Darkness

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Nel piccolo salotto di Keira Smith regnavano l’oscurità e il silenzio.

 Tutte le persiane erano abbassate e le finestre erano chiuse: l’oscurità era allo stesso tempo opprimente ma anche affascinante, e Amy non poteva non sentirsi a proprio agio in quell’ambiente. Aveva sempre creduto di possedere una sfaccettatura oscura nascosta dietro tutti quegli spigoli bianchi e sereni;  ed era come se quella stanza la attirasse, come se stesse trascinando fuori dal suo corpo quella sua piccola incrinatura nera.

Amy non riusciva a vedere la donna che aveva dinanzi e ne fu felice: cominciava a percepire un senso di fastidio nei suoi confronti che le poteva essere letto facilmente sul volto, dal modo in cui aveva inarcato il sopracciglio destro.

Keira udì un soffio d’aria venir fuori dalle piccole labbra della ragazza e successivamente una risatina soffocata. Stava cercando di trattenersi era evidente, non le credeva.

-Tu? Tu credi di sapere cosa mi stia succedendo? Oh Keira, non puoi neanche lontanamente immaginare cosa ho passato negli ultimi due giorni. – cominciò acida la fanciulla.

La donna passò le mani lungo le braccia della poltrona e posando nuovamente lo sguardo su Amy rispose:

-Cosa ti fa pensare che io non lo sappia?

Amy si sporse col bacino e poggiò i gomiti sulle gambe in modo da poter guardare la vicina negli occhi:

-Tu non sai niente della mia vita, tu non mi conosci! Nessuno mi conosce realmente!-sbottò lei.

Amy sapeva di doversi darei una calmata, ma per una volta, preferì lasciar correre, dandola vinta al suo lato oscuro.

-Voi giovani credete che tutto il mondo vi sia nemico, che tutti siano contro di voi e nessuno con voi. Quando vi soffermate a pensare realizzate di essere soli, in una realtà che non vi appartiene. E in un certo senso avete ragione.

Amy corrugò la fronte:

-Cosa c’entra questo?

Keira continuò:

-Ma quando qualcuno vi offre un aiuto dovete saper mettere da parte l’orgoglio e accettare. La vita non è fatta per essere vissuta in solitudine.

Ci fu una breve pausa. Amy si morse il labbro.

-Ora Amy, fidati di me e fatti aiutare prima che sia troppo tardi.

 A malincuore Amy  dovette ammettere di necessitare di un aiuto e quindi annuì.

-Esiste un’antica leggenda che può rivelarsi utile. Vuoi che te la racconti?- chiese Keira con un sorriso sincero.

-D’accordo- rispose titubante Amy.

-Si narra che prima di Adamo, Dio creò un altro uomo. Il suo nome era Vir, dal latino, uomo. Il Signore impastò luce e cenere, poi li modellò dando loro la forma di un essere umano. In seguito lo immerse fino al collo nella fonte della giovinezza che si trovava al centro del giardino dell’Eden rendendolo in questo modo immortale. Prima che Vir fosse completo, Dio si rese conto di aver creato un essere troppo perfetto, troppo simile al creatore e quindi decise di non donargli l’anima. Lo lasciò incompleto e imperfetto in balia di un destino incerto. Nello stesso giorno Dio, furioso, gli si avvicinò e lo prese per il collo, premendo con due dita alla basse di esso. Gli lasciò un segno permanente che Lui stesso chiamò “marchio”. Vir, impaurito, scappò dal giardino andandosi a riparare sulle alture del Paradiso. Qualche giorno dopo, intravide dall’alto un essere bellissimo, simile a lui ma al contempo superiore con lunghi capelli scuri e occhi del colore dell’acqua.  Incuriosito, discese e mentre Dio e Adamo erano distratti le andò a parlare. Lei a differenza sua era stata creata solo con la cenere e possedeva un’anima,  provava quindi emozioni più forti. Fu proprio quello il motivo che spinse Vir a innamorarsi perdutamente di Eva. Dopo qualche tempo la baciò e il marchio sul suo collo si illuminò. Vir urlò di dolore quando la schiena gli si squarciò liberando due bellissime ali bianche. Eva si sentiva più che mai attratta da lui e così iniziarono una relazione alle spalle di Adamo. Lui aveva trovato la sua luce e lei il suo peccato. Quando Eva partorì una femmina il Paradiso si riempì di urla e vagiti.

Il marchio dell'angeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora