Cammino in un corridoio ampio, luminoso. Con le dita accarezzo la superficie ruvida ed irregolare di un mobile intarsiato. La suola delle vans scricchiola a contatto con il parquet, ed é esattamente quello che voglio. Voglio che mi senta, mentre vado via. Voglio che sappia che non riuscirà a fermarmi. Ho le nocche tagliate, i segni dei pugni scagliati poco prima agli angoli degli armadi in camera mia. Ho ancora l'eco delle urla di mio padre nelle orecchie, contunuano a ripetersi nella mia testa, come una cantilena. Vogliono uccidermi, farmi impazzire.
"Che cosa credi di fare?"
"Sto andando in città."
"E tua sorella? Io? Non avvisi nessuno?"
"No"
"Smettila di fare la strafottente, puttanella." è una donna magra, alta e rinsecchita che mi parla. Mia madre, credo, perchè ha il mio stesso colore di capelli, lo stesso modo di fare. Ma lo sguardo è diverso, lei non ha gli occhi gonfi, lei non ha pianto. Non so perchè non le rispondo, semplicemente mi chiudo la porta alle spalle. La rabbia mi ribolle dentro, stringo i pugni e sento le vene che pulsano in ogni taglio sul mio braccio.
"Felicitée! Fizzy!!" questa è una voce di bambina, chiama me "Aspettamiiiii" strilla.
Vedo una piccola sagoma correre sui ciottoli chiari del vialetto davanti casa. So che conosco questa piccola bimba sorridente, sembra un confetto.
I fronzoli del vestito svolazzano attorno ai suoi boccoli castani mentre si precipita verso di me.
"Hei, piccolina, non urlare" la accolgo tra le mie braccia e la stringo.
"Dove vai?" mi sorride. E' cosi bella, innocente. Felice. Non so davvero come faccia.
"In città a prendere un paio di CD" le rispondo, sollevandola e sistemandola tra le mie braccia.
"Voglio venire con te, io. A casa c'è la mamma che urla!" sprofonda il naso nel cappuccio nero della mia felpa enorme "Non mi piace quando mamma urla."
"Hei...hei, è tutto apposto, poi le passa, tranquilla." so che sto mentendo. A lei e a me stessa.
"Torni vero?" domanda la piccola, piantandomi addosso due enormi occhi color del ghiaccio.
"Certo" mento di nuovo, ma questa volta gli occhi pizzicano, diventano lucidi, ma per mascherarli, sorrido. Me ne voglio, andare, questo è chiaro, ma nella parte ancora cosciente della mia mente non so perchè. Deve essere successo qualcosa, qualcosa che questo piccolo batuffolo di volant non sa "Torna in casa, magari convinci la mamma a fare una torta, eh?"
"Siiiiii" esulta e, scendendo dalle mie braccia, si riavvia saltellando sul vialetto di casa. So che non la rivedrò mai più.
***
Mi sveglio accaldata, il sudore freddo che mi imperla la fronte e sgocciola sul cuscino. Che cosa era? Sono stordita, non ci vedo bene, gli occhi mi fanno male, bruciano. Ed ho la gola secca, come se avessi appena urlato a pieni polmoni. Cerco di calmarmi, di riprendere a respirare regolarmente mentre la marea di pensieri, ricordi, sensazioni torna a riversarsi su di me come una doccia fredda. Sarà notte fonda. O pieno giorno. Non ne ho idea, sono giorni che non esco dalla mia camera. Da quando hanno trovato Lei. Con una corda al collo. E' stato orribile.
Riappoggio con delicatezza la testa sul guanciale, attenta a non aumentare le pulsazioni che mi martellano le tempie, e chiudo gli occhi, sperando in un buio riappacificatore, che non arriva. Appena le palpebre si chiudono la mia mente mi sbatte davanti l'immagine della ragazza che avevo conosciuto così poco tempo prima, gli occhi vitrei, spalancati innaturalmente su un mondo che non può più vedere. La sua testa gira attorno al cappio, il suo corpo bianco che dondola nel vuoto. Continua a tornarmi alla mente, continua a ripresentarsi, il mio incubo più frequente, la mia paura più grande, la mia mancanza più presente.
