XXVII
Diventare l'uomo più ricco del cimitero non ha importanza per me. Quello che conta sul serio è poter dire tutte le sere di avere fatto qualcosa di meraviglioso.
Steve Jobs.
"Non puoi aver accettato" sibilò Luke, con le pupille dilatate di un azzurro vivo e per certi aspetti agghiacciante. Tendevano al bianco.
"Era la scelta migliore da fare, Luke" e l'unica, avrebbe voluto aggiungere.
Sospirò, dandole le spalle. Camille le vide alzarsi ed abbassarsi, e si dispiacque della marcata linea delle scapole che si intravedeva dalla maglietta attillata. "Non hai pensato a me, a noi?"
"Ho pensato a ogni particolare. Se vorrai potrai accompagnarmi a New York. Dopo la morte di Edward, programmata per la fine del semestre, scoppierà un putiferio e allora noi saremo già lontani. Fidati, è meglio defilarsi e lasciare che la scientifica svolga il suo lavoro" concluse, abbracciando la sua intera circonferenza da dietro e appoggiando le mani sull'ampio torace. Avvertì distintamente il cuore accelerare la sua corsa contro il palmo aperto della mano.
"Non è una cattiva idea" constatò dopo un po', voltandosi per concederle un vero sorriso.
"Lo so" sussurrò sulfurea prima di stampargli un delicato bacio nell'angolo della bocca, laddove stava il piercing. Luke chiuse gli occhi a quel dolce contattò e le passo le braccia attorno alla vita per stringerla contro sé, fino a diventare un'entità sola.
"Supereremo ogni difficoltà."
La sua mente volò, senza che potesse impedirlo, ad un frammento che odorava di tempi andati.
Aveva da pochi giorni superato la soglia dei sedici anni e come molti adolescenti si sentiva invincibile.
Era oscurata dai suoi stessi presupposti e da quella vendetta che ribolliva sadica nelle vene, un vulcano pronto ad eruttare che l'aveva portata a rivolgersi al miglior killer della zona: Jem.
Jem era di una bellezza rara, aliena. Aveva occhi scuri asimmetrici, i capelli sottili come steli di grano bruciati dal sole e il fisico cosparso da cicatrici di battaglia. Era bastato lanciargli un'occhiata per convincerla della grandezza che trasudava il suo spirito. Lo ammirava senza nemmeno conoscerlo.
"E così vuoi diventare un'assassina." Non c'era derisione nel suo tono cadenzato e nemmeno un briciolo di pietà. Solo genuina naturalezza.
"Sì."
Gli aveva risposto socchiudendo gli occhi e appoggiando le mani sui fianchi, per tentare di apparire il più chiara e magari minacciosa possibile. Non era mai stata tanto sicura.
Jem non alzò obiezioni e fece cenno di seguirlo in un corridoio diverso da quello che aveva percorso la prima volta che vi aveva messo piede. Era un antro stretto e buio. Per un istante le balzò in mente l'idea che potesse ucciderla lì, dove nessuno probabilmente avrebbe mai scovato il suo cadavere. Ma si affrettò a scacciarlo. Doveva fidarsi di Jem, era la sua unica possibilità.
L'uomo spalancò una porta e non appena Camille la oltrepassò, lo vide affrettarsi e richiuderla a chiave.
Il respiro le si mozzò in gola.
C'erano quarti di maiale scuoiati e sventrati appesi al soffitto. Traballavano dai ganci come se una presenza demoniaca si divertisse a stuzzicarli, ma la vera colpa era degli spifferi d'aria che penetravano l'ambiente dalla finestra dimenticata aperta.
Ebbe l'impulso di correre via e di rimettere, una volta lontana da quella scena, la sostanziosa colazione di cui si era rifocillata al mattino.
"Immagino che debba allenarmi su quei..." lasciò la frase in sospeso, sperando non avvertisse il patetico tremore della voce.
Jem sorrise leggermente ed incrociò le braccia al petto. La esaminò, enigmatico. "Non sei costretta, ma se vuoi diventare un'assassina devi imparare ad uccidere. Devi capire cosa si prova a trapassare la pelle viva."
Camille allora si focalizzò su quegli ammassi di carne, sui muscoli esposti e il sangue che gocciolava lungo il pavimento. Sarebbe stato più facile andarsene e continuare la vita che conduceva da sempre, ma Camille non era una persona facile da impressionare, e se da un lato tutto quello che l'attendeva la disgustava, dall'altro sapeva solo lei quanto l'allettasse. Pregustava già la lama che individuava lenta i tendini dell'uccisore di sua madre, che saliva tagliuzzando la pelle in macabri ghirigori tra le urla dell'uomo che avrebbe implorato pietà. Sentiva l'eccitazione di quando gli avrebbe strappato il membro pulsante, le grida strazianti in un crescendo e l'arma fredda che non si fermava, che saliva fino ad incontrare il cuore. E colpirlo, colpirlo ripetutamente fino a che della luce che gli animava gli occhi sarebbe rimasta solo una patina opaca.
Com'era sciocca e spregiudicata allora.
Camille non dubitò nemmeno un istante della risposta. "Sono pronta. Dimmi cosa devo fare e imparerò. Imparo in fretta."
Jem la guardò ancora più stranito di prima, in un modo che solo in seguito sarebbe arrivata ad associare a mero interesse.
"So che non mi riguarda, ma sappi che arriverà il giorno in cui ti pentirai di questa scelta. Accade sempre, la nostra non è una vita semplice."
Probabilmente nemmeno è vita.
Ma Camille non si lasciò scoraggiare nemmeno da quel monito. "Ed io so quello che faccio."
Jem non si pose più domande da quel momento. Sfilò un pugnale da un cinturone che teneva legato in vita e glielo allungò.
Camille lo accarezzò con le mani, tastandone la consistenza. Era pesante più di quanto avesse immaginato. Ed era gelido.
"Iniziamo con l'oggetto più semplice che ti possa capitare di trovare. Quando non avrai una pistola è di vitale importanza sapersi destreggiare con altri mezzi. Di solito un coltello si recupera senza problemi, e quando apprenderai alla perfezione ad usare un pugnale le altre armi da taglio ti sembreranno una passeggiata" spiegò con cipiglio accademico. Poi le indicò gli ammassi di carne.
"Colpiscilo. Fammi vedere di cosa sei capace."
Camille studiò per un istante la distanza che li separava, di circa dieci metri, poi caricò ogni energia sul braccio e lanciò.
La lama si conficcò al centro, proprio come immaginava: non poteva essere altrimenti da una ragazza che praticava scherma ed era cresciuta tirando con l'arco.
Jem fischiò, avviandosi al corpo per estrarre la lama. Camille vide che la tolse con facilità.
"La mira è buona, ma dobbiamo lavorare sulla tua forza. Hai a malapena scalfito la carne, di questo passo non ferirai neppure un bambino."
Aveva cantato vittoria troppo presto.
Camille gli strappò il pugnale dalle mani, serrandolo tra le dita nervose. Quella volta affondò più in profondità, ma per Jem non era abbastanza. Era un maestro fin troppo severo ed aveva preso sul serio il suo impegno.
"Più grinta. Immagina di avere davanti il tuo peggior nemico. Ti limiti a fargli il solletico o lo squarti vivo? Avanti Camille, colpiscilo!"
Camille ci riprovò, mossa dalla rabbia, ma questa volta nemmeno colpì il bersaglio. Il pugnale lo mancò di un buon metro, finendo a sbattere contro la parete dalla parte opposta della stanza.
Jem si grattò la nuca. "Così non andiamo bene" disse, voltandosi per fissarla. Camille ricambiò il suo sguardo truce. "Cosa c'è?"
Non si degnò di risponderle e continuò a scannerizzarla, cercando qualcosa che la tradisse in volto, finché dopo un lungo minuto sorrise soddisfatto. "Tu hai paura di colpirlo."
"Eh?"
Jem non le lasciò il tempo di ribattere, e si ritrovò davanti ad un costato di maiale.
"Colpiscilo da vicino. Trapassalo con tutta la forza che hai."
A quel punto comprese il suo dubbio.
Afferrò il pugnale e lo affondò senza ritegno. Non seppe spiegarsi il perché, ma improvvisamente uno schizzo di sangue le lordò il viso. Camille imprecò, perforando ancora con un gemito il corpo morto.
Jem era senza parole.
"Tu non hai paura di colpire." Avrebbe voluto aggiungere qualcos'altro, lo vide dal labbro che stranamente tremava, ma si trattenne.
Le passò un asciugamano. "Pulisciti."
Non la stava più guardando. Era come se fosse all'improvviso inorridito da lei.
E Camille ora conosceva il motivo: ai suoi occhi doveva essere apparsa come una poppante che già assaporava senza ritegno il sentore della morte. Così giovane eppure spietata. Senza scrupoli. A lei mancava solo la forza, non possedeva altre lacune.
"Supererò ogni difficolta" mormorò Camille, credendo che Jem fosse disgustato dalla sua mancanza di massa muscolare, prima di strappare il pugnale dal corpo. Scrutò il sangue che imbrattava la lama. Lo toccò, lo annusò storcendo un istante dopo il naso per l'odore acuto di sale e ruggine che le penetrò le narici.
Jem, che l'aveva osservata, scosse la testa per poi abbozzare un sorriso buono, affettuoso. "Devi renderti conto di quello che fai. E' sbagliato uccidere, ok? Non puoi alla tua giovane età essere talmente inconsapevole, solo col tempo si impara a diventare apatici. Ti giuro che supereremo ogni difficoltà."
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Malavita II Luke Hemmings
Fanfic"Ashton inspirò profondamente, socchiudendo gli occhi. E con quell’espressione dipinta in viso le parve bellissimo, in un modo contorto e crudele. Era sbagliato. Dannatamente sbagliato. Lui, e quello che stavano facendo. Ma non riusciva a sottrarsi...