CAPITOLO 6

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Devo essermi riaddormentata, tanta era la stanchezza.

Sento delle goccioline picchiettare insistenti sulla mia povera fronte, per cui mi trovo costretta ad aprire gli occhi a malavoglia.

Con il volto chinato nella mia direzione, un Erik divertito e bagnato mi guarda spavaldo.

I capelli neri hanno assunto una tonalità ancora più scura a causa dell'acqua, mentre il volto è fresco e riposato.

Quando smetto di rivolgere la mia attenzione unicamente al suo viso, noto che indossa solo dei pantaloni e il mio occhio cade immediatamente sul suo torace.

Inutile che perda tempo a descriverlo: addominali, pettorali, la tanto amata "V", eccetera.

Purtroppo per il belloccio qui davanti, ci vuol ben più di un bel fisico per fare impressione sulla sottoscritta.

Certo, anche l'occhio vuole la sua parte, ma non rinuncerei mai a quel pizzico di intelligenza e scaltrezza che tanto contraddistingue l'essere umano da un procione in calore.

Comunque.

<Erik! Mi stai bagnando, levati di mezzo.>

Lui sfodera un inquietante sorriso a trentadue denti, gli occhi si assottigliano e il viso gli si contrae in una smorfia furba.

Con gesto rapido infila una mano fra i capelli bagnati e li scuote con forza.

Bastardo.

Mi alzo di scatto e poco ci manca che sbatta la testa contro il suo naso: fortunatamente è abbastanza agile da spostarsi in tempo.

<Ehi calma, piccola. Era solo uno scherzo.>

<Ti sembra che io stia ridendo?> chiedo, a metà tra il divertito e l'arrabbiato.

<No. Devo rimediare.>

Il suo sguardo si accende e subito capisco le sue intenzioni. Inizio a correre per la stanza con lui alle calcagna. Spicca un agile balzo, per poi finire lungo disteso sul letto, ed io sotto di lui.

<Alzati mi fai male!> urlo, schiacciata sotto al suo petto, fra le risate.

<Io sono molto comodo, piccola.>

Ancora questi nomignoli. Non ne posso più!

<Peccato che io sia in fin di vita! Pesi, togliti!>

Con un sorriso compiaciuto si alza e, porgendomi una mano, mi aiuta a fare lo stesso.

Peccato che io sia in cerca di vendetta: gli afferro il polso e lo tiro con forza.

In pochi secondi la situazioni si ribalta, lui è sdraiato sotto di me, un'espressione sorpresa e divertita dipinta sul bel volto.

Mi avvicino lentamente al suo orecchio e lo sfioro con le labbra. Lo sento rabbrividire. Sorrido soddisfatta.

<Ricorda, non ti ho ancora perdonato. E poi, ho molte domande da porti.>

Mi alzo di scatto e lo invito a fare lo stesso.

Lui mi guarda, una sottile ombra di dispiacere gli copre il viso.

<Va bene. Prima però, ti voglio proporre un patto.> dice lui.

Col cavolo.

<Se non sbaglio, avevamo già un patto: se io avessi dormito e mangiato, tu mi avresti dato delle risposte.> rispondo <E l'ho fatto. Ora è il tuo turno.>

Lui, sbuffando, alza gli occhi al cielo.

<Non sbuffare. Un patto è un patto.>

<E sia: ti concedo due domande.>

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