III. Tints and cigarettes

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Scostavo di tanto in tanto gli occhi dal libro di storia, solo per guardare il cortile gremito, sbuffare e tornare subito dopo all'Antica Grecia. Provavo per quelle popolazioni ormai estinte più interesse di quanto non ne avessi nei confronti dei miei coetanei; nelle pagine si celavano assassini, esseri infidi e tiranni assetati di potere, ma mi sembravano una compagnia migliore di cheerleader, squadre sportive e liceali in generale.

«Che hai risposto alla due?» disse Liam, addentando il suo panino e scarabocchiando distrattamente sul bordo bianco della pagina.

Capelli corti, occhi nocciola, sguardo sincero, buone maniere: l'amico perfetto per me, perché in un modo o nell'altro sapeva sempre cosa dire e quando – soprattutto quando.

«Non l'ho ancora fatta.»

Mordicchiai il gommino della matita e ripresi la frase da dove l'avevo lasciata. Si parlava di un tizio che ne uccideva un altro solo per prendere il suo posto sul trono, una svolta talmente scontata da farmi ridere.

«Ok.»

Guardai nervoso l'orologio; mancavano dieci minuti alla fine della pausa pranzo. Detestavo la calca per rientrare nell'edificio, per quello trascinavo Liam in classe sempre cinque minuti prima del suono della campanella. Non era certo per paura; non volevo essere calpestato ed esalare il mio ultimo respiro sul pavimento della scuola.

Stavo sistemando l'astuccio, quando la porta che dava sul cortile si spalancò.

Mi pietrificai all'istante perché a degnare l'intera scuola della loro presenza, con un ritardo di mezz'ora, erano sempre quei tre, che indicavano pericolo, guai certi e un istinto di sopravvivenza così basso da terrorizzarmi.

Louis, il ragazzo con i capelli di un colore diverso ogni settimana, saltò i pochi gradini e trascinò Harry al suo fianco, il visetto d'angelo con i boccoli castani. Si guardò intorno, prima di tirarlo a sé e unire le loro bocche in un bacio decisamente poco casto. Distolsi lo sguardo, in imbarazzo per loro che, da come ridevano, dovevano essere tutt'altro che turbati.

Zayn, il moro che completava il quadretto, stava aspirando dalla sua sigaretta con totale disinvoltura. Lui aveva un che di misterioso, di sinistro, di affascinante.

«Se continui a fissarlo, rischi di consumarlo.»

Sbarrai gli occhi. «Cosa?! Che stai dicendo?»

«Malik.» Liam ridacchiò sfacciatamente, mentre sistemava la sua roba. «Asciugati, hai della bava che ti cola dalla bocca.»

Borbottai insulti scomposti, seguiti da un velenoso: «Ma che simpaticone! Non mi piace quel tipo, è troppo strano.»

«Perfetto! Puoi dirglielo tu stesso.»

Sollevai di scatto la testa dallo zaino e lo fissai. «C-Che?»

«Stanno venendo verso di noi.»

In quel momento, provai per la prima volta il desiderio di picchiare il mio migliore amico; immaginai le mie mani che lo prendevano a pugni, che gli riducevano la faccia in poltiglia.

Liam sollevò una mano, sorridendo radioso. «Ma tu guarda! Romeo è appena arrivato» disse, mimando poi un bacio volante.



Tomlinson si sedette tranquillamente al mio fianco e mi appoggiò una mano sulla spalla.

Arrossii, un getto caldo inondò le mie guance.

«Horan e Payne, giusto?» Il ragazzo schioccò la lingua, mentre Harry si sedeva sulle sue ginocchia.

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