XXXII

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XXXII


  La passione non è cieca, è visionaria.
(Stendhal)  




  Quando Camille rientrò alla World Tower non si aspettava certo di imbattersi in Ashton, l'ultima persona al mondo che credeva di trovare ad attenderla. Stringeva tra le dita probabilmente l'ennesima sigaretta della giornata e un taglio rossastro spiccava sulla guancia abbronzata.
"Ti ha graffiato un gatto?" tentò di ironizzare con scarso successo, visto che l'occhiata che Ashton le lanciò in risposta era fredda e a tratti annoiata.
Arida.
Ma che si aspettava dopotutto, che l'accogliesse a braccia aperte? Doveva esserci un motivo valido se aveva deciso di rifarsi vivo solo in quel momento.
"Non voglio perdere tempo, quindi prima mi fai entrare e prima tolgo il disturbo."
Il tempo nostro è finito, e mi arrechi solo dolore.
Quindi perché soffrire per il piacere della tua compagnia?
Il tono era diventato insolente e inflessibile come l'acciaio, proprio com'era solito rivolgersi a lei da criminale ad assassino quando ancora non li univa nessun legame. Si sentì una stupida per aver reputato possibile che tra di loro potesse sorgere una bella amicizia o quantomeno un rapporto simile.
Non la odiava, no, il suo sguardo esprimeva qualcosa di ancor peggio dell'odio: l'indifferenza. Come se lo stessero costringendo con la forza bruta a parlarle e trovasse la sua compagnia altamente noiosa.
Amami, odiami. Entrambe sono a mio favore.
Ma smettila di studiarmi come se non fossi altro che un oggetto un tempo considerato allettante ma ora dimenticato.
Ogni protesta le morì in gola e sbuffò stancamente, estraendo il mazzo di chiavi dalla borsa e facendo scattare la serratura. Entrò, seguita a ruota dal ragazzo. Una volta che la porta si richiuse dietro di loro lo fissò in attesa con le braccia strette al petto, presto imitata da Ashton. Gli occhi inespressivi la forarono con la stessa inesorabilità di un coltello che affonda nel corpo della vittima.
"Allora? Perché sei venuto?"
Ci sarebbero state tante di quelle risposte che avrebbe voluto urlarle.
Mi manchi, ti penso sempre, tormenti i miei sogni.
E invece sibilò qualcosa che suonava come: "Domani è il giorno."
Camille comprese all'istante a cosa stesse alludendo e sgranò stupefatta gli occhi chiari, sbattendo le ciglia. "Di già?"
Lo vide aprirsi in una smorfia annoiata. "Sì, di già. Edward darà un ricevimento per l'inizio dell'anno nuovo e troverai di sicuro un momento per prenderlo in disparte. Sarà la tua unica occasione, vedi di sfruttarla e di non rimandare ulteriormente la partenza" smise di parlare, improvvisamente tetro.
Camille annuì, fingendo di non accorgersi del ripentito cambiamento di umore del ragazzo. "E come faremo con Jonhatan?"
Alla mora non sfuggì il bagliore che guizzò per un nano secondo negli occhi tenebrosi del ragazzo. "Di lui non devi preoccuparti."
Qualcosa non tornava e lo comprese all'istante. "L'hai ucciso."
Il silenzio che seguì fu una risposta sufficiente ai suoi dubbi.
"Non ti ringrazierò per il semplice fatto che avrei voluto ucciderlo io stessa. Avevamo un conto in sospeso."
Ashton aspirò la nicotina dalla sigaretta, spostando l'attenzione dalle volute di fumo al suo viso. "Ora siamo pari, no?"
"Sì."
"Bene, ci si vede Camille" e si allontanò, pronto ad abbandonare per sempre la sua vita.
La ragazza rimuginò sul modo in cui aveva pronunciato il suo nome, densa di rammarico e non riuscì a trattenersi dal porgergli una richiesta insolita, che lo paralizzò con la mano già serrata attorno alla maniglia.
"Ripeti il mio nome. Un'altra volta."
Ashton era incapace di emettere alcun suono. Si voltò con estrema lentezza, una miriade di emozioni che gli attraversavano il volto contratto. Eppure la giovane era certa che l'espressione dominante fosse di pura sorpresa e qualcos'altro che non riuscì a identificare.
"Camille" lo scandì come se fosse una preghiera e la ragazza si perse nella melodia prodotta dalla lingua di Ashton.
Gli sorrise riconoscente. "Grazie."
Non fece in tempo a gioire del suo successo che lo vide trincerarsi dietro l'ormai stoica facciata.
Il tempo ci contamina.
Ashton rimase a studiarla per qualche altro istante, poi non si trattenne oltre e le diede le spalle, uscendo finalmente da dove era entrato. Ma a Camille non scappò il brivido traditore che gli era corso su per la schiena.
Mi dispiace, Ashton. Di tutto.
Entrambi abbiamo scelto.
Due strade diverse.





Quando Luke mise piede nella stanza, trovò Camille intenta a sfogliare un libro che ad occhio e croce pareva consumato, come se fosse letto di continuo. Aveva lo sguardo spento, perso e quando Luke tossicchio per richiamare la sua attenzione, alzò di malavoglia le iridi dalle pagine ingiallite. Notò, con disappunto, che le dita stringevano spasmodicamente la rigida copertina ormai rovinata di "Orgoglio e pregiudizio".
Luke si appoggiò allo stipite della porta e la guardò con tutto l'amore che riusciva a imprimere negli occhi cerulei. "Come ti senti?"
Camille sospirò, richiudendo il tomo e appoggiandolo delicatamente sul comodino al suo fianco. "E' da anni che aspetto questo momento, e credevo ne avrei gioito. Invece non provo niente se non una folle paura."
"E' normale, credo" Luke comprese quanto Camille fosse turbata. Era andato a trovarla perché si sentiva in dovere di offrirle un supporto morale a cui aggrapparsi, tuttavia ora che la guardava con attenzione gli sembrava di capire che l'unica cosa che desiderasse davvero fosse rimanere sola e forse era giusto così. Quindi aggiunse, mesto: "E' meglio che vada."
Stava per tornare sui suoi passi quando la voce graffiante di Camille lo raggiunse come una stilettata al cuore. "Aspetta...aspetta un momento."
Si volse piano e osservò la ragazza combattuta socchiudere leggermente gli occhi e poi spalancarli con languida tranquillità. "Resta con me, stanotte."
Per ogni istante.
Provava un'insana voglia di esaudire quella richiesta, eppure era restio ad accettare. "Non credo sia una buona idea."
Bugiardo! Tu vuoi restare.
Ma nonostante la ragione lo spingesse ad allontanarsi da lei, da quel corpo accogliente che era ormai totalmente suo, Luke accennò un movimento nella sua direzione.
"Ti prego..."
Era un sibilo quasi impercettibile, ma che rimbombò con lo stesso fragore di un eco nella mente di Luke, tanto che non si accorse quasi di essersi steso al suo fianco nel letto e di averla attirata a sé contro il petto, prendendo ad accarezzarle piano i capelli. Camille gli si accoccolò ancora più contro, affondando il volto nella sua spalla e addormentandosi così, solo sentendo il suo sentore forte e di casa inondarle le narici.
Tempo.
Ho scelto te, Luke, con il rischio di non conoscere mai il sapore dell'amore.


Malavita II Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora