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Ci fu uno strano giorno, una volta, su una panchina congelata. Una di quelle in legno, perennemente umide.
Osservavo il cielo, nient'altro; mi piaceva.
Un signore m'era seduto affianco.
Con uno strano cappello in testa, alcune rughe a bordo viso e un sorriso stampato.
Anche lui osservava il cielo.
Aveva l'aria di uno che ce l'aveva fatta, di uno che la vita l'aveva spremuta parecchio.
Aveva la tranquillità di uno che era anche pronto ad andarsene.
Stavamo lì, io con occhi di giovane a immaginare un futuro, e lui, a rivivere il passato.
Ruppe il silenzio come se per lui, in quel momento, la parola fosse necessaria.
Mi raccontò di come la sua infanzia l'aveva formato.
Tra le campagne, presto a lavorare.
Quando un paio di scarpe doveva durare anni e guai, se il piede cresceva.
Di come fu costretto ad abbandonare la scuola.
Di come al suo tempo, la cultura, non sfamasse.
Mi raccontò di come conobbe lei.
Mi raccontò di come lei iniziò a sfamare un'altra parte di lui.
Mi raccontò di come le parole furono il suo sfogo e io, in quel momento, forse risi.
Come potevano le lettere, svuotare le persone?
Lui mi disse che non c'era modo di spiegarlo, però cercò di farlo ugualmente.
Ma io ero testa dura, la carta non poteva intrappolare le emozioni.
Un giorno lo vidi nuovamente e la sua vista fu straziante.
Era dolore, dolore allo stato puro.
Non ci furono parole quel giorno.
Solo più avanti, mi raccontò della moglie, e di come aveva smesso di respirare.
Mi raccontò di come il suo amore non lo abbandonò comunque.
Mi raccontò quanto fosse ingiusto e di come la morte si prendesse gioco di lui.
Mi raccontò di come la morte portasse via i corpi, ma non i sentimenti.
Quelli, li lasciava lì, come pasto di qualche vagabondo.
Mi raccontò di come la vita si nutrisse di emozioni, e di come invece la morte prediligesse le anime.
Mi raccontò di come fu crudele con lui quel mostro.
Ma mi raccontò anche di come non potessero esistere una in assenza dell'altra.
Mi raccontò tante cose, quell'uomo.
Quella sera, tornai a casa e feci una cosa che forse mi salvò.
Presi carta, penna, e scrissi.
Su quel foglio presero vita urla, sussurri, promesse, dolore e rabbia.
C'era di lui tutto ciò che mi aveva raccontato.
C'era come lo vedevo io.
Su quel foglio c'era lui.
Ed ero decisa che avrebbe dovuto sapere, che per lui avevo scritto.
E volevo lui sapesse di come avevo aperto la mente.
Finii la mia lettera, e nei giorni a seguire lo aspettai.
Lo aspettai come si aspetta il ritorno di un parente lontano.
Lo aspettai come si aspetta un amico.
Lo aspettai, come una donna che conosce il vero peso dell'attesa.
Lo aspettai, e continuai a farlo.
Ma quel giorno, rimasi sola.
Io, e la mia lettera che nessuno lesse mai.

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