04. AMBIENTARSI

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COSETTE's P.O.V.
Kathia é simpatica, mi abbraccia, si preoccupa per me. Mi dice che starò bene, che lei é qui per me. Questa cosa mi rassicura, sento una sensazione strana in pancia. Quasi come ci fosse un piccolo verme sul fondo del mio stomaco. Però non é piacevole. Era da tempo che non ti sentivo, cara fame.
Kathia mi dice di seguirla fuori dalla mensa. Mi volto verso i ragazzi, solo per salutarli, ma Luke é concentrato sui suoi cereali e Ashton e Calum si stanno abbracciando in maniera teatrale, quindi lascio perdere e abbasso lo sguardo.
Mi incammino dietro la donna, con passo un po' strascicato.
"Susu, ragazza, animo!" scherza Kathia.
"S-Si, a-arrivo...io...si" balbetto, e aumento il passo per raggiungerla.
"Sei davvero carina sai? Come hai fatto a ridurti così?"
"Io...io non me lo ricordo." rispondo: "Kathia...?"
"Dimmi"
"Ho fame"
Sembra al settimo cielo dopo la mia affermazione, saltella quasi, spiegandomi squittendo che sono la prima anoressica che glielo dice il primo giorno di terapia. L'unica in una brillante ventina d'anni di carriera. Beh, almeno sono unica in qualcosa.
Mi conduce in una stanza abbastanza grande, ma deserta. Prende in mano un foglio e lo consulta per un po', mentre io mi guardo un po' intorno, soffermandomi a leggere i manifesti colorati appesi alle pareti bianche, che illustrano le "regole del mangiare".
Io ho smesso di farlo circa un mese fa, non per scelta, ma perché proprio non avevo scelta.
"Ecco qui. Questa é la dieta che seguirai per adesso." Sorride: "Hai voglia di raccontarmi un po' di te mentre mangi?" e mi porge un piatto contenente un qualcosa di non meglio identificato che assomiglia un po' a vomito ma non ne sono del tutto certa.
"Cosa devo dire?" malgrado il cattivo aspetto, sono felice di vedere del cibo nel mio piatto.
"Quello che vuoi, Cosette" mi guarda dritto negli occhi con espressione materna.
"Allora...cioè...io non lo so se mi chiamo effettivamente così...non me lo ricordo in realtà. É da qualche mese che faccio fatica a ricordarmi le cose, ho la mente offuscata. Mi ricordo solo tanto tanto dolore."
"Il dr. Shermann ti ha trovato in strada, giusto?"
"Si" Shermann. Dovevo la mia vita a quel tizio: "Mi ha portata lui qui?"
"Si, l'ha fatto" risponde seria: "Ti ricordi come ti sei procurata quei tagli?" indica le mie braccia martoriate da tagli profondi: "Non sono belli".
"Non li ho fatti io." rispondo: "Sulla porta della mia stanza c'è scritto che me li sono fatti da sola, ma giuro non li ho fatti io."
"Hai altro da dirmi?" incalza.
"No." e mi concentro sul mio pasto, senza aggiungere nemmeno una parola.
Passano i minuti, e nessuna delle due parla. Mi ha turbata. Parlare del passato, dei segni che quel passato ha lasciato su di me. Finisco di mangiare in fretta.
"Bene, ragazza mia. Se non hai altro da aggiungere..."
"Aspetti...io...perché non mi ricordo nulla della mia vita prima che...ecco...prima di questo?" mi alzo la manica della felpa e le mostro il braccio ossuto pieno di cicatrici.
"Non lo so, bimba mia. Credo sia una sorta di stress post traumatico ma non sono di certo io quella che si occupa di queste cose dentro qua." taglia corto: "Ora andiamo, ti riporto in camera tua, così puoi...boh, farti gli affari tuoi"
Usciamo, ma nel grande corridoio intravedo uscire da una porta il ciuffo biondo di Luke.
Sento una cosa alla bocca dello stomaco, un vuoto di un secondo. Sorrido come un'ebete, e appena me ne rendo conto guardo verso il basso.
"Hei" Luke si avvicina a noi a grandi falcate.
"Oh ma...vi conoscete?" chiede Kathia.
"In un certo senso si" sorride il ragazzo.
"Allora vi lascio, Luke portala tu in giro" e la donna se ne va.
"Ciao, piccoletta" sussurra lui.
"Smettila di chiamarmi così" sbotto, sempre guardandomi le punte delle vecchie vans distrutte.
"perché?" ride: "a me piace"
"Eh vabbe ma..." non ho motivazioni, piace anche a me quel soprannome, diavolo. Mi fa sentire...a casa.
"Vedi" si avvicina. Sa di pulito. Mi punta gli occhi addosso. I nostri visi sono a pochissimi centimetri di distanza. Il mio cuore prende il volo: "Non hai obiezioni, Cosette."
"Hai cambiato nome però" gli sorrido.
Si allontana, sul viso ha un'espressione teatralmente scioccata. Se ne sta zitto, sempre con quell'espressione cretina in faccia.
"Che hai adesso?" rido. Si riavvicina e mi prende il mento con le dita. Sento il suo respiro. Oh mio dio.
"É la prima volta che mi sorridi, mostriciattolo" piega un angolo della bocca in un sorriso sbilenco accarezzandomi la guancia con il dorso della mano.
"LUKE!!!!" la voce squillante di Ashton ci interrompe bruscamente: "DOVE DIAVOLO ERI FINITO???"
"Io...cioè..."
"E le patatine dove sono?? -Ciao Cosette- TI AVEVO DETTO DI PRENDERLE!!!!"
"Mi sono fermato un attimo da lei"
"Ciao Ashton"
"Per stavolta passi Hemmings, ma non abituartici. Ti aspetto in camera mia. MUOVI IL CULO" e se ne va. Luke mi guarda sorridendo.
"Dovere chiama. Sai arrivarci alla tua camera da sola?"
"C-credo di sì"
"Perfetto, allora ci vediamo, piccoletta" e si allontana.

***

Sarà mezzanotte circa...ma non ne sono del tutto certa. So solo che non riesco a dormire. In nessun modo. Ho ancora la sua immagine impressa nella mente. Il suono della sua voce, il suo respiro sulle labbra. Sento un vuoto. Una mancanza.
Appoggio le punte dei piedi sulle piastrelle fredde. Indosso la felpa e i leggins. Non so perché lo sto facendo, onestamente. Però aveva detto qualsiasi cosa.
Sento dei rumori che vengono dalla sua camera. É musica. Timida, silenziosa, fatta per non farsi sentire troppo. Un dolce strimpellare di corde.
Mi faccio coraggio. Busso. La musica smette di colpo.
"Avanti" la sua voce é ottavata dalla porta chiusa. Entro timidamente.
"Hei" sussurro.
"Cosa ci fai qui piccoletta?" non sembra stupito. Quella stupita sono io, di trovarlo con indosso solo i jeans strappati a vita bassa che lasciano vedere l'elastico dei boxer. Sorride. Soffoco una risatina nel sentire le mie guance avvampare mentre gli fisso spudoratamente la pancia.
"Non riuscivo a dormire" mi giustifico.
"Neanche io" mi fa cenno di avvicinarmi e posa la chitarra sulla parente: "Proprio a te stavo pensando".
"Oh...io...ehm...tu suoni?"
"Era da un pezzo che non prendevo in mano la chitarra"
"Ah...io...scusa se mi sono catapultata qua senza avvisar..."
"Non importa mostriciattolo" ride "mi fai compagnia?"
"Certo"
Si distende sul letto, io prendo posto su una sedia accanto alla scrivania. Mi guarda. Sorride.
"Senti è inutile che mi guardi così, non ho intenzione di rimettermi la maglietta" scherza "fa troppo caldo"
"Fa niente, cercherò di non guardare" e giro la sedia verso il muro
Un sorriso beffardo compare sul suo viso.
Per un po' parliamo del più e del meno, parliamo di lui, del suo passato, visto che il mio non me lo ricordo. Scopro che fino a poco tempo prima era un ragazzo normale, prima che suo padre scoprisse il fascino della droga.
"Mia madre andò fuori di testa, praticamente. Non riusciva a stare dietro a tutto, e in più io non sono mai stato un ragazzino troppo tranquillo. Avevo l'assurda convinzione che rubando avrei messo fine alle nostre sofferenze, ma sai com'è, una volta che cominci non la smetti più, è come un vortice che ti risucchia"
"E poi?"
"Poi i miei fratelli sono cresciuti, si sono trasferiti e non hanno più voluto sentire parlare di noi. Questa cosa ha distrutto talmente tanto mia madre che quando abbiamo trovato mio padre appeso al lampadario del bagno, ha deciso che avrebbe fatto la sua stessa fine."
"Sei orfano quindi..."
"Non proprio. I miei amici sono la mia famiglia. Non sono del tutto solo."
"Io sì invece..."
"Cosette?"
"Si?"
"Tu hai me"
Silenzio.
"Posso essere io la tua famiglia, se vuoi"
"Sarebbe meraviglioso" sorrido, e mi distendo tra le sue braccia. Mi stinge.
"Buonanotte mostriciattolo"

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