Nella notte dei tempi viveva in Argo un re, Acrisio, che aveva una figlia dolcissima, Danae. Una sinistra profezia però pesava su di lei. «Tu avrai da Danae un nipote» aveva predetto l'oracolo a quel re, «ma non sarà fonte di gioia: il bimbo crescerà, usurperà il tuo posto e ti ucciderà».
L'angoscia di Acrisio fu tale che, per allontanare il terribile fato, rinchiuse sua figlia in una torre.
Ma il re non poteva lottare contro la sua sorte, né poteva lottare con Giove che, incuriosito dalla torre così ben protetta, volle andare a vedere che cosa celasse di tanto prezioso. E chi può nascondere qualcosa al dio dell'Olimpo?
Giove vide la fanciulla mentre si pettinava i lunghi capelli neri. Si invaghì di lei e la volle per sé. Scese perciò sulla terra sotto forma di pioggia d'oro, tenue e sottile che, infiltrandosi dal tetto, dalle fessure e dalle finestre della torre, raggiunse Danae e la ricoprì di un nembo luminoso. Avvenne così che il dio dell'Olimpo si unì in matrimonio alla figlia di Acrisio.
Dalla loro unione nacque un bimbo al quale fu dato il nome di Perseo. Il vecchio re, folle d'ira e di terrore, mise Danae e il suo bambino in una grossa cassa di legno chiusa da borchie resistentissime. L'affidò poi alle onde del mare in tempesta sicuro che l'avrebbero di lì a poco inghiottita.
Ma Giove, affezionato alla giovane e alla sua creatura, chiese aiuto a Nettuno. Il dio del mare calmò le acque e chiamò un vento dolce e carezzevole che spinse delicatamente la cassa verso le rive sabbiose dell'isola di Serifo, deponendola infine sulla spiaggia.
La cassa abbandonata sotto il sole d'oro attirò la curiosità dei pescatori.
- Com'è grande! Chissà cosa contiene! - si domandavano.
La considerarono un dono del mare e l'aprirono. Un grido di meraviglia si levò tra i presenti quando vennero fuori Danae e il suo figlioletto, sfiniti ma vivi.
La donna raccontò la sua triste storia. Fu allora chiamato il re di quel luogo, il buon Polidette, che accolse i due naufraghi nella sua reggia.
Perseo crebbe qui diventando il più forte di tutti i ragazzi dell'isola e il più bello. Era tanto robusto e intelligente da poter sicuramente affrontare qualsiasi nemico.
Polidette cominciò a temerlo; pensò perciò di allontanare il giovinetto dal regno e gli affidò una missione pericolosissima affinché dimostrasse a tutti d'essere figlio di Giove: Perseo gli avrebbe dovuto portare la testa di una delle Gorgoni. Erano queste tre orribili sorelle, causa di terrore e di morte per il mondo. Avevano un solo occhio, che rendeva di pietra chiunque lo guardasse. Medusa, la sorella maggiore, lo teneva quasi sempre per sé e raramente lo prestava alle altre.
Polidette, alimentando nel suo cuore la feroce speranza che il giovane Perseo perisse nel compiere l'impresa, aveva chiesto la testa di Medusa, la più tremenda, la cui morte avrebbe provocato di conseguenza la fine delle altre due. Perseo accettò senza indugio la terribile missione, dichiarandosi pronto a partire. Prima si recò sulla spiaggia e levò gli occhi al cielo implorando Giove:
- Ti prego, aiutami a combattere il mostro.
Il dio dell'Olimpo, udita la preghiera del figlio prediletto, mandò in suo aiuto Minerva. La dea lo guidò nel lungo viaggio verso l'occidente. Perseo passò mari e isole sconosciute, attraversò l'oceano, poi si fermò in Sicilia, come gli era stato consigliato da Minerva. Vide da lontano l'Etna, il monte dal cui cratere uscivano rosse lingue di fiamma: era l'officina di Vulcano, il dio del fuoco.
Il giovane si avvicinò alla montagna; entrò in un corridoio sotterraneo stretto e buio, dove armi di ogni tipo luccicavano alle pareti. Il fabbro divino lavorava in un angolo alla più bella armatura che Perseo avesse mai visto. Quando scorse il giovane eroe, con tono brusco gli chiese:
- Chi sei? Cosa vuoi?
- Sono Perseo, figlio di Giove. Vado ad uccidere Medusa, il flagello del mondo. Minerva, sorella mia e tua, mi ha condotto fin qui perché tu possa aiutarmi.
A questa parole Vulcano lo guardò con simpatia e, facendogli dono di una falce di ferro affilatissima, disse: - È con questa che dovrai tagliare la testa a Medusa. Poi lo accompagnò attraverso un corridoio più lungo e più buio del primo, fuori della montagna dove ancora una volta Perseo incontrò Minerva. La dea guardò soddisfatta l'arma, che mandava bagliori alla luce del sole, e poi lo informò:
- Se tu guardassi Medusa di faccia, il suo occhio malefico ti farebbe diventare subito di pietra. Eccoti perciò il rimedio. Prendi questo specchio: ti avvicinerai a lei camminando all'indietro e guardandola attraverso di esso. Se tu incontrassi il suo sguardo anche per un solo attimo, saresti perduto.
Gli fece inoltre dono di un paio di calzari fatati, che avevano il potere di rendere invisibili.
- Ogni tuo consiglio per me è un comando - la ringraziò Perseo. - Ma cosa posso fare per ricambiare i tuoi favori?
- Nulla - aggiunse Minerva: - Non parlare con nessuno, vai dritto per la tua strada. Mi renderai specchio e calzari quando l'impresa sarà compiuta.
Perseo continuò il viaggio. Attraversò ancora monti, sorgenti e. mari, finché giunse alla dimora delle Gorgoni.
Qui il buio era impenetrabile. Perseo, camminando all'indietro con lo sguardo fisso nello specchio, vide un bagliore e poi finalmente un occhio. Era azzurro con riflessi verdi ed emanava una luce intensa e fosforescente. Il giovane fu preso da un forte desiderio di voltarsi a guardare quel mostro con la testa ricoperta di serpi, i denti simili a zanne di cinghiali, le mani di rame e bronzo, le ali d'oro acuminate. Ma l'occhio era bellissimo, affascinante e attirava irresistibilmente. «Se lo guardi diventi di pietra». Le parole di Minerva ritornavano nella mente di Perseo, che continuava a camminare all'indietro. E quando il mostro si precipitò su di lui per pietrificarlo con la luce accecante dell'occhio, il figlio di Giove si fermò e trasse la falce. Con un colpo netto gli recise il capo. Le serpi emisero orribili sibili, la testa di Medusa rotolò ai piedi di Perseo. Il grande e malevolo occhio si chiuse per sempre.
Il giovane raccolse la testa sanguinante in una magica sacca d'argento con frange d'oro, regalo di sua madre. Infilò i sandali fatati e, reso invisibile, corse via mentre le sorelle di Medusa morivano anch'esse ululando e contorcendo il viso in smorfie atroci.
Intanto accadeva qualcosa di straordinario. Grosse gocce di sangue cadevano dalla sacca in cui era chiusa la testa di Medusa ormai priva di vita. Quel sangue si mescolava alla terra, diventava fango a poco a poco. Poi si gonfiò, si animò e si trasformò in un cavallo bellissimo, bianco e alato. Lo splendido animale nitrì forte, si avvicinò al vincitore e lo salutò in modo festoso. Perseo capì che era suo amico e lo chiamò Pegaso.
In groppa al suo nuovo compagno volò tra le nuvole. Si recò in Sicilia dove ringraziò Vulcano. Poi si fermò a invocare la sua protettrice, Minerva, che subito apparve. L'eroe le restituì lo specchio e i calzari e, in segno di sottomissione e di gratitudine, le donò la testa di Medusa. La dea, con un atto magico, la ridusse a un bassorilievo di metallo che da quel momento è stato ben visibile sul suo scudo.
Ma l'ora della verità era ormai giunta. Minerva gli svelò il segreto: il vincitore di Medusa era destinato a diventare padrone di una splendida città, Argo.
Ed ecco di nuovo Perseo sul bel cavallo alato volare per cieli e cieli e in breve tempo giungere ad Argo, dove non ebbe difficoltà a farsi proclamare re. Infatti tutti aspettavano il giovane eroe, designato dal fato come loro sovrano.
Ma anche il triste presagio si avverò. Non ebbe colpa il generoso Perseo quando, durante una gara, lanciò il disco a tale distanza che esso finì tra gli spettatori, colpendo al capo il vecchio re Acrisio.
Così era stato scritto nel grande libro del destino.
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Miti e Leggende
Ficção GeralUna raccolta di fiabe, miti e leggende da ogni parte del mondo