Capitolo 3

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Il cuore di Phoebe non voleva saperne di calmarsi. Tutte le cellule del suo corpo tremavano. Era arrabbiata con se stessa, non poteva permettersi di provare così tante emozioni. La sveglia era suonata qualche minuto prima e lei era già davanti all'armadio indecisa su come vestirsi. Non le era mai importato, non le interessava cosa pensavano le persone su di lei. Ma quel giorno era diverso. Quel ragazzo le aveva dato appuntamento in quel parco. O almeno, a Phoebe era sembrato così. Lei ci sarebbe andata, e se lui non ci fosse stato, nulla. Sarebbe tornata a casa, non le importava. Ma, nel profondo del suo cuore, sapeva che non sarebbe stato così. Era consapevole del fatto, che quel ragazzo di cui non conosceva nemmeno il nome, le aveva acceso qualcosa dentro di lei. Forse solo curiosità. No, non era semplice curiosità. E Phoebe inziava a capirlo. Tutto questo la spaventava a morte. Non si riconosceva più. In soli due giorni, un ragazzo sconosciuto, le aveva riscaldato il cuore. Mentre pensava a tuttociò, chiuse gli occhi. Riusciva quasi a sentire il pezzo di ghiaccio nel suo petto che si stava sciogliendo e le sue gocce che le bagnavano la pelle. Tremava ancora. Nuvole cariche di ansia stavano dando vita ad una tempesta dentro di lei. Il vento sradicava ogni sua certezza e fulmini davano vita a foreste di incertezze.
Sbuffò. Era quasi ora di pranzo. Aveva poco tempo per prepararsi. Decise di indossare abiti semplici. Un paio di jeans attilati, un maglione morbido e caldo e un paio di vans. Non era nulla di speciale. Con alte probabilità quel ragazzo non  sarebbe neanche andato al parco.
Scese le scale.
Sua mamma era in casa.
All'ultimo scalino Phoebe fece un lungo respiro, già sentiva la voce di Jane che la criticava. Quando entrò in cucina sua madre non la degnò di uno sguardo. Jane era la persona più superficiale che avesse mai conosciuto. Gli abiti di marca e le feste erano le sue uniche preoccupazioni. Aveva tradito suo marito, Chris, nonchè padre di Phoebe, per anni. Poi, tutto d'un tratto avevano deciso di divorziare. Chris ne era uscito distrutto. Lui amava veramente Jane. Phoebe lo sapeva. Suo padre aveva lottato per tenere sua figlia con se, ma Jane aveva avuto la meglio. Ora suo padre si trovava dall'altra parte del Paese a San Francisco. Era l'unico che le voleva veramente bene. Gli mancava suo padre. Era un uomo dolce e premuroso. Un medico e un papà modello, e lei, non poteva averlo vicino.
"Ah, ti sei degnata di scendere! Come ti sei vestita? Curati di più, ci tengo alla mia immagine."
Phoebe la ignorò. Ma qualcosa dentro di lei le fece male. Aveva cercato per anni di avvicinarsi a lei, ma non ci era mai riuscita. Aveva fallito. 'Come sempre' pensò.
-Oggi esco, se ti interessa.- disse.
-Tanto non sei mai a casa. Non pensi mai a me.-
Phoebe si arrabbiò, sbattè la tazza di latte caldo sul tavolo facendo sobbalzare la madre e combattè contro le lacrime che ce la stavano mettendo tutta per trovare una fessura sulla sua maschera ed uscire.
-E a te, è mai importato di me?-
Senza aspettare una risposta, si alzò dalla sedia, e correndo uscì da quella casa che la stava ustionando dal freddo. Una lacrima riuscì a trovare una crepa e percorse la sua guancia arrossata per lo sbalzo di temperatura. Ne seguí un'altra e un'altra ancora.
Iniziò a correre senza meta.
Ogni cosa familiare, come le case, alberi, macchine assunsero forme indistinte e sbiadite. Ogni cosa perdeva colore quando Phoebe piangeva. Non se ne era accorta, ma era arrivata al parco.
Corse per qualche altro metro e poi si ghiacciò.
Tutto intorno a lei era in bianco e nero, a causa delle lacrime, tranne un paio di occhi.
Successe tutto troppo in fretta.
Ogni cosa si colorò di un meraviglioso azzurro. Quell'azzurro. Riusciva a sentire l'odore dell'oceano e il rumore delle onde che si infrangevano contro gli scogli. Riusciva a percepire la calma di un cielo limpido d'estate. Lui era lì.
E lei, in mezzo a quei due fiumi in piena, sorrise.

Nash quel giorno si sentiva felice come un bambino la mattina di Natale. Non vedeva l'ora di immergersi in quei due occhi neri come una notte senza stelle e portare un po' di luce. La mattina rimase in camera sua per prepararsi psicologicamente all'incontro. Quella ragazza, solo sfiorandolo l'aveva scombussolato. Migliaia di brividi l'avevano attraversato. Per lui quella sconosciuta era importante. Doveva riuscire a salvarla. La cosa spaventava Nash. Non sapeva da dove inziare. Trasse un respiro profondo ed uscì dalla stanza.
Quando varcò la porta della cucina sorrise. La famiglia era al completo. Sua madre Elizabeth era la donna migliore che avesse mai conosciuto. Era dolce e premurosa. Nash le voleva un gran bene. Suo padre Chad era il marito e il padre ideale. Suo fratello maggiore, Will era al college. Gli mancava veramente tanto. Nash, come suo fratello minore Hayes, aveva ereditato da lui quegli occhi azzurri che, insieme alla gentilezza di Chad avevano fatto innamorare sua madre. Hayes aveva 14 anni ed era il fratello migliore che Nash potesse desiderare. Era come un migliore amico per lui. Nonostante fosse più piccolo di tre anni Hayes era molto maturo e di una simpatia innata. E per ultima arrivava la principessa di Nash. La sua piccola Skylynn. Una bambina dolcissima, con i capelli biondi e due occhioni marroni da cerbiatto.
Nash aveva una famiglia perfetta.
Dopo pranzo, uscì di casa.
Aveva voglia di parlare con quella ragazza. Arrivato al parco, si sedette su di una panchina e chiuse gli occhi. Il vento freddo gli scompigliò i capelli e gli accarezzò il viso. Rimase lì, cullato da quella calma, finchè non sentì dei passi veloci. Era lei. Stava piangendo ed era scossa da tantissimi brividi, ma nonostante tutto gli sorrise. Nash era preoccupato. Si alzò di scatto e la raggiunse. Cosa doveva fare? Agì d'istinto. L'abbracciò. Subito la ragazza si irrigidì, ma poi un pianto isterico la scosse. La felpa di Nash era zuppa delle sue lacrime, ma non gli importava. Nash era un gigante in confronto alla ragazza tra le sue braccia. Il profumo di lei era sempre lo stesso e, a Nash, piaceva da morire. Quando la ragazza si calmò, si staccò velocemente da lui e alzò gli occhi. Nash la guardò e il suo cuore rimase impigliato negli occhi della ragazza. Le sorrise. Era un sorriso sincero, pieno di felicità. Perchè lui, nonostante il pianto della ragazza, in quel momento era davvero felice. Le guance della ragazza si imporporarono e iniziò a mordersi nervosamente il labbro. Erano labbra carnose e rosse. Nash le trovò bellissime.
-Ciao.- La voce di Nash uscì roca.
-Ciao.- La sua voce. Rimase incantato. Era delicata come una brezza primaverile. Dolce come la vaniglia. Calda come il fuoco del camino in una giornata invernale.
-Come stai?-
Non si conoscevano nemmeno e lui le chiedeva come stava. Poteva sembrare stupido, ma a lui importava veramente. Questa domanda la colse impreparata. Arricciò il naso, insicura della risposta da dare.
-Diciamo che, potrebbe andare meglio.-
Il tono della ragazza ora non era delicato, nè dolce nè caldo. Era diventato freddo. Come il vento gelido che graffiava i loro visi. Nash era titubante. La ragazza lo metteva in difficoltà.
-Piacere, mi chiamo Nash Grier.-
Le porse la mano.
-Phoebe, Phoebe Stone.-
La ragazza afferrò la sua mano. Nash soffocò una piccola risata. Aveva delle mani davvero piccole. Le trovava adorabili. Phoebe era il nome perfetto per lei. Era estremamente bello.
-Bene, parlami un po' di te.-
-Non c'è molto da sapere. Ho 17 anni, mi sono trasferita qui da poco, vengo da Miami, non vado più a scuola. L'ho abbandonata, non fa per me. Mi piace ascoltare musica e...le solite cose.-
Phoebe ora sembrava essere volata via. Non era più con lui. Non sapeva come portarla indietro.
-Sei bravissima a disegnare, come hai imparato?-
La ragazza riportò lo sguardo, un po' confuso su di lui.
-Non sono poi così brava, diciamo che disegno da quando sono bambina ed è solo una mia passione. Tu...beh... Raccontami qualcosa su di...te.-
Era estremamente insicura.
-Allora, ho 17 anni, frequento la scuola qui in città, amo fare sport, e nel tempo libero, faccio video divertenti con i miei amici.-
Lo sguardo confuso della ragazza era davvero buffo.
-Sì, sono abbastanza famoso.-
Fece una leggera risata e Phoebe, imbarazzata si aggiunse. Nash amò la risata di Phoebe. Era un miscuglio di emozioni. Una pozione da infarto. C'era felicità, imbarazzo e un pizzico di malinconia.
-Visto che non conosci ancora la città, ti andrebbe di fare un giro con me, così da ambientarti?- La voce di Nash era molto titubante. Troppo. Phoebe fece un sorriso lievemente accennato.
-Uhm, okay.-
Così si incamminarono, mentre l'imbarazzo che prima aleggiava sopra di loro, evaporò.

Avevano camminato talmente tanto che a Phoebe facevano male ai piedi. Aveva inoltre male alle guance. Non aveva mai riso così tanto. Ormai mancava qualche decina di metri a casa sua e già sentiva la mancanza di Nash. Camminavano fianco a fianco in silenzio. Phoebe ripensò al loro abbraccio e arrossì. Tra le sue braccia si era sentita immune da ogni male. Il cuore palpitava al ritmo dei suoi singhiozzi e, a causa della vicinanza di Nash, le palpitazioni erano ancora più irregolari. Essendo bassa, la sua testa era affondata nel suo petto, asciutto e muscoloso. Il suo profumo le aveva invaso l'anima.
Phoebe si risvegliò dai suoi pensieri e si accorse che erano davanti alla porta della sua piccola villa. Si sorrisero. Il sorriso di Nash era fantastico, l'ottava meraviglia del mondo. E poi, commise l'errore di perdersi nei suoi occhi. Tutte quelle sfumature limpide la incatavano. Ogni suo pensiero perdeva il filo logico. Era il suo posto preferito. Dove ogni preoccupazione spariva e dove ogni pensiero, ogni cosa diventava azzurra. Immersa in quell'azzurro si aspettava che, da un momento all'altro, abbassando lo sguardo, incrociasse una barriera corallina sul fondale. Era il tipico azzurro limpido di un lago di montagna incontaminato. Quegli occhi erano tutto. Phoebe ne era affascinata.
Nash parlò.
-Ci scambiamo i numeri?-
Era quasi intimidito da lei.
-Okay, tieni il mio telefono.-
Si scambiarono i numeri e impacciatamente si salutarono. Dopo cena, prima di andare a letto le arrivò un messaggio.
-Ci rivedremo?-
Questo modo diretto di chiederle di rivedersi le fece scappare una leggera risata. Persino un messaggio irradiava l'ansia di Nash quando parlava con lei.
-Sì, mi farebbe piacere.-
La risposta non tardò ad arrivare.
-Bene, buonanotte Phoebe. Ci vediamo.-
-Buonanotte Nash.-
Phoebe era sbigottita.
Nash le aveva dato la buonanotte. Era da anni che nessuno si scomodava per dargliela.
Con un sorriso ebete chiuse gli occhi e si addormentò.

Nash si stese sul suo letto e sbuffò. Ormai era dipendente da lei. Ripensò agli occhi di Phoebe. Grazie a lui si stavano accendendo piccole stelle. Era pazzo di lei.
"Buonanotte piccola." Disse alle pareti della stanza, aspettandosi quasi che arrossissero come faceva lei.
E si addormentò sognando occhi neri e un sorriso da mozzare il fiato. Lei era dappertutto.

Non lasciarmi andare. ||Nash Grier||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora