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Ero distrutta, tutto ciò in cui credevo era andato a pezzi insieme al mio cuore, non riuscivo più a credere all'amore, non riuscivo più a sognare.

Neppure i libri mi davano sostegno e coraggio per andare avanti e ad un tratto capii: avevo vissuto la mia vita basandola su sogni e speranze, ma ora che avevo compreso avrei aggiustato i miei errori.

Tutti i miei libri che raccontavano di amori di ogni genere li avevo raggruppati e messi in un grande scatolone marrone, ma non avendo il coraggio di liberarmi di 16 anni di vita decisi di mettere la scatola in soffitta. Al loro posto presi libri più "didattici" e iniziai a studiare sodo; e così, anche se l'anno stava per finire e i miei voti erano pessimi, riuscì comunque a recuperarli tutti.

Da quel maledetto, ma significativo giovedì cambiai il più possibile il mio carattere mettendomi "una maschera" che mi ritraesse forte e indipendente, quasi ero irriconoscibile.

I miei genitori iniziarono a preoccuparsi e utilizzarono come scusa del mio cambiamento l'adolescenza.

Ora non volevo più nascondermi dal dolore, ma lo volevo affrontare perché troppe volte nella mia vita ero scappata, ma ora era diverso. Da quel giorno, nell'intervallo, non mi sedetti più sotto quell'albero, ma rimanevo in classe a ripassare.

Se già prima volgevo poche parole ai miei compagni, ora ero sempre seria e in silenzio.

Durante le mie interrogazioni, partivo decisa e rispondevo alle domande del professore senza paura, senza guardare nessuno in faccia.

Tanto le conoscevo già le facce dei miei compagni e soprattutto la sua.

Conoscevo ogni particolare di quel viso angelico, ma ormai quando lo pensavo, vedevo la scena di lui aggrappato a Lisa.

Mi facevo coraggio ad andare avanti, non mostrarmi debole davanti a nessuno, e intanto le settimane passavano velocemente.

Finalmente arrivò l'ultimo giorno di scuola e io, senza rendermene conto, ero diventata, oltre che racchia e asociale, una secchiona.

Niente riusciva più a rendermi triste perché avevo già conosciuto la tristezza massima: il dolore di un amore non corrisposto.

Quella giornata sembrava non finire più e io ero nervosa all'idea che questo incubo potesse continuare.

Ancora sei ore di scuola in cui avrei visto le oche starnazzare mentre si salutavano con finte lacrime, cercando di non rovinarsi il trucco; coppie che, anche se si rivedevano l'indomani per uscire al cinema, si coccolavano come se fosse il loro ultimo giorno; gente che ancora non si rendeva conto che la scuola stava finendo e che continuavano a studiare, come me.

Certo io non lo facevo perché patita di calcoli e studi, ma solo per passare il tempo a fare qualcosa, anziché a pensare a ciò che mi recava solo tanti dispiaceri.

Ancora pochi attimi di una vita frenetica in cui se non segui la corrente non sei nessuno oppure sono uno sfigato, una giungla in cui solo i più forti hanno vita facile mentre gli altri devono adattarsi e sopravvivere, una realtà in cui non puoi essere te stesso, ma ciò che gli altri vogliono, una scuola chiamata liceo.

Ed ecco che anche il terzo anno era finito e ora si poteva tornare a casa tranquillamente o almeno così credevo perché, proprio sulla soglia della scuola in cui tu puoi ritenerti libero, c'era Giacomo che aspettava ansioso qualcuno.

Io pensai: -Di sicuro aspetta la sua dolce Lisa-, ma a ogni passo che mi rendeva più vicino a lui sentivo il mio cuore battere più velocemente.

Stava di nuovo succedendo, provavo ancora quella sensazione che mi fecero palpitare il cuore la prima volta che lo vidi.

Credevo che ormai il mio cuore era andato distrutto e che i miei sentimenti per lui li avevo repressi in fondo alla mia anima, ma un sentimento talmente forte e custodito lungamente non puoi nasconderlo facilmente e così, alla prima occasione, l'amore si fa sentire di nuovo e quella maschera dura che non dava importanza a nulla, ora cade per terra sciolta dai veri sentimenti e io mi ritrovai ancora una volta davanti a lui incapace di agire e pensare.

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