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Erano passate già due settimane dall'arrivo di Giacomo e ogni volta che lo vedevo il mio cuore batteva così velocemente che pensavo che qualcuno se ne sarebbe accorto e quindi portavo sempre le mani su petto pensando tra me: -Calmati Laura, calmati-.

Ogni mattina quando lo vedevo entrare dalla porta e dire alle persone che vi erano in classe un sonoro e sempre sorridente "Buon giorno", il mio cuore si illuminava e sapevo che quello era diventato un meraviglioso giorno grazie a lui.

Quando lo pensavo, cioè sempre, mi veniva un piccolo sorriso sulle labbra e, avendo paura che qualcuno se ne accorgesse, lo nascondevo dietro alle mie piccole mani o ai miei massicci libri. Durante le lezioni lo guardavo di profilo, essendo anch'io nell'ultimo banco della fila vicino alla porta, e immaginavo ad occhi aperti quel suo sorriso che vedevo a metà, con quelle labbra carnose e rosse che sognavo ogni notte che mi baciassero.

Scrutavo ogni suo movimento: quando si tirava indietro quel grande ciuffo nero che gli copriva l'occhio, con la sua grande mano che a vederla dava un senso di sicurezza, ma anche di paura; quando si appoggiava il mento sul pugno perché stanco dopo tante ore di lezione; quando giocherellava con l'orologio o con le penne... il tutto veniva fatto con classe e eleganza.

Una volta, durante la lezione di storia, era stato interrogato e quando era andato a posto si accorse che lo guardavo e mi fece un sorriso.

Ero entusiasta per quel piccolo gesto, anche se sapevo che lo faceva a tutte le ragazze per renderle felici, ma questo non mi interessava perché comunque, per qualche secondo, mi aveva notata.

Poi arrivò il momento più bello della mia vita: la lezione di scienze. Il professore aveva deciso di dividere gli argomenti dell'anno in coppie così ognuna faceva la ricerca, la esponeva e tutta la classe la studiava.

Questa tecnica non era nuova, anzi la faceva ogni anno, ma visto che in classe, prima dell'arrivo di Giacomo, eravamo dispari e nessuno voleva fare coppia con me, rimanevo sempre sola a fare la ricerca. Ma ora con il nuovo arrivato il professore l'aveva messo in coppia con ... ME!!!

Non riuscivo a crederci, ero strafelice e poi, a vedere le mie compagne nere dall'invidia ero ancora più contenta. Ma c'era un problema: quel giorno lui era assente quindi, cosa facevo?

Ero terrorizzata all'idea di andare, l'indomani, a parlare con lui e poi cosa gli avrei dovuto dire: -Ciao sono la tua nuova compagna di laboratorio!- ??

Si, forse questo sarebbe andato bene, ma ero troppo timida anche solo per salutarlo e quindi decisi di non dire nulla, tanto l'avrebbe scoperto ugualmente.

Ma, stranamente, quelle pettegole non gli avevano detto nulla e quindi, alla fine, feci la figura della stupida.

Arrivò la settimana successiva e io non avevo idea di cosa fare e, per tutto il tempo, evitai di guardarlo e di parlarci. Quando suonò la campanella feci un sospiro di sollievo e in tutta velocità corsi via verso il mio armadietto.

Lì presi un libro di Colleen McCullough intitolato "l'altro nome dell'amore" e poi mi diressi verso il cortile e, sedendomi sotto uno dei tre alberi vicino al campo di calcio, aprì il libro dalla copertina rosa, a due terzi, dove si trovava un segnalibro, utilizzato troppe volte, iniziando a leggere:

"Ma era l'anno 1942; compì ventun anni e venne arruolato nell'esercito. Da quel momento considerava la sua vita una cosa inutile, sprecata, completamente vuota."

Quella frase sembrava la mia descrizione, della vita breve e trasparente che avevo vissuto e ciò mi rendeva triste.

Mentre la vita liceale girava intorno a me, stavo lì intenta a comprendere la verità su me stessa, ma più cercavo nel profondo, più la tristezza e la solitudine aumentavano.

Intanto il sole di mezzogiorno si alzava su nel cielo e illuminava le pagine che profumavano di antico e vissuto, per me piacevole.

I ragazzi nel campo di calcio gridavano di gioia, per chi aveva fatto goal, e di rabbia e delusione, per chi aveva perso la partita.

Alcune ragazze facevano avanti e indietro dal bagno per truccarsi e farsi belle, mentre altre incitavano i loro fidanzati a vincere, facendo mosse sexy e intriganti, solo per farsi vedere da tutti. Hanno anche un nome queste ragazze capaci solo a starnazzare: "ragazze pon pon".

Già il nome è illuminante! Per quel arco di tempo chiamato intervallo vi era solo confusione e caos, ma io non avevo problemi.

Mi bastava stare sotto quell'albero che mi riparava, con la sua ombra, dai raggi troppo forti del sole, ma dava luce a sufficienza per leggere bene.

Era un paradiso ed era solo mio! Gli altri erano troppo impegnati per accorgersene, ma era meglio così perché avendo scoperto io quella pace doveva rimanere mia, almeno per ora.

Il momento di cambiareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora