Capitolo 1

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Ho avuto un'infanzia felice, ero coccolata da tutti: genitori, nonni, zii, amici. Mi piacevano le bambole, mi divertivo a correre e ad arrampicarmi sugli alberi, facevo ginnastica artistica e me la cavavo piuttosto bene. Poi, quando ho compiuto cinque anni, è arrivata mia sorella Anna, una bellissima bimba bionda che adesso ha undici anni.
Sono sempre stata esile di corporatura, fin da piccola, addirittura leggermente sottopeso, ma stavo bene. Adoravo mangiare e non mi preoccupavo minimamente di poter ingrassare, il mio metabolismo non me lo permetteva.
I miei anni delle elementari e delle medie sono stati piacevoli, anche se non ricordo molto. Non sono mai stata una persona espansiva, ero, e sono tuttora, piuttosto riservata. Preferisco avere pochi amici ma stretti e sono sempre stata circondata da quelle persone che reputo idonee a volermi bene.  I problemi sono iniziati quando avevo quattordici anni, facevo la prima liceo e avevo scelto il classico. Era il liceo più tosto che ci fosse in città, quello che avevano fatto entrambi i miei genitori. Mi piaceva scrivere e odiavo la matematica. Divoravo libri su libri, ho letto il primo Harry Potter quando avevo sei-sette anni.
Andavo abbastanza bene a scuola, insomma, nella media. Poi però sono arrivati i problemi tipici delle ragazze adolescenti: ho iniziato a non piacermi, a guardarmi allo specchio e pensare: "che schifo". Non mi sentivo abbastanza per nessuno. Sentivo di dover dare di più alla mia famiglia e ai miei amici, di dovermi impegnare di più a scuola,  ma non ci riuscivo, ero costantemente depressa e non sapevo come liberarmi di quel macigno che portavo ogni giorno sullo stomaco. Così ho scoperto l'autolesionismo. Ho cominciato a tagliarmi con la lametta di un temperino, all'inizio facevo pochi tagli, poi sempre di più, uno sopra l'altro, con il rasoio. Nel giro di pochi mesi la cosa è saltata fuori. La babysitter di mia sorella mi ha trovata in bagno, svenuta, con il sangue che mi usciva dalle braccia. Ho un ricordo molto confuso di quel momento, ricordo mia sorella che gridava e piangeva disperata, l'ambulanza sotto casa. Mi hanno portata all'ospedale e i miei genitori hanno acconsentito ad un ricovero nel reparto di psichiatria. Ovviamente per loro era tutto nuovo, erano spaventati e lo ero anche io, ma sono stati molto comprensivi. Sono uscita dopo una settimana circa, ma dovevo continuare a vedere uno psicologo, anzi, psichiatra, una volta a settimana. Non mi stava molto simpatico, tranne per il fatto che era appassionato anche lui di Harry Potter. Stava lì e mi fissava sorridendo, senza dire nulla, senza farmi domande, e io non parlavo. Vedevo quella "terapia", così la chiamavano loro, come uno spreco di trentacinque minuti. Così è andato avanti un anno, ho incominciato a fare palestra, ma mi annoiava. Nella mia classe siamo sempre stati divisi in due, spaccati a metà: da una parte c'era il gruppo di quelli un po' più snob e popolari, che avevano il loro gruppo già dalle medie, dall'altra c'erano ragazzi e ragazze che si erano conosciuti a scuola e avevano legato molto. Per tutto il primo anno di liceo ero sempre stata con il primo gruppo, ma non mi piaceva. Erano persone false, si parlavano tutti alle spalle e davanti agli altri facevano finta di niente. Non mi sono mai sentita parte di loro, ma ci stavo perchè li conoscevo già da prima che iniziasse la scuola. In seconda ho iniziato a passare più tempo con il resto della classe, che mi ha subito accolta: ero felice. Finalmente avevo anche io il mio nucleo di amici con cui uscire il sabato sera, la mia seconda famiglia. Non tanto tempo dopo però, quella sensazione di pesantezza si è ripresentata, più forte di prima. E sì, potrete pensare che sia da stupidi, ma ho chiesto un ricovero. Sono stata in ospedale altre due settimane e ho conosciuto una nuova dottoressa, perchè il mio simpaticone era in vacanza. Ero preoccupata all'idea di cambiare, perchè il mio almeno mi conosceva. Ho conosciuto, abbastanza reluttante, Deborah, la mia nuova psichiatra. Mi è piaciuta subito: era molto giovane e carina, aveva due occhioni azzurri da cerbiatto e sorrideva sempre. In lei ho visto una specie di 'sorella maggiore', la sua figura mi rassicurava, ma allo stesso tempo era anche professionale. Mi piaceva parlare con lei di me e qualche volta le facevo domande su di lei ed era felice di rispondermi.
Quando mi hanno dimessa, però, ho dovuto continuare i colloqui settimanali con il mio vecchio psichiatra, tornato dalle vacanze.
I giorni passavano tutti uguali e la mia situazione non era molto migliorata. Prendevo una sorta di antidepressivo prima di andare a dormire, ma su di me non aveva alcun effetto, il mio umore era altalenante:-cambiava di giorno in giorno, di ora in ora. Durante l'estate però il mio psichiatra mi ha dato la notizia più bella che potessi ricevere in quel periodo: sarebbe partito per New York a settembre. Avrei continuato la "terapia" con Deborah e non vedevo l'ora di cominciare.
Cominciavo a stare meglio, ad uscire di più, a divertirmi con la mia famiglia. Il macigno se ne era andato come era venuto e stavo bene. L'estate seguente però, quella fra la seconda e la terza liceo, al campo scout ho avuto quello che adesso chiamo "attacco di panico". Non mi era mai successo e non sapevo cosa fosse, nè tantomeno sapevo come affrontarlo, mi sembrava di stare per morire: non respiravo e tremavo tutta, svenivo di continuo. In quel periodo, essendo senza i miei genitori, non mangiavo nulla e poichè avevo la tenda in cima ad una collina facevo tanto movimento. Sono stata in ambulanza e mi hanno sedata, la stessa notte i miei genitori sono venuti a prendermi.
In quel periodo ho raggiunto il mio peso più basso: 35 kg.
Dopo questo episodio però sono stata bene, ho ripreso la mia vita normalmente e adesso eccomi qui, sono pronta per raccontarvi la mia nuova, enorme, terribile avventura.

Il peso della felicità // Anoressia e Bulimia - la mia storiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora