8° capitolo

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Il fastidiosissimo suono della radiosveglia di Ale mi strappò dal mio caro sonno, e mi resi finalmente conto di dov'ero, e di chi era il braccio che circondava la mia vita.
Ale, alle mie spalle, mugugnò qualcosa e il bracciò con il quale mi stringeva lo alzò per spegnere quella maledetta sveglia.
"Che sbatti" mormorò, prima di alzarsi e sparire in bagno.
"Buongiorno anche a te." Dissi, infastidita, anche se era già sparito. Succedeva sempre, la mattina appena sveglio lui era incazzato, poi dopo una doccia rinfrescante diventava di buon umore. Quasi sempre.
Mi alzai e mi vestii, aspettai che Ale finisse per sistemarmi. La porta non era più chiusa a chiave, segno che potevo entrare.
Il vapore aleggiava ancora nella stanza, e Ale era in piedi davanti allo specchio solamente in accapatoio.
"Ehi" dissi, forse non era ancora il momento che entrassi.
Alzò un sopracciglio e sorrise malizioso. "Buongiorno. Sei di fretta?"
Mi stava prendendo in giro?
Scossi la testa e feci per chiudere la porta. "No. Scusa, ti lascio preparare"
"No. Cioè, vieni pure. Ho finito ormai."

La mia parte razionale mi urlava contro dicendomi che non era una buona idea, che data la mia poca sanità mentale non era il caso che fossi nella stessa stanza con lui nudo, ma quella parte venne brutalmente soffocata da quella instintiva.
Infatti, lo affiancai davanti allo specchio e mi lavai viso e denti, mentre lui si asciugava i capelli.
Ma non aveva detto di aver finito? Dio, che fastidio quando si comportava così!
"Dormito bene?" chiese, avendo visto le mie guance tutte rosse.
"Si." Dissi decisa. Non volevo farmi condizionare dal fatto che fosse senza vestiti e solo con un misero accapatoio addosso.
Anche perché non mi procurava alcuna reazione. No, no.
Finimmo di prepararci senza scambiarci una parola, e presi il mio giubotto prima di avviarmi in cucina dove Ale aveva già preso posto a tavola.
Prima di entrare, sentii la voe di Greta, sussurrata. Evidentemente non voleva che qualcuno la sentisse.
"Devi dirglielo, Ale."
Dire cosa? E a chi?
"Non posso farle questo, Gre. Non me lo perdonerebbe." Anche Ale parlava a bassa voce.
Di cosa diamine stavano parlando? E si riferivano a me? Era ovvio... come poteva essere altrimenti? C'ero solo io lì, con loro...
Era successo qualcosa ieri? Forse non volevano più che andassi a casa loro, ma mi volevano bene e non volevano offendermi.
Non avevano torto, non potevo recarmi da loro ogni volta non sapevo come affrontare le situazioni.
Dovevo iniziare a prendere in mano la situazione e smetterla di chiedere aiuto agli altri.
Entrai nella stanza e infatti i due fratelliu smisero immediatamente di parlare.
Ebbi la certezza che stavano parlando di me.
Greta nascose il viso dietro la sua tazza di tè fumante. "Buongiorno, Ali! Come ti senti oggi?"
Forzai un sorriso ad Ale che mi aveva fatto cenno indicando la mia tazza sul tavolo.
Mentre mi sedevo le risposi. "Meglio, grazie. E tu?"
Alzò le spalle e sospirò teatralmente. "Insomma. La dura vita da universitari."
Alessandro sbuffò.
La sorella gli lanciò un'occhiataccia ma non gli rispose. Si rivolse a me. "Hai sentito i tuoi?"
Era preoccupata, ma non sapevo se per i miei genitori o per me.
Avevo lasciato il telefono spento tutto il tempo. "In realtà, no. Non mi hanno chiamato."
Mentii. Non sapevo se si fossero fatti sentire, ma non volevo che pure i Colombo si preoccupassero della mia situazione familiare.
I due si scambiarono un'occhiata complice, che cercai di ignorare e decisi che per un po' non sarei più andata a casa loro.
Feci colazione in silenzio, l'unico rumore proveniva dalla tv in salotto, dove riflettei se fosse stato il caso o meno di chiedere ad Ale a cosa si riferiva Gre quando gli aveva detto "Devi dirglielo, Ale."
Cosa mi nascondevano?
"Bene, andiamo?" disse Ale alzandosi.
Annuii, e lo imitai. Salutai distrattamente Greta e la ringraziai, ed uscii senza aspettare che il mio migliore amico mi seguisse.
Uscii dalla porta d'ingresso della palazzina e fu allora che Ale mi raggiunse.
"Non ti ho mai vista così ansiosa di andare a scuola" scherzò, mentre si sistemava lo zaino sulle spalle.
Non risposi, e mi strinsi di più nel mio giubbotto. Mancava ancora un quarto d'ora all'arrivo dell'autobus, ma camminavo come se fossi stata in ritardo.
"Ehi, cos'hai?" mi chiese, faticando visibilmente a starmi al passo. Ma andavo così veloce?
"No, niente" dissi. Bugiarda.
Fu lui a non rispondere, ma mi guardava con sospetto, e forse anche leggermente infastidito.
Mi pentii subito di averlo trattato male. Anche se mi stava tenendo nascosto qualcosa, mi aveva ospitato a casa sua per una notte senza battere ciglio.
 
"Grazie per ieri sera, e stanotte" dissi, non appena arrivati in fermata. "L'ho apprezzato molto"
Rimasi a fissarlo mentre si appoggiava al cartello degli orari e guardava per terra e calciava un sassolino immaginario.
Rispose dopo qualche secondo. "Non mi devi ringraziare," disse d'un fiato. "Per te ci sono sempre" aggiunse, accennando un piccolo sorriso.
Lo imitai, e rimasi a guardarlo. "Ale" lo chiamai, e questa volta mi guardò in viso. "Sai che mi puoi dire qualsiasi cosa, vero?"
Annuì, confuso.
Non feci in tempo a ribattere che arrivò l'autobus, e con lui anche gli stupidi amichetti di quinta di Alessandro.
Salimmo, e come suo solito Ale iniziò a parlare con i suoi amici drogati solo che quella volta, invece che isolarmi, rimasi ad ascoltare le loro conversazioni.
"Bella Alex" salutò un ragazzo piuttosto basso, con un piercing al labbro e pieno di brufoli.
"Bella France" il mio migliore amico ricambiò il saluto con una patetica stretta di mano.
Poi lo sguardo del cannato si posò su di me e mi squadrò.
"Tu sei la ragazza di Ale?" chiese.
Infastidita, scossi la testa. "Sono la sua migliore amica." Manco morta mi sarei presentata a quel tipo.
Senza farsi aspettare troppo, Ale alzò subito la guardia e mi si posò affianco dopo aver salutato un ragazzo alto e riccioluto e un altro con i capelli color platino.
Sperai vivamente che non li frequentasse e che fossero solo conoscenti.
"Stai scherzando, Colombo? E tu questa qui la tieni solo come migliore amica?!"
Ale alzò un sopracciglio, e anche se dimostrava strafottenza, sapevo che dentro di sè stava bruciando di rabbia.
"Qualche problema?" chiese.
Il cosiddetto France ridacchiò e si appoggiò al palo. Pover'uomo, completamente ignaro delle maledizioni che Ale gli stava infiggendo in tutte le lingue del mondo.
"Assolutamente nessuno, ma sai, con una così... io ci farei ben altro" e mi fece un occhiolino.
Quasi vomitai.
"Per fortuna che tu non ci farai mai niente." Avrei voluto rispondergli io per le rime, ma Ale mi aveva anticipato, come sempre.
France fece una smorfia, segno che aveva capito il concetto e non avrebbe aperto bocca per un po'. Aveva capito che Ale non scherzava e che si stava incazzando.
Il tipo riccioluto si interpose tra i due e calmò le acque. Forse lui mi stava simpatico.
"Alex, sabato fai qualcosa? Io e i ragazzi pensavamo di organizzare una festa free drink e di invitare un po' di gente, visto che è il primo giorno di vacanza."
Ale sembrò pensarci su. "No, non dovrei avere niente in programma. Ci sta un sacco. Dove la fate?"
Come, scusa? Si era dimenticato forse che dovevamo andare nella casa in montagna? Era il 23 dicembre, dovevamo stare via una notte. Io, lui e forse altre persone.
In realtà, molti di quelli che avevamo invitato ci avevano tirato pacco, per cui molto probabilmente sarebbe andata a finire che io e lui ci saremmo trovati a bere e ridere come matti. E l'idea mi allettava molto di più.
"A casa mia o del Mata. Dipende. Voi verreste?"
Rimasi spiazzata completamente. Aveva forse detto: "Voi"?
Prima che Ale dicesse qualsiasi cosa, intervenni io. Non ci volevo assolutamente andare, ed ero delusa dal fatto che il mio amico avesse dimenticato il nostro progetto che andava avanti dall'estate stessa.
Sorrisi cordiale e mi risistemai lo zaino in spalla. "No, grazie. Io mi sono già presa un impegno, ma grazie dell'invito!"
Finsi entusiasmo e ignorai lo sguardo di Ale su di me. Si chiedeva cosa mai avessi in programma di fare, molto probabilmente. Beh, dovevo iniziare a disintossicarmi da Alessandro Colombo.
Non mi importava, non sarebbe stata di certo la prima che andava ad una festa senza di me, e non sarebbe stata la prima volta se mi avesse tirato bidoni.
Il ricciolino mi sorrise e continuò a parlare dei fatti suoi con gli altri ragazzi, e a quel punto ero sconnessa dal resto del mondo e cominciai a pensare a cosa avrei potuto fare.
Avrei potuto chiedere ad Anna, lei di sicuro aveva in programma qualcosa. Lei aveva sempre un piano.
Saremmo potute andare a qualche festa, divertirci, conoscere ragazzi....
Non potei fare a meno di pensare in che cavolo di relazione ci trovavamo io e Alessandro. Non potevo pensare di conoscere e magari flirtare con altri se avevo baciato il mio migliore amico fino al giorno prima! Non era giusto, e non ero quel tipo di ragazza.
Ora che sapevo com'era baciarlo, non volevo più farne a meno. Gli avrei portato rispetto, almeno finché non definivamo la situazione.
Molto probabilmente, però, lui non si stava facendo tutti questi preamboli. Lui avrebbe continuato la sua vita da playboy, ignorandomi e probabilmente dicendomi che non voleva perdemi ancora come amica, e sarei tristemente caduta nella friendzone un'altra volta.
Eh no, quella volta non l'avrei permesso. MI stava illudendo, anche se tecnicamente non era iniziato ancora niente.
Ci eravamo baciati un paio di volte, ma era tutto sospeso in aria ed entrambi sapevamo che sarebbe continuato ad essere così per un po' di tempo.
Odiavo le situazioni indefinite, odiavo non avere le cose sottocontrollo. Dovevo fissare dei paletti, dovevo capire a che punto eravamo, prima di essere danneggiati.
Quella volta irreparabilmente, me lo sentivo.




****
Presi un respiro profondo, prima di infilare quelle dannate chiavi nella serratura.
Non entravo in casa mia dalla sera prima, e avevo tenuto il telefono spento per tutta la mattinata.
Ce l'avevo su con tutti, quel giorno. Con Ale perché mi teneva nascoste le cose, con gli autobus perché puzzavano, e con la mia famiglia.
Non era giornata, ma nonostante ciò, girai la chiave con l'ansia che mi teneva stretto lo stomaco in una morsa, e aprì quella maledetta porta.

Un odore di pasta alla carbonara mi avvolse, e mia sorella se ne stava seduta sul divano a guardare la tv.
Appena mi sentì entrare mi guardò e diminuì il volume della tv. A distanza riuscii a vedere i suoi occhi lucidi.
"Ali..."
Mia madre se ne stava in piedi sulla porta della cucina e si tappava la bocca con una mano. Mi corse incontro tra le lacrime e mi strinse in un abbraccio stritola ossa.

"Ero così preoccupata... per fortuna che mi hai scritto... sennò sarei andata fuori di testa. Tuo padre se n'è andato. Ho deciso che finché non si metterà in sesto, non potrà più vedere nè te nè Angelica..."
Ma io avevo smesso di ascoltarla.
Non le avevo scritto... Anzi, a quanto mi ricordavo non volevo proprio che sapesse dov'ero.
E se...
"Scusate." Mormorai, passando oltre le due donne più importanti della mia vita e chiudendomi in camera.
Una rabbia quasi incontrollabile mi invase quando accesi il telefono per la prima volta quella giornata.
Non fui meravigliata di trovare 17 chiamate perse e altrettanti messaggi.
Scorsi tra gli inviati e i ricevuti, ma non trovai niente di nuovo.
Sapevo già che era stato Alessandro, e che aveva cancellato i messaggi per non essere scoperto.
Senza nemmeno rendermene conto, digitai il suo numero - che conoscevo a memoria-, e aspettai molto poco pazientemente che rispondesse, girando nel frattempo per la stanza senza tregua.
Rispose al terzo squillo. "Ehi, Ali!"
Ignorai il suo saluto entusiasta e risposi con tono piatto. "Perché hai scritto a mia madre, ieri sera?"
Ci furono pochi secondi di silenzio. Lo avevo colto di sorpresa. "Cosa?"
"Hai capito, Ale. Perché hai scritto a mia madre mentre dormivo, ieri sera?" ripetei la domanda scandendo meglio le parole. Stavo cercando di mantenere la calma, ma le emozioni stavano lottando duramente per uscire.
"Ali, io..."
"No. Non cercare di giustificarti. Sapevi benissimo che non volevo sentire nessuno di loro per una dannata sera, eppure ti sei preso la libertà di prendermi il telefono e violare la mia privacy!"
"Okay, forse ho violato la tua privacy, ma ho fatto la cosa giusta e lo sai anche tu. Avresti fatto preoccupare tua madre a morte, avresti ferito le persone che più ti amano in questo mondo."
"Avresti potuto dirmelo, invece che prendere quest'iniziativa senza nemmeno consultarmi!" Ecco, partita per la tangente.
"Non mi avresti dato retta, testarda come sei! Non puoi non avvisare i tuoi, Alice! E non puoi sempre recarti da me improvvisamente. Io ti accolgo, l'ho sempre fatto, ma non puoi ogni volta piombare in casa mia quando hai un problema! Hai avuto un problema grave, ti ho aiutato, avrò anche fatto qualcosa contro la tua volontà, ma non era giusto nei confronti della tua famiglia!"
Rimasi sconcertata dalle sue parole. Aveva ragione da vendere. Non potevo andare da lui ogni volta e lasciare che lui le risolvesse per me.
Non importa quanto ci eravamo baciati il giorno prima, quanto mi aveva accolto tra le braccia e consolato, stavo cominciando ad essere un disturbo per quella famiglia.
E finalmente me l'aveva detto.

Non risposi subito, la voce mi si era rotta. "Era... era questo quello di cui parlavate tu e Greta a colazione?"
"Ali..." ora si era calmato anche lui e si stava pentendo di come si era rivolto a me. Potevo capirlo dal suo tono di voce.
"No... hai ragione, cavolo. Scusate, non mi sono resa conto di essere un peso-" mi scappò un singhiozzo e a quel punto non riuscii più a trattenere le lacrime. "-ora è tutto chiaro."
Prima che mettessi giù sentii un "Ali, ascoltami", ma non volevo ascoltarlo. Buttai il telefono da qualche parte sul letto e appoggiai la schiena sull'anta del mio armadio che occupava tutta la parete. Strisciai lentamente a terra e scoppiai a piangere.

Come potevo non essermi resa conto prima che stavo davvero oltrepassando il limite? Che stavo facendo dannatamente la vittima? Ma era così invadente chiedere aiuto quando la mia vita stava andando in mille pezzi? Era così brutto chiedere aiuto all'unica persona che poteva capirmi?
Ci stavamo già allontanando. Il nostro rapporto negli ultimi giorni stava peggiorando drasticamente e questi erano i primi sintomi.
Mi portai le mani sul viso, sentendo sul cuore il macigno più grosso.
Avevo perso un padre, e anche il mio migliore amico.

****

Mi addormentai nella stessa posizione in cui ero stata per ore dopo la telefonata con Ale. Il mio telefono aveva continuato a vibrare e sapevo che era lui che mi chiamava per dirmi che gli dispiaceva per come mi aveva trattata.
Ma io ero fisicamente stanca e senza forze per rispondergli, non gli volevo parlare.

Alla fine avevo preso sonno e mi svegliò mia madre alle 3 di notte per farmi stendere a letto. Ero tutta bloccata e indolenzita.
Appena mi ero messa sotto le coperte, mia madre mi accarezzò la fronte e mi disse che il giorno dopo sarei rimasta a casa da scuola.
Controllai il telefono appena uscì e vidi le 20 e passa chiamate perse di Ale e gli altrettanti messaggi.

"Ali mi dispiace per come ti ho trattata prima, sai che non penso niente di quello che ho detto."
"Ali ti prego, rispondi. Non posso sopportare che tu mi ignori."
"Ali sto per venire a casa tua."
"Ali... io voglio solo  rimanerti vicino. So che è un momento orribile per te. Dimentica quello che ti ho detto, okay? Puoi venire quando vuoi, all'ora che vuoi. La porta per te è sempre aperta."
"Angelica dice che sei rinchiusa in camera da un'ora e che non vuoi uscire. Non posso sopportare che tu stia così."
"Sono passato da te, ma tua madre mi ha detto che stai dormendo. Non ci credo. Ti prego, parlami, dammi qualche segno."
"Sono le due, immagino che se per ben quattro ore non mi hai risposto non ne vuoi sapere di me. Ti voglio tanto bene, spero tu possa perdonarmi."

Quest'ultimo messaggio mi fece piangere di nuovo, e fui tentata di scrivergli. Di fargli sapere che avevo capito il concetto.   
Si sentiva in debito, in dovere di non ferirmi. Ma la realtà era che alche lui si era stancato di avermi attorno.
Mi riaddormentai e mi svegliai la mattina alle sette. Ero abituata, ormai, ma la vibrazione del telefono aveva contribuito a svegliarmi.
Il mio cuore balzò quando lessi il nome sullo schermo.
Avevo visualizzato tutti i suoi messaggi e sapevo che l'aveva notato e non riusciva a sopportarlo.
Rimasi a fissare il display finché la chiamata con terminò, e Ale ricominciò a chiamare.
Doveva davvero mollare l'osso, e andare a scuola.
Tutta indolenzita, mi alzai e mi trascinai in cucina dove l'odore del caffè mi diede un buongiorno migliore di quello ricevuto qualche momento prima.
Mia sorella era già vestita e stava bevendo dalla sua tazza, e sgranò appena gli occhi appena mi vide.
Aveva sulle palpebre una spessa linea di eyeliner. "E tu che ci fai sveglia?"
Feci spallucce e mi accasciai sulla sedia. Avevo un mal di testa martellante che non accennava ad andarsene e in più i messaggi di Ale mi frullavano ancora in mente.
"E' l'abitudine" risposi infine, e mi sorpresi di aver aperto bocca.
Angelica mescolò il contenuto della sua tazza in silenzio, prima di proferire di nuovo parola.
"Come stai?" chiese, quasi intimorita nel chiedermelo.
Mi versai un po' di latte nella terza e ci immersi i cereali. "Così" risposi, sapendo che lei aveva già capito.
"Ale mi ha riempito di messaggi tutta ieri sera, e mi sta scrivendo anche ora" disse con calma, mostrandomi lo schermo del suo telefono.
Rimasi come imbambolata a fissare la conversazione dove captai solo un "Ti prego Angelica sto impazzendo."
"E rispondigli allora" dissi, cercando di risultare disinteressata. Non lo ero affatto, e morivo dalla voglia di leggere quello che si erano scritti.
Mi guardò con uno sguardo maturo, più maturo della sua età, e digitò una risposta veloce, prima di passarmi esitante il cellulare.

Ale: Angelica, ti prego, devi aiutarmi.
Angelica: Cosa è successo?
Ale: Ho fatto un casino con tua sorella
Angelica: E perché mi hai scritto?
Ale: Perché lei non mi risponde
        L'ho ferita, Angi. Non me lo perdonerà mai. Ti prego, ci devi parlare.
Angelica: Ale... non posso e non voglio mettermi in mezzo alle vostre cose. Sono affari vostri...
Ale: Lo so, ma questa volta ho paura di averla persa sul serio. Sono stato cattivo, le ho detto      
cose che non penso, le ho spezzato il cuore.

E poi lessi i messaggi più recenti, della mattina stessa.

Ale: E' sveglia?
Angelica: No, rimane a casa. Sta poco bene.
Ale: Cos'ha? Ha la febbre?
Angelica: No, semplicemente non si sente molto bene. Non chiamarla, Ale, lasciale tempo. Ha bisogno di stare da sola almeno finché non si calma un po'.

E poi lessi quello che lui aveva inviato giusto in quel momento.
Ale: Puoi almeno parlarle? Ti prego.
Boccheggiai per un po', e lanciai il telefono sul tavolo, come se scottasse. Angelica lo riprese e digitò una risposta rapida. Mi guardò preoccupata e si alzò.
"Lo vedrò adesso. Cosa vuoi che gli dica?"
Scossi la testa. Non sapevo nemmeno io cosa volevo che gli dicesse. "Niente" dissi.
"Non devi dirgli proprio niente."








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