Passai tre giorni a casa da scuola, perché venni a conoscenza che i miei dolori muscolari non erano solo dovuti alla posizione nella quale mi ero addormentata quella sera, ma anche alla febbre che mi assalì.
Non avevo mai superato i 39 gradi, ma mi sentivo uno straccio. Mi muovevo come uno zompie e avevo occhiaie terribili grandi quasi quanto tutto il viso.
Ale aveva smesso di farsi sentire, aveva seguito il consiglio di mia sorella, ma la vedeva spesso in autobus -mia sorella mi raccontò che aveva iniziato a prendere lo stesso suo apposta- e le chiedeva subito di me.
In fondo mi faceva piacere che fosse preoccupato per me, ma era meglio che non lo sentissi per un bel po'. Vederlo... quello era già un problema, ma visto che era arrivato il 23 dicembre ed erano ufficialmente iniziate le vacanze di Natale, non lo avrei visto per un bel po'.
Era meglio così, mi ripetevo. Doveva esserlo.
Avevo sentito Anna e mi aveva detto che mi sarebbe passata a trovare il 23 sera, cioè quella sera stessa, e che avrebbe passato tutta la serata con me.
E pensare che appena finita scuola sarei dovuta andare in montagna con Ale, ma era impegnato con i suoi amichetti di quinta ad andare a quella stupida festa.Feci zapping fino alle 11 di mattina, preda della noia più totale, vidi un film in streaming e a mezzogiorno e mezzo mi misi a preparare il pranzo per mia sorella che tornava da scuola.
La giornata la passai distesa a letto a guardare puntate su puntate di serie tv su Netflix, e arrivò la sera.
Anna non tardò, alle 20.30 era già in casa e stava animando l'atmosfera.
Mi trascinò in camera mia e ci sedemmo a letto a parlare.
Non accennò ad Alessandro, almeno fino a quel momento, e gliene fui grata.
Mi disse che Matteo, il ragazzo che Ale stava per "uccidere", non era per niente spaventato e avrebbe voluto re-incontrarmi.
Mio malgrado sorrisi, mi aveva fatto davvero una bella impressione, e se le cose con Ale si erano messe male, dovevo cominciare ad allargare i miei orizzonti, e lui non avrebbe potuto fermarmi. Non più.Mi raccontò che la classe senza di me era vuota, che non sapeva con chi passare le ricreazioni e si sentiva tremendamente sola, con il mio banco vuoto.
"E sai com'è andata la verifica di chimica?" mi chiese, con un tono scioccato. Ah si, la verifica che io avevo saltato e che avrei recuperato dopo le vacanze, a quel punto.
Scossi la testa. Sarebbe andata male a tutta la classe tranne che ad Ale.
"E' andata di merda! A parte me, che ho preso quattro, c'è stata solo una sufficienza... e non era di Colombo." Mi guardò, come se non sapesse il perché di questa insufficienza.
La mia mascella ora toccava il pavimento. "Cosa? Ale non ha preso la sufficienza?"
Anna scosse la testa, sconcertata quanto me. "Ha preso 3, e il punto è che non gli interessava nemmeno! Sono tre giorni che è apatico. Secondo me è la tua assenza. Ma vi vedete il pomeriggio?"
Oddio, no. Avevo cercato di evitare quell'argomento, ma alla fine ci eravamo arrivate.
Lei non sapeva niente dell'accaduto degli ultimi tre giorni.
Le raccontai tutto e lei rimase in ascolto.Era bello raccontare le cose a qualcuno al di fuori di Ale, sapere delle opinioni diverse, parlare con qualcuno dello stesso sesso e che magari poteva capire meglio certe cose.
E poi, in quel momento non avevo nessuno.
"Ora si spiegano molte cose." Disse, seria.
Mi iniziai a spaventare. "Tipo?"
Sospirò e iniziò a giocherellare con un filo della mia coperta.
"Sono tre giorni che non parla con nessuno. Non parla nemmeno con Ferrari. Guarda sempre fuori dalla finestra o guarda il tuo banco. Avevo immaginato che c'entrassi tu, ma non pensavo che fosse così grave. Oggi la Carovani l'ha beccato con il telefono e lo ha buttato fuori dalla classe. Lo guarda ogni due secondi. Quando gli ho chiesto cosa avessi, mi ha grugnito contro e mi ha ignorato. So di non stargli particolarmente simpatica ma ehi, poteva essere un tantino più gentile."
Abbassai lo sguardo e mi torturai le mani nervosamente. Non sapevo cosa dire, succedeva spesso che eravamo di cattivo umore quando litigavamo, ma addirittura non parlarne con nessuno? Prendere insufficienze?
Anna diede vita ai miei pensieri. "C'è molto altro dietro, Ali. C'è qualcosa che lo preoccupa. Tu come stai a riguardo? Ti sei calmata?"
E ancora non sapevo cosa dire? Mi ero calmata? Si, non portavo rancore, ma mi sentivo umiliata da come mi aveva trattata. Il mio orgoglio era ferito, e parlarne con lui mi avrebbe causato più sofferenza.
"Non so, Anna. E' giusto che io mi faccia sentire, ma mi sento ancora umiliata da come mi ha trattata. E' una questione di orgoglio."
"Lo so, tesoro, ma qui state soffrendo entrambi. Lui soffre perché ti ha allontanata e per via della distanza che si è creata tra voi, e tu per come ti ha trattata e sempre per la distanza. Non riuscite a stare separati. Questa situazione sta danneggiando entrambi. Vi fa male fisicamente, non solo mentalmente. Dovresti chiamarlo e provare a parlarci. Sono passati tre giorni, hai avuto tempo di pensare, e nel frattempo Ale non ha idea di come tu stia o di dove sia o cosa tu stia facendo. E questo lo fa impazzire. Ma lo sai meglio di me."
Mi fece un piccolo sorriso comprensivo, e non potei esserle più grata di così. Sapeva sempre qual era la cosa più giusta da fare.
Annuii e presi il telefono. Con mani tremanti digitai il suo numero e premetti il tasto di avvio chiamata.
Rispose al primo squillo e il mio cuore cominciò a palpitare più di prima.
"Pronto?" ansimava, come se gli mancasse il fiato.
"Ehm... ciao" dissi. Non sapevo che dire, avrei dovuto prepararmi un discorso, accidenti!
"Alice..." disse in un sussurro. sentire la sua voce tre giorni riaccese in me una scintilla.
"Come stai?" chiese, e lo immaginai in camera sua, gli occhi chiusi e la testa appoggiata al muro. Non ero sicura fosse a casa, ma di solito, quando era stressato, si chiudeva in camera e vagava per la stanza senza meta.
Sentii un peso dissolversi pian piano solo al suono della sua voce.
"Bene, cioè... meglio. La febbre si è abbassata, ma devo rimanere a casa almeno fino a Natale"
Sospirò. Aveva la voce roca e bassa. Era un momento di estrema riservatezza, e improvvisamente anche Anna sparì. Tutto sparì. C'eravamo solo io e te.
"Mi fa piacere."
Ci furono momenti di silenzio, e fu lui a parlare di nuovo. "Senti... riguardo a..."
"Tranquillo, è tutto okay. Avevi ragione tu, la prossima volta ti avviso. Davvero, non ti devi preoccupare."
"No, Alice. Ascolta, io non intendevo nemmeno una parola di quello che ho detto. Ero preso dalla rabbia e inoltre avevo appena litigato con mio padre. Ero stressato. Sai bene che sono felicissimo quando tu vieni a parlare con me invece che con altri. Non esiste che io ti venga a dire 'Non mi disturbare' quando il tuo mondo sta cadendo a pezzi. Non me ne vado."
Volli scoppiare a piangere dalla gioia e dalla disperazione allo stesso tempo.
Seguirono secondi di silenzio in cui le prime lacrime di sfogo cominciarono ad uscire. Alzai lo sguardo e Anna non c'era. Doveva essere uscita da camera mia.
"Sei a casa?" chiese, e notai una punta di ansia. Aveva forse paura che gli dissi di no?
"Si" sussurrai. "Vieni" aggiunsi subito dopo, senza nemmeno pensarci.
"Davvero?" chiese, la voce incredula.
Annuii, ma mi resi subito conto che non poteva vedermi. "Si" ripetei.
Misi giù e stordita andai in salotto. Entro pochi minuti sarebbe venuto.
Trovai Anna all'ingresso, in procinto di infilarsi i suoi stivaletti con tacco dodici.
"E tu dove stai andando?" chiesi, asciugandomi le guance.
Mi sorrise sorniona e complice. "Viene qua, no?" e il campanello suonò, facendo spuntare Ale sulla piccola telecamera del citofono.
Il suo sorriso si allargò e mi strinse in un abbraccio spacca costole. "Non ti preoccupare per me, ho gente che potrebbe darmi un passaggio. Troverò qualcosa da fare. Tu, piuttosto, goditi la tua serata con il tuo Ale."
"Grazie, Anna. Sei la migliore." E lo era davvero.
Mi fece l'occhiolino e sgattaiolò fuori. I due si sarebbero incontrati nel corridoio e si sarebbero scambiati qualche parola in croce. Sorrisi al pensiero e aprii ad Alessandro.
Qualche minuto dopo ero stretta in una morsa e il mio viso era schiacciato sul petto di Alessandro.
Cominciò ad accarezzarmi i capelli e lasciarmi baci sulla testa, tra i capelli.
Lo strinsi a mia volta e permisi alle lacrime di sgorgare libere e bagnargli la giacca.
Non ci vedevamo da tre giorni, ma ci stavamo abbracciando come se non ci vedessimo da mesi.
Rimasimo così per minuti interi, prima che lui sis taccasse e mi prendesse il viso tra le mani, asciugando le mie lacrime con i pollici.
"Scusami, scusami, scusami" ripetè in loop, appoggiando la sua fronte alla mia.
"Sono stato di merda in questi giorni, non facevo che pensare a come ti sentivi per colpa mia. Sono stato un coglione patentato" disse, e le nostre fronti rimasero attaccate, insieme ai nostri respiri affannati, e non ci eravamo nemmeno baciati.
Gli allacciai le braccia al collo, rimanendo sempre in quella posizione. "Forse un po'," dissi, ma non potei evitare che un piccolo sorriso spuntasse sul viso. "Ma ti ho già perdonato."
Si staccò e mi guardò, senza però staccare le sue mani dal mio viso.
"Davvero?" chiese, quasi timoroso.
Annii, e cercai di sorridere, nonostante le mie guance fossero spremute nelle sue mani.
Quella visione lo fece ridacchiare, e realizzai quano mi era mancato il suo sorriso.
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Nothing's still the same
RandomNella grigia città di Milano due ragazzi, Alice e Alessandro, sono migliori amici da quando ne hanno il ricordo. Hanno passato insieme, nella stessa classe, asilo, elementari, medie e superiori; fino al quarto anno. Questo legame indissolubile, pe...