Capitolo 4

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Le dita di Phoebe pizzicavano veloci le corde della sua chitarra. Le note dolci che produceva erano camomilla per lei. I muscoli della ragazza si rilassavano, chiudeva gli occhi e i muri della sua stanza sparivano. Si sentiva libera, leggera, sola ma felice. Aveva sempre funzionato. Ma quel giorno no.
Nash.
Non lo sentiva da quasi una settimana.
Phoebe era infuriata con se stessa.
C'era ricascata.
Aveva creduto in lui. Ma a lui non era interessato.
Con un solo sguardo, Nash aveva scosso le fondamenta delle mura che la proteggevano e ora, immense crepe le solcavano. E ora, ora più che mai si sentiva indifesa, esposta.
Esposta agli sguardi della gente, alle loro lingue taglienti come lame.
Sperava che almeno Nash sarebbe rimasto.
No, era stata tutta una stupida illusione, la Foschia dei miti greci che si divertiva con lei.
La vita la prendeva di mira come un bullo. Ma non il classico bullo dei film che ruba le merendine. Si divertiva nel farla soffrire, a sbarrarle la strada con qualche problema insormontabile. Era sadico. La metteva in confusione, apriva nuove strade che finivano con un muro contro cui Phoebe andava inesorabilmente a sbattere. Insomma, la sua vita era un labirinto. Era stanca, doveva trovare un modo per evadere, almeno per un po', dalla sua vita. Era in perenne lotta contro se stessa, ora aveva bisogno di una tregua. Le balenò per la mente un'idea e lei la prese al volo. Aprì la porta di casa, ed uscì.

Quella che le era sembrata una buona idea all'inizio, ora non era più tanto allettante. Ubriacarsi e perdere il controllo del suo corpo non era il modo giusto per rendere la sua vita un po' più leggera. Non doveva essere un bello spettacolo, seduta su un marciapiede con una bottiglia di Rhum al suo fianco e lo sguardo perso nel vuoto. Poco le importava. Aveva solo bisogno di una persona in quel momento.
Nash.
Non lo avrebbe mai chiamato. Se non si era più fatto sentire un motivo ci sarà stato. Era il suo pensiero costante, possibile fosse così importante per lei?
E si ritrovò a pensare alle sue labbra. Non c'era aggettivo per descriverle. Rosse e carnose, così belle e perfette da sembrare disegnate.
E poi la sua pelle.
I suoi occhi, oh Dio i suoi fottuti occhi.
Phoebe pensava non ci fosse cosa più bella.
E, nel momento in cui si trovò davanti un paio di occhi azzurri pensò fosse frutto della sua immaginazione.
Non era così.
Era Nash.
Ora che lo aveva davanti si sentiva piena.
-Che cosa hai fatto Phoebe?!-
Il tono di Nash era forte, arrabbiato e sorpreso.
Fantastico. Ora pure lui era arrabbiato.
Lo aveva deluso.
-Ehm...n-non è come pensi...non mi sono ubriacata.-
Prese la bottiglia ancora sigillata e la mise davanti agli occhi di Nash.
-Oh...mi hai fatto preoccupare, ti prego non farlo mai più.-
Non era più sola, forse.
Gli sorrise.
-Ma che ci fai in giro a quest'ora, da sola?-
E sottolineò il 'da sola'.
-Ehm, stavo pensando e non mi sono accorta che il tempo è volato.-
Doveva essere appena passata l'ora di cena, perchè, dall'altro lato della strada un locale si stava riempendo.
-Okay, ma la prossima volta stai attenta! Come mai avevi intenzione di bere?-
Phoebe vacillò.
Non poteva dirgli che era colpa sua, che le aveva mandato a quel paese il cervello.
-Per...per svuotare la mente, subito mi è sembrata una buona idea ma...dopo ci ho ripensato...-
Merda, era stata troppo titubante.
-Non me la racconti giusta...-
Doveva trovare una via di fuga.
-Perchè perdi tempo con me? Dimmi il perchè! Non ne vale la pena, non lo capisci? Guarda, guarda quella ragazza- indicò una bella ragazza che stava ridendo con amici- è bellissima, e ha l'aria di essere veramente simpatica. E ora guardami, guardami! Leggimi dentro! Non c'è scritto nulla. Non sono simpatica, ne' bella, ne' interessante. Sono solo un mucchio di ferro vecchio che doveva essere un macchinario perfetto, un'invenzione abbandonata, un disastro. Uno stupido ed inutile disastro. Una delusione continua. Quando mi specchio, fatico a vedere il mio riflesso. Sono trasparente, il nulla, non sono fatta di emozioni come te. Sono un fantasma, incompleto, dimenticato. Non troverai mai nulla in me.-
Gli sputò in faccia un uragano di parole.
Parole che dovevano rimanere dentro lei.
Aveva sbagliato, non doveva dire niente di tuttociò.
Il viso di Nash assunse un'espressione sorpresa e Phoebe si fece schifo.

E restò zitto.
Incapace di parlare.
Le parole, come onde, arrivavano fino ad un certo punto nella sua gola e tornavano indietro, risucchiate da una corrente misteriosa.
Ne voleva dire tante di parole, Nash.
Avrebbe voluto dirle che di quella ragazza non gliene importava nulla. Che era solo normale. E lei era tutto il contrario. Una continua scoperta, una sorpresa dietro l'angolo che si moltiplicava all'infinito. Che era bellissima e che avrebbe voluto baciarla. Che no, le aveva letto dentro e...altrochè Shakespeare! Che lei era mille volte migliore di ogni romanzo. Che lei era un macchinario perfetto che doveva solo imparare a vivere, che era l'invenzione più bella del mondo. Che quando la guardava, perdeva il respiro. Che avrebbe trovato in lei tutto quello necessario per renderlo felice, completo.
Che sì, lei gli sarebbe bastata. Che lei era l'unica ragazza che avrebbe potuto incastrare perfettamente la mano con la sua. Che lui, per quanto strano potesse sembrare, si stava innamorando di lei.
Ma tutte queste parole non raggiunsero mai le orecchie e il cuore della ragazza.
-Non è vero.-
Riuscì a dire solo tre parole, che però erano intrise di tutte le frasi e le valanghe di parole che turbinavano nella sua testa.

Camminavano ormai da parecchio, ma a Phoebe non pesava.
Sarebbe rimasta tutta la notte con lui.
Non avevano parlato molto, ma da qualche minuto Nash continuava a guardarla e subito dopo sorridere.
Phoebe non si era mai sentita così in imbarazzo.
Non sapeva come comportarsi.
Non le era mai capitato di stare da sola con un ragazzo.
Aveva paura di fare la mossa sbagliata e di dire la cosa sbagliata.
-Che c'è? Come mai continui a sorridere?-
Subito lo sguardo del moro si fece buio, ma altrettanto velocemente si addolcì.
-È che sei...bellissima.-
Phoebe prese in considerazione l'idea di girarsi e correre a casa.
Ma Nash non sembrava così tanto imbarazzato.
Quasi a suo agio.
Mentre Phoebe era come ghiacciata, lui si avvicinò.
Erano a pochi centimentri di distanza e lei stava guardando la felpa di Nash, incapace di alzare gli occhi e incrociare quelle due meraviglie.
Ma poi se ne fregò.
Al diavolo, quando le sarebbe ricapitato?
Alzò lo sguardo e rabbrividì.
Erano incredibilmente vicini.
Nash le sorrise e lei vide tutta la sua perfezione da quella nuova prospettiva.
Poteva anche abbituarcisi.
La sua pelle candida.
Le sue labbra rosse che facevano da contrasto.
I suoi capelli così scuri.
Era in paradiso.
Nash alzò la sua grande mano e le accarezzò la guancia.
Scariche elettriche.
Fulmini.
Brividi.
Ed il suo cuore si sciolse del tutto.
Non la baciò, la abbracciò.
L'abbraccio più bello, più stretto, più voluto della sua vita.

Quando chiuse la porta di casa sua, Nash tirò un sospiro.
La tentazione di baciarla era stata tanta.
Però con lei sentiva che doveva andare piano.
Era fragile, in bilico tra la luce e il buio.
Per lei avrebbe aspettato tutta la vita.
Sì, ora ne era sicuro.
Era irrimediabilmente innamorato di lei.

Non lasciarmi andare. ||Nash Grier||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora