CAPITOLO 5

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SYRIA'S POV.

<Erik...>

Il mio è un lieve sussurro, ma l'orecchio agile ed allenato del ragazzo dinnanzi a me lo percepisce chiaramente.

<Syria.>

<Erik...> ripeto, quasi a volere assaporare ogni lettera con cura <Un bel nome...>

Le parole mi scappano dalle labbra, nonostante i miei sforzi per restare in silenzio.

<Grazie, lupacchiotta.>

<Piantala di chiamarmi così o ti strappo le orecchie e te le infilo nel naso.>

La mia minaccia lo fa scoppiare in una risata cristallina, che illumina la stanza.

<Se reagisci sempre così non la smetterò mai di chiamarti "lupacchiotta", lupacchiotta.>

Devo ammettere che non sono esattamente quella che si può considerare una persona paziente, ma Erik rischia veramente di farmi impazzire.

<E se non la smetterai di fare l'idiota, sarò costretta a chiamarti "idiota", idiota.>

Mi sembra di essere tornata all'asilo, i nostri comportamenti sono infantili e sciocchi. Nonostante ciò non possiamo fare a meno ti ingaggiare duelli di sguardi, ghiaccio contro mare, senza mai arrivare ad un vincitore. I nostri corpi denotano tensione, i muscoli sono rigidi e le mascelle serrate, ma negli occhi di entrambi brilla una scintilla di divertimento.

<Erik>

<Syria>

<Ho molte domande da porti, ma ho bisogno di risposte chiare e coincise.>

<Non è ancora il momento, piccola. Sei debole e stanca: devi riposare.>

Il mio corpo gli dà ragione: sento le braccia e la testa incredibilmente pesanti, le palpebre sono in procinto di chiudersi anche senza il mio consenso e le uniche cose che vorrei fare sarebbero godermi il caldo delle coperte e cadere fra le braccia di Morfeo.

La mia mente però è contraria: ho bisogno di risposte, ora. Ci sono molti interrogativi che mi tormentano e ho poltrito anche troppo, devo raggiungere il mio branco.

Erik deve aver notato la mia espressione stanca ma decisa a non cedere, perciò mi propone un patto.

<Allora, se tu adesso dormi e poi fai un pasto come si deve, io ti dirò tutto ciò che vuoi sapere.>

Mmh. Interessante.

<Tutto?>

<Tutto.>

Sorrido, mi sembra equo.

<Andata.>

<Fantastico. A più tardi, piccola.>

<A dopo, idiota.>

Si lascia sfuggire una piccola risata, per poi sparire, inghiottito dalla grande porta.

Che strano tipo.

Puoi dirlo forte, lupa.

CHE STRANO TIPO.

Non così forte.

Scusa, capo.

Scuoto la testa e sorrido, per poi dirigermi pigramente verso il grande letto; mi accoccolo fra le coperte calde e, prima di addormentarmi, ammiro il paesaggio rapita.

La foresta che fa capolinea dietro all'immensa vetrata è largamente estesa e molto folta. Migliaia di alti alberi formano una barriera impenetrabile intorno a noi; nonostante la finestra sia chiusa posso sentire chiaramente un gradevole profumo di sottobosco e terriccio.

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