Capitolo 5: donzelle

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Capisco esattamente chi è, e quando mi siedo al tavolo ne ho la conferma. Così dannatamente bello, sembra fatto per stare seduto lì a guardarmi. Sembra un'opera d'arte che ha così tante cose belle, così tanti dettagli che non ti stanchi mai di guardarla.

Cerco di fare attenzione a non fare gesti goffi o sguaiati, e per un minuto abbondante rimaniamo in silenzio, ad ascoltare la musica e goderci l'atmosfera.

"Ciao, come ti chiami?", mi chiede il ragazzodellafermata. Non posso credere che sto per conoscere il suo nome, mi mancherà chiamarlo ragazzodellafermata.
"Alessia. Tu?", rispondo semplicemente, perché sinceramente non so cos'altro dire. Sono pietrificata dal suo sguardo,  dalle sue parole e dalla sua voce così profonda. Non l'avevo mai sentita prima d'ora, e me ne rendo conto soltanto nel momento in cui gli rispondo.

"Che bel nome, lo adoro. E tu sei molto carina.", arrossisco mentre parla, "Io sono Marco", mi rivela.

Marco.

Un bel nome per un bel ragazzo.

Forse lo ritengo bello solo perché appartiene a lui. Ma comunque, mi piace.

"Ehi amico, non rubarmi la ragazza. Ne hai già una", dice Luca, e non posso che sentirmi un pizzico triste per quest'ultima scoperta. Aveva una ragazza. Ovvio.
"Tranquillo, è tutta tua. E' davvero uno schianto, cavolo. Sei un ragazzo fortunato", dice Marco, guardandomi sempre dritto negli occhi. Senza mai distaccare lo sguardo.

Inaspettatamente, Luca mi circonda il viso con la sua grande e morbida mano e mi bacia. Non è un semplice bacio.

E' un bacio passionale, dolce, caldo, che mi trasmette un senso di amore. Mi sento in qualche modo amata, qualcosa che non avevo mai davvero provato prima. Mai.

Quando il bacio finisce, mi sento catapultata di nuovo nella realtà. Il pub affollato, le voci, la musica. Tutte cose che avevo dimenticato fossero intorno a me.

Non provo niente per Luca, e mi spezza il cuore pensare che un giorno dovrò dirglielo. Ho sentito il calore dell'amore, e per me questo è già tanto.

Quando alzo lo sguardo, Marco è senza parole, quasi incredulo.

"Wow, bella pomiciata Luke. In questo momento ti sto invidiando", dice Marco, con la testa appoggiata sulle mani come uno spettatore interessato.
"Mark, la tua donzella dov'è?", chiede Luca, come se si sentisse in colpa di avermi baciata senza che Marco avesse una donzella da slinguare.
"Non ho più una donzella", risponde Marco, stranamente felice, senza nemmeno un briciolo di tristezza nella sua voce o nei suoi occhi. Comunque, mi dispiace per lui.
"Mi dispiace davvero, Marco" , dico sinceramente, guardandolo negli occhi, frenando quella voglia di baciarlo che arde dentro di me.
"Non fa niente, ma non chiamarmi Marco. Sono Mark", puntualizza.
"E tu chiamami Alex", puntualizzo, mettendo le cose definitivamente in chiaro tra di noi.
"Lui può chiamarti Alex e io devo chiamarti Ale? Mi sembra una cosa ingiusta", mi dice Luca, facendo un finto broncio fin troppo adorabile e tenero.
"Volevo riservarti un nomignolo d'onore, ma vedo che non sei interessato", dico io, prendendolo per il culo.
"Simpatica", risponde Luca, avendo probabilmente intuito il sarcasmo, "tu chiamami Luke, che Luca è un nome di merda".
"A me piace perché ce l'hai tu", gli dico, semi-sinceramente. Era una cosa che avevo già pensato di Marco, ma la pensavo anche di lui. Nella mia testa sembra una frase riciclata.

Luca, anzi, Luke, mi bacia di nuovo, stavolta più di sfuggita. Intuisco il disagio di Mark e decido di togliermi di mezzo.

"Qualcuno vuole un drink?", propongo ai ragazzi.
"Due bicchieri di vodka, grazie Alex", mi dice Luke, baciandomi sulla guancia.

Mi alzo e decido di prenderne uno anche per me. Cammino verso il bancone finché non lo raggiungo. Dietro al bancone trovo un ragazzo straordinariamente bello, che ovviamente però non mi fa provare le stesse cose di Mark, nonostante fosse bellissimo come lui.

"Ciao piccola, posso darti qualcosa?", mi chiede il bel barman. All'inizio rimango spiazzata dalla parola "piccola", ma decido di pensare che in quella città funzionasse così.
"Tre bicchieri di vodka, grazie", dico di sfuggita.

Il barman mi prepara i bicchieri, versa il liquido nei bicchieri trasparenti e prima di darmelo mi guarda intensamente negli occhi, come se stesse provando a trasmettermi la sua anima o roba simile.

"Grazie", prendo i bicchieri pieni, lascio i soldi e torno al mio tavolo, senza volere il resto. Però capisco che Mark e Luke hanno ancora bisogno di parlare tra di loro senza palle al piede. Perciò, quando torno al tavolo, lascio lì i bicchieri e mi invento una scusa provvisoria, una scusa fin troppo logica.

"Devo andare al bagno", dico, senza un pizzico di fantasia per le scuse inventate su due piedi, "voi restate qui. Torno subito."

Rapidamente, mi dirigo al bagno, mi chiudo la porta alle spalle insieme ai miei due ragazzi perfetti seduti al mio tavolo.

Non erano miei. Ma volevo che uno di loro lo fosse.

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