Per Amy non fu difficile trovare un rifugio in una città enorme come New York: scelse una fabbrica di ceramica abbandonata, non molto lontana da Central Park. Dal tetto dell’edificio riusciva a vedere Il Palazzo Di Vetro, sede dell’ONU.
Ogni volta che la mente le restituiva l’immagine del signor White con un coltello in mano e metà faccia intrisa di sangue, Amy veniva infiammata da una rabbia insormontabile.
“Avrei dovuto ucciderlo” pensava in continuazione.
A poco a poco, Amy si stava spingendo oltre i suoi limiti e vedere il modo in cui il suo corpo reagiva innanzi alle difficoltà la eccitava non poco. Era riuscita a tener testa alle violenze del padre, a scalare un edificio di 20 piani, buttarvisi giù senza farsi neanche un graffio e procurarsi da vivere in solitudine. Aveva quasi accettato la sua vera natura, anche se per i primi giorni non era stato facile. Più volte aveva pensato di mollare tutto, anche se non aveva dove andare.Erano passate poco più di 2 settimane ed Amy non era più andata a scuola, non aveva più rivisto Keira, il padre e Jenna. Nella vastità della sua solitudine, non sentiva più il bisogno di comunicare. Usciva raramente dalla fabbrica, solo per infilarsi nelle botteghe e agguantare, grazie alla sua velocità sovrannaturale, un pezzo di pane o qualche bottiglia d’acqua.
A volte si sedeva sulle panchine della metro con il berretto calato sugli occhi e origliava le conversazioni della gente. Non sentiva mai il suo nome o quello di suo padre, era come se la città si fosse dimenticata di lei, di quella piccola ragazzina strana e insignificante.
Amy si lavava in una delle vasche di ceramica della fabbrica e ogni volta che si spogliava si osservava nello specchio d’acqua. Puntualmente vedeva il suo corpo mutare e crescere in altezza, e le sue forme aumentare. Il marchio dell’angelo era rimasto con lei, l’unico a tenerle compagnia.
L’unico legame col passato era costituito da quel pendolo con un’ala d’angelo che Keira le aveva dato qualche tempo prima. Amy lo indossava sempre, e nei momenti di smarrimento, lo prendeva tra le mani e lo stringeva forte. Avrebbe tanto voluto trasformare quel pezzo di metallo in qualcosa di utile, un ancora di salvezza, magari.
Sapeva che prima o poi sarebbe dovuta andarsene di lì. Non poteva restare rinchiusa in quella fabbrica a marcire per sempre. Sarebbe potuta andare a vivere a Miami, spacciarsi per una maggiorenne e lavorare.
-Accidenti!- Amy raccolse il pezzo di pane che le era appena caduto e con fare frettoloso lo rimise nel suo borsone.
Percorse il viale e aggirò l’ingresso principale, accendendo dal versante occidentale del rifugio.
-Dovrei prendere una borsa più grande.
-Aaron! Hai capito quello che ho detto?- una potente voce maschile si fece largo nella mente di Amy, echeggiando.
Una sorta di sesto senso le fece capire di essere in pericolo. Era forse un canto, quello che sentiva nelle orecchie. Fiutò l’odore della paura nell’aria.
Si fermò di colpo e si nascose dietro una balla di vasi di ceramica alta qualche metro. Era nel settore vasi, insieme ad altri 3 tizi sconosciuti. Si sporse per guardare meglio.
C’era un ragazzo a testa bassa addossato alla parete e ai suoi piedi tanta polvere bianca. Era circondato su entrambi i lati da altri due, molto più bassi di lui. Non appena lo sguardo di Amy scese sul ragazzo al centro, il ciondolo appeso al suo collo pulsò. D’istinto Amy se lo tolse per guardarlo meglio, ma la collana le scivolò dalle mani finendo a terra. Il rumore che produsse echeggiò per tutta la stanza.
La ragazza deglutì e sudò freddo.
-Virgin, ho sentito qualcosa. Và a controllare, non voglio spie alle calcagna.
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Il marchio dell'angelo
Fantasi-Santo cielo Keira cosa mi sta succedendo? - chiese spaventata la ragazza. -L'angelo che è in te si sta svegliando, stai per iniziare una nuova vita- disse la vicina. -Non sono un angelo porca...- Amy si morse il labbro cercando di trattenere le im...