CAPITOLO 5: SALVATAGGIO

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"Un salvataggio? Chi fu salvato? E da chi?"

"Un salvataggio che avrei preferito non ci fosse stato...

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Quella fu l'ultima volta che parlai con Alaska, almeno durante i tempi del liceo.

Continuai a frequentare Jack, ma quest'ultimo iniziò a organizzare gli incontri sempre meno, fino a perdersi del tutto, dietro ad Alaska... Perse ogni vizio, non era possibile nemmeno che cadesse in tentazione. Diceva che, ogni volta che pensava a lei, le farfalle nello stomaco lo divoravano, facendogli perdere interesse per qualsiasi cosa. Io e lui imparammo a conoscerci meglio, nel corso degli ultimi due anni. Lui si fece bocciare apposta per rimanere accanto ad Alaska, perchè una volta finito il liceo la sua famiglia aveva intenzione di trasferirsi altrove, e la madre di Jack, da quando ebbi il "piacere" di conoscerla... beh, non era il tipo da volerlo vedere allontanarsi dalla tana. Quando lo conobbi per la prima volta, pensavo fosse di molto più grande di me ed Alaska, ma mi sbagliavo. Sebbene fosse dell'ultimo anno, Jack aveva solo 16 anni, anche se il suo aspetto lo faceva sembrare più grande. Prima di trasferirsi nella mia città, Jack abitava in un'altra. La madre lo faceva studiare come un matto, e lui riuscì a fare 3 anni in uno"

"Mi perdoni, Eleonore, ma... la storia di Jack in tutto questo è così rilevante o... la sta raccontando per completare per bene il suo "libro", presentando per bene tutti i personaggi?"

"Mi ha fatto ridere, Dottoressa. Come ha fatto a capirlo?"

"Semplice intuizione. Non dovrei permetterle di farci perdere tempo in inutili raccontini, ma è quello che ha chiesto all'inizio, e io le ho dato la mia parola che l'avrei ascoltata. Magari qualche particolare interessante ci sta pure. Prosegua, Eleonore"

"Descrivere al meglio Jack è un dettaglio importante, sennò come posso inserire il suo fidanzamento con Alaska, nella storia? Così, a caso? Ooops... Spoiler!

E non mi guardi così, ho passato tutta la vita a piangere, un pizzico di umorismo e ironia ci sta tutto, sennò non sarei la ragazza del suo fascicolo.

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Lui e la sua famiglia si trasferirono nella mia città perchè lei, la madre, aveva trovato lavoro come Primario di Pronto Soccorso all'Ospedale. Il padre era molto diverso dalla moglie, incitava il figlio ad uscire e a farsi degli amici, a godersi la vita. E così Jack fece, diventando il tossicodipendente che era quando io iniziai il primo anno. Naturalmente, quella pazza della madre diede tutta la colpa al padre per il cambiamento del figlio e di conseguenza si separarono. Jack continuò a frequentare gente sempre diversa, fino ad arrivare ad avere una grossa rete di contatti per procurarsi la roba. Alaska lo sapeva benissimo, per questo quel giorno gli ordinò di non mettermi in contatto con nessuno di loro.

Un giorno... un Sabato di Dicembre, credo, nel periodo festivo Natalizio, all'incontro eravamo solo io, Jack e suo cugino Alister. Un ragazzo robusto anche lui, ma con i capelli biondi. Niente a che vedere con Jack per quanto riguardava l'estetica. Sembrava un modello. Alister era completamente dipendente dai Trips e dagli allucinogeni, così ne portò un pò, dicendo che offriva lui. Non fumammo nè facemmo niente, visto che, mentre ci stavamo dirigendo al vecchio parco abbandonato -quello del mio primo Trip-, la nostra attenzione fu rapita da un'auto della polizia occupata in un inseguimento. Il veicolo che la polizia stava inseguendo diminuì di velocità non appena passò davanti a noi. Alla vista della persona che stava alla guida il mio sangue iniziò a ribollire. Il sorriso che mi fece in quel così piccolo ma intenso attimo causò in me una leggera perdita di equilibrio, mentre la rabbia che mi cresceva dentro esplose quando lei mi salutò con quella sua sudicia, scheletrica mano sporca del sangue di mio fratello... Margareth Blanche accelerò di nuovo, scomparendo pochi secondi dopo alla mia vista, limitata da case e palazzi. Era una cosa voluta. Ha decelerato di sua volontà. Voleva che la vedessi. Non ero più la ragazzina spaventata di un tempo. Con il passare degli anni iniziai ad essere alimentata dalla rabbia e dal rancore. Non avevo paura di morire perchè ero già morta. Raccolsi tutte le enorgie che mi erano rimaste ed iniziai a correre verso la direzione che aveva preso l'auto. Sentii Jack ed il cugino che mi chiamavano da dietro, ma le loro voci iniziarono a perdere d'intensità man mano che mi allontanavo. Correvo, nella speranza che quell'auto si schiantasse contro qualche edificio od oggetto. Non m'importava del disastro. Volevo che lei pagasse per ciò che aveva fatto. Per quanto corressi con tutte le forze, la sirena dell'auto della polizia pian piano si perdeva in lontananza. Li stavo perdendo. Avrei tanto desiderato una bicicletta, in quel momento. Non avrei esitato a rubarla a qualcuno, se mi si fosse presentata l'occasione, anche a costo di buttarlo a terra o minacciarlo. Non avevo più fiato e l'auto era già bella che lontana. Non c'era aluna possibilità che la raggiungessi. Desideravo con tutta me stessa raggiungere quella donna e speravo che la polizia la mancasse, così da poterla strangolare con le mie mani. Mentre per la mente mi attraversò il pensiero che avrei potuto rivederla in TV o sui giornali, il cellulare squillò: era mio padre. Non riuscii a rispondere in tempo che cadde la linea, e allo spostare gli occhi dal cellulare alla strada davanti a me, vidi che questa non c'era più. Tutto il panorama era cambiato. Ma io non mi ero fatta. Non avevo ingerito nessuna sostanza. A quel punto, le parole di Alaska occuparono la mia mente: <<Cavie... E SE FOSSIMO CAVIE?>> In quel momento temetti che il mio cervello fosse stato danneggiato. Avevo le allucinazioni. Tutto era grigio, tranne il cielo; quello era azzurro. Non c'erano più palazzi intorno a me, ma solo degli enormi fili neri, appuntiti, che fuoriuscivano dal terreno. Erano dappertutto. <<Eleonore>> Mi sentii chiamare alle mie spalle da una voce fredda, da donna. Una voce che si avvicinava di molto ad un lamento. Mi voltai e non più una goccia di sangue mi rimase in corpo, dopo aver visto ciò che mi chiamava: era una donna altissima, il doppio di una persona normale, ed era avvolta in un lenzuolo bianco. Non... non riuscii a capire bene il suo volto, era indefinito... sfocato, ma aveva dei lunghissimi capelli che coprivano metà del viso. <<Ti ho bloccata, Eleonore>> Poi scoppiò in una spaventosa risata, tale da far scendere la temperatura del mio corpo quasi a 0. Avevo molto freddo. Ero spaventata. <<La tua assenza qui comporterà una tua assenza lì, e la tua assenza lì sarebbe una grossa vittoria. Oh, quanto vorrai morire>> E riprese a ridere... <<Oh, quanto opterai di nuovo per la stessa scelta>> <<Quale scelta?>> Le urlai contro, per contrastare la sua spaventosa risata. <<Ancora non ne hai ricordo?>> Disse con un misto di stupore e rabbia. <<Non ha importanza, faremo in modo che tu te ne ricordi, così potrai finalmente morire. Ti è stata concessa una scelta, e tu hai scelto...>> Improvvisamente mi sentii avvolta in una stretta fortissima, e mi accorsi di stare attraversando una lunga distanza, senza camminare, ma trasportata da qualcosa di molto più grande di me ma della quale non potevo vedere niente. Guardai sotto di me e vidi il terreno cambiare ogni secondo, perchè percorso ad alta velocità da non so cosa. Sembrava quasi di volare, se non fosse stato per la potente presa e il brusco movimento della "cosa" che mi stava trasportando. Mi sentivo protetta"

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 24, 2015 ⏰

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Eleonore Awer in: Gli sbagli della Fenice Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora