1° capitolo

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Freddo.
La mia mente era concentrata solo su quello.
Faceva davvero troppo freddo.
Le mie dita erano congelate, racchiuse attorno alla mia cioccolata calda. Erano rosse e intorpidite.

Il naso non me lo sentivo più. Potevo paragonarlo benissimo a un cubetto di ghiaccio.
Il mio migliore amico, Alessandro, soprattutto in questo periodo dell'anno, mi soprannominava Rudolf, perché nelle stagioni fredde, il mio povero naso diventava rosso.
Le labbra erano screpolate e mi facevano male.
Odiavo l'inverno.
Bevvi un sorso dal bicchiere godendo la sensazione del liquido caldo che scendeva nel mio corpo gelato e mi riscaldava.
Ero seduta al parco, ad ammirare i bambini che giocavano a lanciarsi palle di neve, e nel frattempo pensai che anche io avrei voluto tornare a quei tempi.
Guardai Ale, accanto a me, e mi ritornò in mente quando anche noi due eravamo al posto di quei bambini. Mi stava parlando della sua nuova fiamma, Arianna, ma non lo stavo ascoltando.
Lui aveva una nuova fiamma ogni mese.
-Insomma, te la sei già portata a letto?- tagliai corto io.
Mi guardò in cagnesco. -Posso finire il mio racconto? Poi ci arrivo, tranquilla.- e ricominciò da dove si era interrotto.
Più o meno era la stessa solfa ogni volta. Lui andava a delle feste alle quali non mi invitava, si pomiciava con qualche decina di ragazze e a quella che suscitava maggiormente il suo interesse chiedeva il numero.
Questo mese era toccato ad Arianna. Povera anima....

-Poi siamo andati da lei l'altro giorno, e vuoi sapere cosa mi ha fatto?- mi guardò con un sorriso sbilenco.
Guardai davanti a me arricciando il naso. -Alee, voglio solo sapere se te la sei portata a letto- sbuffai.
Non che mi interessasse particolarmente, ma era abbastanza divertente sentirlo parlare delle sue performances sessuali. E piuttosto che andasse a raccontare a qualcun'altro i suoi segreti, mi sorbivo le sue storie.
Accartocciò il bicchiere della cioccolata e mirò per fare canestro nel cestino più vicino, ma non mirò il bersaglio. Fece una faccia infastidita e poi tornò a guardarmi. -No, non me la sono portata a letto, se è questo che ti preme- mi sorrise maliziosamente. -Mi ha solo fatto un pom...- iniziò, ma gli tappai la bocca con la mano prima che potesse finire la frase.
-Non dirlo, non lo voglio sapere!- dissi, sorridendo malgrado mi facesse innervosire. Ma insomma,era Ale, il mio Ale, lo conoscevo dai tempi delle elementari, non potevo essere infastidita da lui.

Alzò le mani in segno di resa e io tolsi la bocca dalla sua mano. -...pino- concluse la parola.
-Ale!- gridai indignata e gli tirai una sberla sul petto. Lui mi bloccò il polso ridendo e attirandomi a sè in un abbraccio affettuoso. Malgrado tutto, risi anche io, come sempre quand'ero con lui.
-Sei una persona sgradevole- mugolai io, con la voce soffocata dal suo giubbotto. Eravamo abbracciati in modo che il mio viso fosse spiaccicato sul suo petto.
-E' per questo che siamo amici- disse -Io mi comporto male e tu mi mantieni nella strada giusta- disse, sorridendo.

Spesso la gente che ci vedeva per la prima volta pensava che io e Ale fossimo fidanzati, e anche le sue numerose "vittime" spesso mi odiavano, perché per loro ero un potenziale pericolo.
Se mi avessero fatto questa osservazione qualche anno prima, forse mi sarei illusa. Ale mi piaceva dai tempi delle medie, ma per lui era solo ed esclusivamente un rapporto di amicizia. Quando gli dissi i sentimenti che provavo, si allontanò da me, e questo mi distrusse. Ci rimasi così male, che per una settimana non andai a scuola.
Un pomeriggio, me lo trovai sotto casa. Era stato uno shock, per me, ma poi mi disse "Io non posso provare le stesse cose che provi tu per me, non adesso, almeno. Ma non riesco a perderti come amica, perché tu eri tutto per me. Non posso sopportare che ci siamo allontanati così. Tu sei la mia migliore amica, e ho bisogno di te come ho bisogno di una sorella." e non potevo non ammettere che mancava molto anche a me.
Così, tornammo, o almeno cercammo, di far tornare tutto come una volta. E col tempo ci riuscimmo, fino ad arrivare ad adesso. Eravamo tornati inseparabili, io ed Ale.
Non provavo più i sentimenti di una volta, anche se le piccole farfalle nel mio stomaco svolazzavano appena lo vedevo, e rimanere abbracciata a lui mi faceva sentire bene.
Lui era il tipico "ragazzo-figo", che ogni ragazza avrebbe voluto. Alto, capelli neri, occhi azzurri, un fisico stupendo, naso dritto e bocca carnosa, con tanto di piercing sul sopracciglio. Era con me quando se l'era fatto, l'anno prima.
Tra tutte -anche la sua fidanzata dell'epoca, Sara- aveva chiesto a me di accompagnarlo.
Okay, forse non era del tutto vero che l'avevo dimenticato da quel punto di vista, anche perché era davvero tanto bello...ma non esisteva che avrei rischiato di rovinare di nuovo la nostra amicizia.
Non avrei commesso di nuovo quell'errore.
Ora stavamo camminando verso il nostro quartiere -si, abitavamo nello stesso complesso di palazzine, anche se non nello stesso palazzo- e stavamo litigando del fatto che non mi era concesso andare alle feste ma, badate bene, non perché i miei genitori non volessero...
-Ripetimi, per favore, perché non posso venire alle feste con te- incrociai le braccia.
Tolse le mani dalla tasca, pronto a gesticolare animatamente. Si sistemò il berretto sulla testa e mi guardò. -Perché è pieno di pedofili e maniaci che potrebbero stuprarti in qualsiasi momento. Inoltre, non sai mai cosa potrebbero metterti nel bicchiere quei figli di puttana. E poi -alzò il tono di voce- lì le ragazze vanno vestite da troie, e io non voglio che tu vada vestita in quel modo alle feste. Che poi, fidati, non sono niente di che le discoteche. Fa caldo, si è tutti appiccicati, c'è puzza... non è un ambiente che fa per te- scosse la testa arricciando il naso. Poi si voltò verso di me, sorridendo -Ti va bene come spiegazione?-
Scossi la testa, indignata e arrabbiata, infilandomi le mani in tasca. -Ma non reggono le tue spiegazioni! Nelle discoteche bevi anche tu, eh! E chi dice a te di stare attento a cosa mettono nel bicchiere? Mi pare di non averti mai detto niente a riguardo. E poi, pensavo che a voi maschi piacesse che noi ragazze ci vestissimo da troie- puntualizzai, acida.
-Allora, prima cosa: io sono sempre attento e finisco il mio bicchiere il prima possibile, tenendolo d'occhio. Si chiama responsabilità, Alice.- Non ci credo, mi ha chiamata Alice! -Cosa di cui non mi pare tu sia molto dotata, o sbaglio?- assottigliai gli occhi. Si stava riferendo a quando, al compleanno di una mia amica, mi ero sfondata di alcol -per la prima volta, tra l'altro-. Ale si era raccomandato che non bevessi troppo, ma non lo ascoltai. Pensai che non poteva avere il controllo su di me, anche se in un certo senso mi piaceva. Inoltre, stavo male per via di tutte le ragazze che conquistava, anche se sapevo che nessuna gli era mai piaciuta in particolare. Se non per come faceva i pompini.
Quando stavo troppo male per tornare a casa da sola, i miei amici non potevano di certo chiamare i miei. Così chiamarono Ale, che invece si trovava ad una cena di famiglia. Infatti gli era dispiaciuto molto non poter venire alla festa. Avrebbe perso un'occasione per tenermi d'occhio.
Mi raccontò che mollò tutti e corse a prendermi. Mi portò a casa sua, dove vomitai più e più volte, ma siccome stavo troppo male, chiamò i miei inventando una scusa per farmi dormire da lui. Dormimmo insieme, e il giorno dopo mi fece la predica più lunga della mia vita, e anche la litigata più epica della storia della nostra amicizia. Di tutto questo, i miei non seppero niente. Non seppi mai cosa dissi quella sera. E la mia paura più grande era quella che potessi aver detto qualcosa riguardo ai miei sentimenti per lui, ma il giorno dopo non diede cenno di essere sconvolto, per cui o stava facendo finta di niente, o non avevo detto nulla di compromettente.
-Seconda cosa- aggiunse, soddisfatto per il mio silenzio -Si, mi piace vedere le ragazze vestite in quel modo, ma non voglio che tu ti vesta così. Non mi piace.- ammise. Sentii come un pugno sullo stomaco. Chi era lui per impedirmi di non andare ad una festa solo perché non gli piaceva come mi stavano i vestiti?
-Se non ti piaccio in quel modo, puoi sempre girarti e guardare da un'altra parte- dissi, offesa, superandolo per arrivare prima di lui alla mia palazzina, che ora si trovava quasi di fronte. Cercai in fretta nella borsa le mie chiavi di casa, sentendo le lacrime pizzicare.
Quello che avevo inteso dalle parole di Ale, era che non gli piaceva vedermi in quel modo perché non stavo bene. Già che odiavo il mio fisico, lui molte volte non aiutava.
Lo sentii dietro di me che mi prendeva per le spalle e mi voltava verso di sè.
-Cosa hai capito?- lo sguardo preoccupato, com'era sempre quando mi incazzavo con lui per qualche stronzata che commetteva.
-Lascia perdere, Ale- cercai di voltarmi e di infilare le chiavi nella serratura ma lui mi tenne stretta per le spalle, cercando di incontrare i miei occhi.
-Tu saresti bellissima vestita in quel modo, dio, se saresti bella. Hai un fisico che...- si morse il labbro, per paura di andare oltre, e ricominciò con il discorso, ma i miei occhi erano fissi sul suo labbro inferiore racchiuso tra i suoi denti. -Non voglio che nessun ragazzo si approfitti di te, perché appunto saresti così bella che tutti i ragazzi ci proverebbero e...- assottigliò le labbra e mi guardò.
Ci furono degli istanti in cui sembrava quasi che lui volesse baciarmi, e io gliel'avrei lasciato fare. Era dalle medie che aspettavo quel momento, cazzo, ma poi lui mi abbracciò in una stretta ferrea.
-Tengo a te come se fossi una sorella, e non voglio che uno stronzo ti faccia soffrire.-
Giusto, sorella.
Ricambiai l'abbraccio. -Di sicuro non ci sarà pericolo, finché tu stai addosso ad ogni ragazzo che ci prova fino a spaventarlo!- puntualizzai.
Rise, senza sciogliere l'abbraccio. -Questo perché conosco la mente maschile, e capisco le intenzioni di un ragazzo anche in lontananza- disse.
Si staccò e mi guardò. Lo guardai nei suoi occhi azzurri che cambiavano colore e sfumatura a seconda del tempo. In quel momento erano grigi. Mi sorrise, dandomi un buffetto sulla guancia e un bacio sulla fronte.
-Vengo da te per cena- dissi. -Così mi aiuti con scienze-
Mentre si allontanava per andare nella sua palazzina, che era di fonte alla mia, sbuffò giocosamente -Che palle!-
-Stronzo- urlai, mentre aprivo il portone.
Mi mandò un bacio, sorridendomi, prima di entrare. Allora entrai anche io, pensando che no, non avrei rovinato la nostra amicizia per niente al mondo.















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