"Alessia, la colazione è pronta!", sento nel sonno, mentre i miei occhi rifiutano di aprirsi ma le mie orecchie ci sentono chiaro e tondo. "Alessia svegliati!", continuo a sentire. Finalmente i miei occhi decidono di aprirsi e capisco che mia mamma mi sta chiamando da almeno quindici minuti, perché sono chiaramente in ritardo. Mi vesto in fretta e furia, prendo le prime cose che mi capitano sotto mano e decido che possono andare bene per un giorno deprimente a scuola. Non capisco esattamente quando mi ero addormentata, probabilmente non nel mio letto, perché mi sono svegliata con i vestiti della sera prima. Deve avermici messa mio fratello sotto le lenzuola.
Dato il mio abbondante ritardo, abbandono i pensieri, vado in bagno, mi metto quel poco di trucco che basta per rendermi almeno presentabile e per non farmi somigliare a uno zombie e scendo giù in cucina. Mia madre, con gli occhi pesanti e rossi, si avvicina con il mio piatto di uova e un bicchiere di latte.
"Buongiorno piccola", mi dice. Penso sia molto strana da parte sua tutta questa dolcezza, ma decido di abbandonare per un attimo tutti i dubbi riguardo mia madre. Ricambio il buongiorno con un sorriso, evitando qualsiasi tipo di conversazione che comprenda le solite domande come "ti trovi bene a scuola?" o "quanti amici ti sei già fatta?". E probabilmente per lei il termine "fatta" significava qualcosa di più che "fare conoscenza".
Per me è molto umiliante il fatto che dopo una settimana non mi fossi trovata nemmeno un'amica. Ero una persona sociale e sono convinta di esserlo ancora, devo solo lasciarmi l'esperienza del trasloco alle spalle e decidermi a vivere questa nuova vita. Non posso starmene lì seduta a guardare il film della mia vita scorrere senza poterlo mettere in pausa e viverlo. Non posso vivere nel passato, perché ormai è passato. Devo solo godermi ciò che ho adesso.
Mangio le mie uova in un tempo record e mi fiondo sulla porta, metto le scarpe, prendo lo zaino ed esco, salutando mia madre. Quando arrivo alla fermata dell'autobus sotto casa mia, è pieno di gente che chiacchiera e scherza. Noto in particolar modo il sorriso di un ragazzo che parla con una ragazza che gli somiglia molto, probabilmente sua sorella. O forse no. Un ragazzo non troppo alto, dal sorriso raggiante, del tipo che potrebbe illuminare il mondo ed eguagliare il sole. Gli occhi azzurri come il ghiaccio, di quelli che ti pietrificano con lo sguardo e che staresti ore a guardarli senza fiatare, i capelli abbastanza lunghi marroni che si ribellano in dei riccioli scomposti, le labbra così soffici e carnose...
"Ciao sconosciuta", sento dietro di me. Mi giro di scatto, distratta dal mio sogno mentale e dalla mia analisi di quel ragazzo così bello ma così impossibile. Vedo Luca, il ragazzo che il giorno prima mi aveva chiesto di andare a prendere un caffè. "Ancora non so il tuo nome", aggiunge.
"Non è importante", gli dico. "Comunque mi chiamo Alessia. Chiamami solo Ale, perché il mio nome per esteso mi fa sentire una fottuta perfettina", gli dico, cercando di agganciare bottone.
"Non mi sembri esattamente una perfettina, ma tranquilla, mi piacciono le sfacciate. Purtroppo non mi piacciono le indecise. Ci prendiamo questo caffè?", mi chiede per la seconda volta.
Luca è davvero carino. Non quanto il ragazzodellafermata ma ci va molto vicino. Ha degli occhi verdi paragonabili a due smeraldi e i capelli biondi abbastanza corti. Il fisico... quello è stupendo.
"Uhm certo", rispondo esitando un po', "ma che ne dici se ci troviamo di sera, magari verso le undici, e ci prendiamo una birra?". Il caffè non è esattamente nel mio stile, e cerco un modo per inghiottire un po' d'alcool prima di cominciare a piangere ricordandomi del mio ex che ho lasciato nella vecchia città o cose simili.
"Perfetto", mi risponde lui. "Però ti avverto che quando bevo non rispondo delle mie azioni. Non ti scandalizzare se allungo un po' le mani". Decido che per qualche tastata ne vale la pena e gli sorrido. Nel frattempo arriva l'autobus e saluto Luca, che, con mia sorpresa, saluta il ragazzodellafermata. Salgo sul pullman fingendo di non aver visto, ma quando li vedo seduti accanto capisco che sono amici.
Mi siedo accanto al finestrino. Passo il 90% del tempo a guardare fuori e a canticchiare canzoni nella mia testa e il restante 10% lo passo con gli occhi chiusi dal sonno. Non mi ero accorta di quanto sonno avessi fino a quel momento.
Quando arrivo a scuola tutti si girano verso di me, e ancora devo farci l'abitudine. Il mio modo strano di vestire, un po' ribelle, sconvolge sempre tutti quando mi vedono per la prima volta, ma che ci facciano l'abitudine! Ogni volta sembra che vedano un alieno.
Cammino lungo il corridoio noncurante degli sguardi delle persone, ancora sovrappensiero per l'episodio di quella mattina. Sono così distratta dal mio mondo mentale da non capire che le persone stanno sparlando di me, ma quando me ne accorgo vado su tutte le furie. Vedo risatine, frecciatine, gente che mi indica...
"Che cazzo avete da guardare?!", grido nel corridoio rimbombante, sfogando tutta la rabbia repressa di quei giorni. Tutti mi guardano con uno sguardo sconcertato, anche un po' impaurito, ma io continuo a fregarmene. "Se dovete dirmi qualcosa ditemelo in faccia, fottuti cagasotto!"
Il corridoio diventa silenzioso, un silenzio di tomba. Si potrebbe sentire una mosca ronzare. Dopo qualche secondo, si sente lo sbattere rumoroso di qualche armadietto, qualche mormorio, e gli altoparlanti che mi invitano ad andare nell'ufficio del preside.
"Merda."
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Segreti trasparenti
RomansaAlessia è una diciottenne piena di vita: ama uscire con gli amici e andare in discoteca. Ma ha un lato di sé che nessuno, prima di Marco, era mai riuscito a scoprire.