XXVIII

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XXVIII


"Ragione e passione sono timone e vela della nostra anima navigante."
Kahlil Gibran.




"So chi ha ucciso Grace King."
Chris sgranò gli occhi a quella voce, lasciandosi ricadere esausto sulla vecchia poltrona.
A tarda serata, nel distretto, non vi era anima viva ad esclusione dell'abatjour dimenticata accesa sul comodino del detective e che illuminava pigramente delle disordinate scartoffie. Ma Chris sapeva che si trattava dell'Assassino ancor prima di udire la voce metallica e di notare la finestra aperta. La lampada nella stanza illuminava poco e niente, tanto che gli angoli erano coperti dall'oscurità, eppure distinse chiaramente un'ombra che si muoveva veloce. Un lampo bianco contro il nero. E capì che si era avvicinata fino a stargli di fronte.
Chris si passò le mani tra i fulvi capelli rossicci e infine sospirò, esortandola con un cenno del mento a continuare. Con le dita serrate attorno ai braccioli la fissava in attesa, lo sguardo incerto.
Camille, iniziò a girargli intorno, le unghie che accarezzavano casualmente lo schienale della poltrona. E Chris tremava, scosso da piccoli brividi ad ogni contatto accidentale.
C'era un pesante freddo che tormentava l'aria da quando era entrata. Un gelo orribile che penetrava le ossa e faceva rizzare i peli sulla nuca al povero Chris, troppo nuovo nel settore per comprendere che era normale provare una sensazione del genere davanti alla personificazione della morte.
"E' stato Edward Irwin, come avevo previsto. Il signor King nemmeno sospetta di lui, ha una lista troppo lunga di nemici per concentrarsi su uno dei tanti nomi. E vuoi sapere perché l'ha ucciso? E' semplice: perché complotta con la mafia cinese" concluse, tracciandogli maliziosamente il contorno della fronte.
Chris a quel contatto balzò in piedi e si allontanò con il volto in fiamme. Camille, abituata al buio, se ne accorse e sogghignò alla sua dimostrazione di pudicizia.
"I-io non ne sapevo n-nulla e..." si arrestò, riprendendo fiato "La mafia non è particolarmente apprezzata da queste parti. Come avrai capito c'è solo un mafioso che detiene il controllo: Irwin" azzardò, timidamente.
Camille decise di piantarla con i giochini e si fece all'improvviso seria. "Stai cercando di dirmi che Sydney non è mai stata oggetto di mafia?"
L'agente scosse la testa. "Non ho detto questo. C'è stato un periodo, qualche decennio fa, in cui era presente ed era peggio della reggenza di Edward. Perciò i cittadini non si sono ribellati quando il controllo è passato da una mano all'altra. Edward, dopotutto, li lasciava in vita se non infrangevano i patti. La mafia no. La mafia uccideva a prescindere, per il gusto di creare terrore."
"Ti ricordi chi fosse al vertice?"
"No, purtroppo sono nuovo in città e quel poco che so l'ho scoperto a mie spese. Nessuno parla di quel periodo se può evitarlo."
Camille sbatté con violenza la mano contro al muro, facendo sobbalzare Chris. Per abitudine la mano corse alla pistola che teneva in vita, ma non appena si rese conto che il gesto dell'Assassino non era altro che uno sfogo dettato dalla rabbia, lasciò la presa.
"E' proprio questo il punto!" la voce risuonò nella stanza silenziosa come un fragoroso tuono "Ci servono quelle informazioni. Ci scommetterei la mia stessa vita che un tempo, in città, governava la mafia cinese. Sennò l'omicidio ai King non avrebbe senso."
Chris annuì lentamente. "E' probabile."
Camille rimuginò un istante sulle informazioni raccolte, poi si voltò verso Chris che la guardava in attesa.
"Il sindaco di Sydney è molto corrotto a proposito?"
Chris si concesse una breve risata. Ora l'aria era meno tesa, per certi aspetti quasi accettabile. "Direi che è l'uomo più corrotto della città solo dopo Irwin."
Camille emise un piccolo rumore di esasperazione. "Bene, vorrà dire che mi toccherà farlo parlare con i miei mezzi. Ti aggiornerò presto."
Chris non aggiunse nulla, turbato; Camille spalancò la finestra, prese la rincorsa e si gettò nel vuoto. Il giovane seguì tutta la scena e non poté trattenersi dall' urlarle dietro, una volta che fu solo un puntino in lontananza: "Esistono gli ascensori!"
Sorrise tra sé, prima di richiudere le ante e spegnere la tremule luce che illuminava l'abitacolo. La centrale era caduta di nuovo nel buio.





Michael mescolava con estrema perizia e grazia il cucchiaino nella tazza fumante di caffè. Il forte aroma gli risaliva nelle narici, facendolo sospirare di piacere. Adorava la calma che regnava nell'attico di Camille, così diversa dalla continua agitazione che scuoteva New York. Sia il padre che la madre erano troppo presi dai rispettivi lavori e dal cornificarsi a vicenda per capire che Michael era ben lontano dal voler intraprendere le loro orme. Lo obbligavano seguire corsi avanzati di marketing e persino lezioni di ingegneria gestionale, quando l'unica cosa che veramente gli stava a cuore era aiutare il prossimo. Ma dovendo continuare la tradizione di famiglia non sarebbe di certo accaduto. Semmai avrebbe eroso di debiti il prossimo. L'unica persona che sembrava appoggiarlo era la nonna Megs, una signora distinta e impeccabile sull'ottantina che adorava con tutto il cuore Michael, ed era l'unica che poteva dire di averlo effettivamente cresciuto. Con lei aveva mosso i primi passi, lei era stata la prima a regalargli un maglione rosso natalizio fatto deliziosamente a mano, lei l'aveva accompagnato al suo primo giorno di scuola, lei l'aveva ascoltato quando Michael credeva di impazzire per la prima cotta amorosa, e sempre lei gli aveva fatto capire di essere speciale.
"Tu non sei come gli alti. Tu hai ereditato i miei poteri, e potrai aiutare le persone che ami."
E da lì era nata l'idea di fare lo psicologo, di usare la propria abilità delle visioni e del leggere la scrittura per aiutare la gente in difficoltà.
Ma era ben lungi dal realizzare i suoi sogni, perché proprio quel giorno il padre l'aveva designato come suo erede. E di cosa si stupiva? Era l'unico figlio che aveva generato. Legittimo, sia chiaro. Perché Michael era più che convinto che il padre avesse inseminato un bel po' di donne, e che le mantenesse anche di nascosto dalla moglie.
Fu il rumore di pesanti passi sul pavimento a riscuoterlo dal torpore in cui era caduto.
Camille, con ancora indosso la tuta, si buttò di traverso sul divano.
Michael smise di girare il cucchiaino nella tazza, e bevve un lungo sorso. "Da quando usi l'arco?" le domandò, squadrando l'oggetto che pendeva minaccioso dalla sua spalla.
La vide ridacchiare sonoramente e passarsi il braccio sul volto provato. "Da oggi. Penso che incuta più timore."
Michael annuì tra sé, assecondandola. Chinò la testa e i suoi capelli blu elettrico gli ricaddero scompigliati sulla fronte.
Seguì un breve silenzio, rotto solo dal rumore della posata che sbatacchiava contro la tazza. "Da dove sei entrata, di grazia?"
"Dalla finestra."
L'amico alzò gli occhi al cielo, accompagnando il gesto con le mani. "Ma che cos'hai contro l'utilizzo degli ascensori, si può sapere?"
Camille tirò le labbra in un leggero sorriso. Le iridi scintillavano divertite. "Non sei il primo che me lo dice stasera."
Michael esibì un'espressione furba, da predatore. "Ti sei vista con Luke?"
"No, con Chris. Con Luke esco dopo."
"Quando ti deciderai a fartelo? Ormai state insieme da mesi."
Michael si divertiva a punzecchiarla, e lei adorava stare al gioco. La vita sentimentale di Camille era meglio di una di quelle stupide sitcom che davano alla televisione, ed era avido di conoscere dettagli piccanti che la riguardavano. Si ricordò, con un sorriso, che tra loro funzionava da anni in quel modo. Tra frecciatine e piccoli litigi –alle volte davvero insulsi e idioti- avevano innalzato un rapporto solido e duraturo, tanto che nemmeno la scoperta di avere per migliore amica un assassino era riuscita ad allontanarlo. Perché Camille era l'unica persona -oltre alla nonna- in grado di capire le sue esigenze, di ascoltarlo, di incoraggiarlo, e sapeva che per quanto adesso fosse presa da ben altre congetture, lei avrebbe sempre avuto un po' di tempo da dedicare all'amico di infanzia. Quello stesso ragazzino paffuto, con gli occhioni gentili e un disordinato caschetto che l'aveva avvicinata per raccimolare un po' di conforto durante una pacchiana cena di gala.
Si irrigidì. "Non lo so, hai visto com'è andata a finire con Ashton."
"Ma Luke, per fortuna, non è uguale al cugino."
"E' questo il problema" si lasciò sfuggire.
Michael spalancò sconvolto gli occhi, e il cucchiaino gli scivolò dalle mani, cadendo e seminando qualche goccia.
Camille sbuffò, ricomponendosi quando lesse l'incredulità nei suoi occhi. "Mi hai sporcato il parquet, idiota."
C'era qualcosa che la tradiva nel tono di voce, nonostante cercasse di esibire il contrario. Era...incrinato. Come se stesse per spezzarsi da un momento all'altro.
Il ragazzo non le diede ascolto e le si parò davanti, inginocchiandosi di fianco al divano. Le scostò il cappuccio, liberando la folta chioma scura e si accorse così di quanto i suoi occhi fossero lucidi.
"Ti piace di più Ashton?" le chiese gentile, accarezzandole dolcemente la guancia.
Considerò la sua fretta e riluttanza di parlargli come un segno di assenso. La osservò chiudere gli occhi e piegare le labbra in una smorfia cattiva. Si vedeva che cercava di fare di tutto per non mostrarsi debole e scossa, e invidiava la sua forza di volontà. "No. Di Ashton non mi è mai importato in quel modo, è troppo strano. È Luke che ho paura di ferire."
"Non lo ami?" le chiese a bruciapelo, trattenendo il fiato in attesa.
Camille sollevò il mento pronunciato, con aria di sfida. "Noi assassini non proviamo amore."
"Però per lui provi qualcosa di simile, no?"
"Sì" confessò, riluttante, dopo un attimo di esitazione.
Michael le regalò un sorriso meraviglioso, incoraggiante. "Allora dimostraglielo."

Malavita II Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora