loro conversazioni come una mosca fastidiosa.
Gli era sembrata entusiasta quando gli aveva parlato per la prima volta della Reichsbrauteschule di Schwanenwerder e di Gertrud Scholtz-Klink, ma una parte di sé non riusciva a non pensare che quella che aveva di fronte non era l'Anna che aveva conosciuto prima della sua partenza, almeno non completamente.
Rise davanti a quella sua riflessione e rischiò di tagliarsi con il rasoio da barba per quella sua distrazione.
Finì di radersi, con più attenzione, e si lavò il volto, lasciando che l'acqua portasse via i residui della schiuma da barba.
Non sapeva perché pensasse così, ma credeva di aver quasi intuito di piacere di più ad Anna con la barba, anche se lei lo aveva visto solo con quella di uno o due giorni, quando era stato troppo pigro per raderla. Sorrise a quel pensiero e scosse la testa, asciugandosi il viso con una salvietta.
Controllò il proprio riflesso nello specchio, girando e inclinando il capo prima a destra e poi a sinistra, come era solito fare, prima di tornare in camera sua.
Sbadigliò di nuovo e si passò una mano sul retro del collo, stringendolo, cercando di alleviare il dolore che aveva per l'aver dormito male quella notte, con la testa in una posizione sbagliata e, come aveva creduto in passato, quasi impossibile da visualizzare in concreto.
Si sfilò la maglietta del pigiama direttamente dalla testa, senza preoccuparsi di sbottonarla, e la lasciò cadere – insieme ai pantaloni – sulla poltrona davanti al camino. Ringraziò il suo buonsenso per aver deciso di lavarsi la sera precedente, prima di coricarsi: in quel momento non ne aveva la minima voglia e non desiderava altro che tornare a dormire ancora per qualche ora – che di certo si sarebbero trasformate in alcuni giorni, se solo gli fosse stato possibile.
Si cambiò la biancheria e indossò i pantaloni scuri del completo. Fece passare i bottoni della camicia bianca nei rispettivi occhielli e ne infilò il bordo nei pantaloni, allacciandoseli. Prese i gemelli d'argento dalla scatolina ricoperta di velluto nero che gli aveva regalato qualcuno – chi, ormai non lo ricordava più – per il suo diciottesimo compleanno e fermò i polsini della camicia.
Tornò in bagno a piedi nudi quasi di corsa dopo essersi ricordato di non aver lavato i denti e maledicendosi per quell'ennesima distrazione. Si sarebbe preso a sberle se, come gli accadeva spesso, si fosse sporcato i vestiti con il dentifricio, rovinando così l'unico completo che avrebbe mai voluto indossare al proprio matrimonio.
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L'amore ai tempi della guerra
Ficción históricaNella follia dei suoi diciannove anni era perfino giunta alla conclusione di non essere nata per vivere la sua vita, ma per rivivere quella degli altri, quella di chi aveva perso qualcosa, quella di chi ancora cercava il proprio tesoro, di qualunque...