IV - La villa del conte

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Henry camminava svelto e con lo sguardo basso per il piccolo sentiero che collegava Gloompark a Moonland: i passanti lo osservavano con occhi curiosi, forse riconoscendolo per ciò che era e chiedendosi in cuor loro il motivo per cui non stesse custodendo il cimitero a quell'ora del mattino.

La conversazione con Annabelle non si era evoluta di molto dopo la sua richiesta, ma almeno sapeva cosa doveva fare.

La stradina era abbastanza larga da far passare una carrozza, ma non troppo illuminata: gli alberi ai lati fungevano da riparo dalla luce del sole, come una sorte di tunnel quasi perennemente buio.

I raggi solari filtravano a malapena dalla spessa coltre di foglie, ed Henry si sentì subito sollevato nel rendersene conto: la sua corporatura esile lo aiutava a non catturare troppo l'attenzione dei presenti, e il lavoro gli era senza dubbio facilitato dagli abiti scuri che - grazie alla poca presenza di luce - si confondevano con il buio tutto attorno a lui.

Il collegamento fra Moonland e Gloompark era frequentato solo dai mercanti o dai messaggeri, nessuno voleva percorrere quella stradina senza uno scopo ben preciso: forse la paura era dettata dalla vicinanza del cimitero, o forse era dovuta alla quasi totale assenza del sole.

I cittadini delle due fazioni - di conseguenza - restavano estranei, il che giocava senz'altro a favore del giovane Henry, sapendo che - una volta arrivato a destinazione - non avrebbe ricevuto più le occhiate sospettose degli altri passanti.

E fu così.

Per la prima volta dopo tanto tempo si sentì come un normale ragazzino di sedici anni con un unico pensiero per la mente: divertirsi.

Sparì per un momento la consapevolezza di avere centinaia e centinaia di cadaveri ad aspettarlo nel cimitero, come se potessero in qualche modo sentire la sua mancanza.

Senza nemmeno accorgersene, Henry si ritrovò a camminare con la testa alta e dritta.

Ma non era venuto a Moonland per dimenticare per un istante il passato: era venuto a Moonland per visitare la villa del conte Frederik.

Il tragitto durò per qualche altra decina di minuti fra persone solari e socievoli, totalmente diverse dagli abitanti di Gloompark.

Si respirava aria nuova, aria pulita, aria non contaminata dal lutto imposto dai marchesi per la perdita della loro unica figlia.

Man mano che si avvicinava alla sua destinazione, però, i sorrisi e le chiacchiere diventavano sempre più radi: la villa del conte era sede anch'essa di un malessere pressoché contagioso, dovuta alla tragica scomparsa dell'erede di Moonland.

Henry individuò la porta d'ingresso e subito passò oltre, cercando di non catturare l'attenzione della servitù.

Arrivò al limite della facciata anteriore dell'edificio e poi abbassò lo sguardo, esattamente come Annabelle gli aveva detto: nel vicolo fra la villa e la casa adiacente, sporgevano due piccole porticine dal terreno apparentemente adibite a fungere da piccolo magazzino, ma dalle quali si poteva avere un accesso sicuro e segreto all'interno.

Guardandosi intorno per essere certo che nessuno lo stesse osservando, Henry vi si avvicinò e aprì le porticine con un notevole sforzo, come se fosse il primo ad usare quel passaggio dopo parecchio tempo.

Scese dieci gradini nell'oscurità prima di mettere i piedi sul terreno, mentre il forte odore di polvere gli solleticava il naso e lo induceva a starnutire.

Solo per miracolo riuscì a stare in silenzio e a non produrre alcun rumore, quindi seguì la piccola luce proveniente dalla serratura della porta posta all'altro lato della stanza buia.

Nel girare il pomello, si ritrovò in una camera piccola e decisamente poco illuminata, abbandonata a se stessa: nonostante le pareti fossero chiare, le tende scure delle finestre impedivano in modo parziale il passaggio di luce, dando alla stanza un'aria macabra e triste.

Tre letti singoli erano posti uno accanto all'altro, con le spalliere attaccate al muro: davano la sensazione di non essere toccati da giorni, come se fungessero solo da abbellimento.

Henry decise di lasciar perdere e si avvicinò subito alla porta d'uscita della stanza, dalla quale proveniva un sommesso rumore di passi: sapeva che, una volta averla oltrepassata, si sarebbe ritrovato di fronte agli addetti alla servitù, nonostante il loro padrone fosse morto da una settimana circa.

Si chiese per un momento per chi stessero lavorando, ma poi la paura ebbe il sopravvento e non riuscì proprio a girare la maniglia per uscire.

Posò un orecchio alla porta per notare quando il suono di passi fosse finito e, una volta aver percepito solo il silenzio, la oltrepassò con un'agilità di cui lui stesso non si credeva capace.

Neanche si disturbò a gettare uno sguardo nel grande salone d'ingresso in cui era capitato: corse subito in direzione delle scale conducenti al piano superiore, appiattendosi contro le colonne quando di tanto in tanto gli veniva il sospetto di non essere più solo.

"Ultima stanza in fondo a sinistra", gli aveva detto Annabelle la sera prima, con sguardo più serio del solito.

Henry si ripeté nella mente quelle sei parole all'infinito, come se farlo potesse in qualche modo rendere più fattibile la missione che gli era stata affidata.

Il cuore gli saltò in gola quando da una porta del corridoio spuntò una cameriera bassa e tozza, e subito si mise in ginocchio dietro una pianta per non essere visto; ma la donna era troppo intenta a canticchiare un motivetto allegro per notarlo, quindi passò oltre senza nemmeno guardarsi indietro.

Henry si alzò poco dopo e corse a perdifiato verso l'ultima porta indicatagli da Annabelle e pregò vivamente che non fosse chiusa a chiave: ma riuscì ad aprirla senza problemi al primo tentativo, quindi entrò con un sospiro affannoso e se la richiuse alle spalle.

La stanza che si ritrovò di fronte era decisamente più grande della precedente e molto più illuminata: le coperte del letto e le tende, però, erano di un colore talmente scuro da esprimere anch'esse il lutto che Henry aveva avvertito fin dalla strada prossima alla villa.

La camera del conte era pulita e splendente, ma non abbastanza da mettere in ombra quella strana malinconia sprigionata dal mobilio.

Annabelle gli aveva detto di aprire il secondo cassetto del suo comodino, luogo in cui Frederik aveva conservato le loro fedi prima del matrimonio, e Henry obbedì.

La sua ricerca durò parecchi minuti, ma si rivelò del tutto inconcludente: non trovò neanche il cofanetto degli anelli in mezzo a tutta quella biancheria pulita e stirata, perciò dovette rinunciare alla sua missione con una certa delusione.

Nonostante ritenesse la richiesta di Annabelle un vero e proprio peso, lo infastidiva non riuscire a portare a termine un'impresa, seppur di portata ridotta.

Henry uscì dalla stanza con la stessa prudenza di prima, ma dovette rientrare all'istante nell'intravedere due cameriere avvicinarsi alla camera del conte, intente a chiacchierare.

Si guardò subito intorno, alla disperata ricerca di un luogo in cui nascondersi, mentre le voci delle donne diventavano sempre più forti e la maniglia della porta si abbassava a poco a poco.

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