CAPITOLO 3

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<< Sono a casa! >>

Nessuna risposta.

<< Mamma? >> mi avvicinai a lei: nessuna risposta. << Papà? >> mi avvicinai a lui: nessuna risposta. Entrambi erano seduti sul divano a guardare lo schermo della tv. << Sapete è stata una bella giornata nel caso ve lo stiate chiedendo >> sorrisi. << Com'è andata a scuola tesoro? >> chiese mia madre senza staccare lo sguardo da quello schermo grigio. << Te l'ho appena detto >>

<< Brava, continua a fare il tuo dovere, siamo fieri di te >>  rise alla battuta del presentatore del programma. << Questa era buona >> rise a sua volta mio padre. 

<< Forse potreste ascoltare me, per una volta tanto >> 

"mettiti al tuo posto" sentii una voce nella mia testa e scossi la testa. "mettiti al tuo posto" continuò.

<< No >> dissi tra me e me, per poi provare a salire le scale. << Tesoro? – mia madre mi chiamò- perché non hai salutato la vicina? >>

<< Non l'ho vista fuori casa >> risposi confusa. << è proprio qui, davanti a te >> indicò verso la cucina. La televisione ora era spenta e mio padre teneva in mano un canovaccio con un vassoio sopra.

<< Cara, i tuoi genitori mi hanno detto che vai benissimo a scuola >> la vicina decrepita si presentò davanti a me. Con le sue perle ormai diventate grige, i suoi vestiti turchesi e il suo trucco talmente pesante da risaltare ogni suo difetto. Da dove è spuntata fuori? << Già >> sorrisi, pensando alla verifica che avevo saltato il giorno prima. << Per non parlare di tuo fratello, sta studiando medicina giusto? >> chiese a mia madre con un sorriso che metteva in mostra ogni sua singola ruga del volto. << Si, siamo molto fieri di Kian >> dissero in coro. << Si certo come no >> sussurrai forse un po' troppo forte. Gli sguardi dei miei genitori mi congelarono.

"mettiti al tuo posto"

<< Fanculo il posto >> dissi a voce medio-alta. << Perdonami cara? >> disse la strega portando una mano ornata da anelli sul suo torace. << Ho detto...- "mettiti al tuo posto, cazzo"- che vorrei diventare proprio come lui >> sorrisi meccanicamente. << Ohw cara, ce la farai. Dentro questo piccolo corpicino c'è tanto talento, sei proprio come tua madre >> fece ballare quelle parole insulse nell'aria.

Una puttana, pensai. << Così mi fai arrossire >> dissi.

<< Bene, ora devo andare. Grazie mille della torta >> si congedò con un saluto alla Regina Elisabetta. Mio padre chiuse la porta sorridendo mentre mia madre copriva le finestre con le tende spesse e scure.

<< Papà? >> dissi cauta. Lui rimase di spalle, verso la porta, come una statua di marmo. Così come mia madre che fissava le tende della casa.

<< Mamma? >>

<< STAI ZITTA. >> urlò mio padre. << Quante volte ti devo ripetere di stare al tuo posto? Quante volte ti ho detto di eliminare quel tuo fottutissimo sarcasmo? Quante volte?? >> rimase sempre di spalle, urlando alla porta.

<< Scusami. Non l'ho fatto apposta >> dissi abbassando lo sguardo, non troppo.

<< Cara l'hai sentita? – si volto e posò la mano sul mio zigomo- non l'ha fatto apposta >> iniziò a ridere, seguito da mia madre che era ancora impegnata ad analizzare le tende. << Non capisci niente, lo sai questo vero? >> disse con calma ritirando la mano velocemente come se la mia pelle scottasse. << Niente cena e niente pranzo domani. Intesi? >> rise. << Ma papà..- mi diede uno schiaffo- ti ho detto. RIMANI AL TUO POSTO >>

<< E ora, per favore, vai in camera tua- disse con uno sguardo impassibile- Io devo uscire e non voglio perdere altro tempo – fece una smorfia di disgusto- con una come...te >>

<< Fai quello che dice tuo padre >> disse mia madre estraendo una fiaschetta di alcol dalla tasca della sua felpa per poi scolarsi un sorso.

<< Io- "mettiti al tuo posto"- vado di sopra >>

Salii le scale così in fretta da quasi non accorgermene. Sentii una puzza asfissiante provenire dalla camera di mio fratello, aprii la porta: mio fratello sdraiato sul letto con un ago in mano e una sigaretta nell'altra. << Hey tu >> disse evidentemente faticando. << Dovresti unirti a me >>

<< Magari un'altra volta >> sorrisi chiudendo la porta per poi dirigermi verso la mia camera.

Quella casa era stata evidentemente progettata per non avere privicy, la camera di mio fratello era praticamente attaccata alla mia. Così tanto da poter sentire ogni sua sniffata, ogni sua scopata... tutto.

Entrai nella mia camera: lilla. La odiavo con tutto il mio cuore. Era piena di foto di famiglia: in una c'era la famiglia versione "compleanno" in un'altra versione "vacanza estiva" o "vacanza primaverile" in tutte i sorrisi dei nostri volti brillavano come lampioni nell'autostrada in piena notte. In tutte avevamo un'aria felice, spensierata e unita.

Il mio letto era pieno di peluche, le coperte a stampa floreale, così come l'armadio bianco di marmo. Lo aprii: i miei vestiti neri quasi facevano ombra a tutta la stanza. Aprii un cassetto: la mia macchina fotografica quasi si vergognava di fare foto ad un ambiente del genere. Guardai la lavagna sopra la scrivania ricoperta da libri ordinati per grandezza e colore. Diceva: giorno 17, compito di biologia.

Nessuno entrava mai in camera mia ma i miei pensavano che era bene vivere in un ambiente "adeguato" per abituarmi a vivere in armonia con tutto quello che mi circondava.

Mi buttai sul letto color crema e talmente pieno di fiori da quasi farmi venire un'allergia primaverile. Guardai il soffitto: bianco. L'unica parte della casa che era rimasta alle origini, l'unica parte della casa sincera, più sincera di tutta la mia famiglia.

Il campanello suonò. Alzai gli occhi al cielo.

"mettiti al tuo posto"


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