Capitolo trentaquattro
Svizzera, dicembre 1941
Natale era alle porte e, oltre al clima di festa, aveva portato con sé anche una lettera di Augustus Weber, che – però – nessuno aveva ancora trovato il coraggio di aprire e leggere.
Già da tempo aveva iniziato a nevicare. La neve, tuttavia, non riusciva a permettere a Friedrich di smettere di lavorare. Aveva ancora così tante commissioni che sarebbe stato un miracolo festeggiare il Natale tutti insieme.
Anche in quel momento, Katharina sapeva dove si trovava suo marito: il fondo della stalla era diventato quasi un laboratorio.
Quando uscì nel buio della sera, una folata di aria fredda si intrufolò in casa proprio mentre la porta si stava chiudendo, spruzzando di neve gli abiti della ragazza.
Con la lanterna in mano, fece il giro della casa per andare da Friedrich. Dopo più di un mese e mezzo, non aveva ancora dimenticato le sue parole – "Fai solo in modo di non arrivare troppo tardi perché non aspetterò in eterno". Certo, forse non era tornata alla normalità come desiderava lui – «Ma cos'è, poi, la normalità?» borbottava spesso –, ma cercava di far pesare meno la vita a quello che una volta aveva conosciuto come Boris Weber.
Entrò nella stalla esalando un sospiro di sollievo, felice di sottrarsi al freddo pungente dell'inverno.
«Ciao.» Quando salutò suo marito, il suo tono era sommesso, quasi come se non volesse farsi sentire. Aveva paura ad avvicinarsi a lui. Di cosa, nemmeno lei lo sapeva davvero.
Quando sollevò lo sguardo, poté vedere un sorriso aprirsi sul volto di Friedrich. «Ehi. È già ora di cena?» domandò prima di tornare a lavorare.
Katharina si limitò a scuotere la testa. Rimase in piedi per qualche minuto a guardarlo di spalle mentre sistemava lo schienale di una delle sedie della chiesa. Quando il bambino iniziò a scalciare e i suoi piedi a lamentarsi, si avvicinò a una balla di fieno e vi si sedette sopra.
Faceva caldo, lì nella stalla, si ritrovò a pensare felice. Pensò all'agnellino appena nato che di certo ora stava dormendo accanto alla sua mamma e appoggiò assente una mano sulla propria pancia. Pensava sempre più spesso a quel bambino che doveva nascere a febbraio e aveva paura, ogni giorno di più. Non riusciva a gestire la sua vita, come avrebbe fatto ad occuparsi della vita di qualcun altro che sarebbe dipeso interamente da lei?
«Perché sei qui?» La voce di Friedrich la riportò bruscamente alla realtà. Aveva smesso di inchiodare lo schienale e si era appoggiato al tavolo, una tazza del tè – ormai freddo – che gli aveva preparato quel pomeriggio stretta in mano.
Katharina lo guardò stupita. Non poteva negare che le sue parole l'avessero in qualche modo ferita. Aveva compromesso così tanto il loro matrimonio da far sì che quell'uomo provasse ribrezzo dallo stare in compagnia con lei?
«Ho finito tutte le faccende in casa. E poi mi andava...» rispose con un'alzata di spalle, ingoiando il boccone amaro. «Ma se vuoi, me ne torno in casa.» Cercò di non irritarsi, di cercare di avvicinarsi perché in quel momento aveva capito che era tutto vero. Suo marito – che fosse Boris Weber o Friedrich Schröder, poco importava ormai – non sarebbe rimasto in eterno in attesa di un suo ritorno e questa realizzazione la spaventò come le parole che lui le aveva scagliato contro il giorno del funerale di Jakob non erano state in grado di fare. Tornò a chiedersi se avesse davvero rovinato tutto. E, da un lato, se lo meritava. Dopo come si era comportata avrebbe accettato la solitudine, dopotutto se la era andata a cercare. E allora sì, che sarebbe diventata davvero una giovane copia di sua madre.
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L'amore ai tempi della guerra
Historical FictionNella follia dei suoi diciannove anni era perfino giunta alla conclusione di non essere nata per vivere la sua vita, ma per rivivere quella degli altri, quella di chi aveva perso qualcosa, quella di chi ancora cercava il proprio tesoro, di qualunque...