15° Capitolo

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Erano ormai trascorsi quasi due monotoni mesi da quando Marco aveva deciso di offrirci una casa dove poter mangiare e dormire. Non una casa qualunque,ma la sua. Erano trascorsi due mesi e cominciammo a sentirci un peso. D'altronde è vero! Avevamo promesso di trovarci un lavoro ed essere autonome. La verità è che forse non ne eravamo poi così tanto capaci. La vita,qui a Milano,cominciava ad essere fredda. Le prime giornate uggiose. Le prime felpe. Le cioccolate calde condivise nel primo pomeriggio e le strade inondate da foglie rosse e gialle. Delle foglie che ormai non avevano più la giusta forza per rimanere inchiodate a quei robusti rami. Non possedevano più un valido motivo per continuare a combattere,avevano deciso di abbandonarsi alla leggerezza del vento. Mi ritrovavo molto in quelle ruvide foglie. Ritrovavo me stessa. Il mio sogno. L'intensa voglia di cambiare la mia vita che ora non m'apparteneva più. Sembrava come se tutto fosse svanito. Nessuna aveva più la giusta forza per combattere,non c'è n'era più motivo. Forse,l'unica soluzione era tornarcene a casa e chiudere questa nostra esperienza con un grande sigillo. Erano proprio questi i pensieri che mi frugavano in testa sin dalle prime ore dell'alba. Continuavano a girare e rigirare e non mi concedevano una pausa. Il mio volto era irriconoscibile. Spento,freddo,apatico. E mentre,con la manica del mio pigiama mi asciugavo quelle lacrime prive di sapore,una mano fervida si posò sulla mia scapola. Era Sara. Rimasi impietrita e distaccata,perché difficilmente permetto alle persone di conoscere una delle mie più forti realtà. La debolezza. Sempre,nella vita,si tende a mostrare alla fine quello che poi non sei. Una persona forte,solida. Ma ormai,Milano mi stava facendo conoscere lati del mio temperamento che fino ad allora non sapevo neanche esistessero.

''Ti capisco...'' furon queste le prime parole che fuoriuscirono dalle sue fragili labbra. Nel frattempo,la sua mano continuava ad accarezzarmi e a stringermi più forte.

''Ti capisco anch'io'',risposi abbracciandola. Quell'abbraccio che stava allegoricamente simboleggiando,in quel momento,la condivisione. La condivisione di un dolore non più sopportabile. Di un dolore vivo,nei nostri cuori. Cuori che,non riuscivano più a sentirsi all'altezza e gente che,non riusciva più a sovrastare con i propri sogni la difficile realtà che stava vivendo.

E mentre,i nostri volti cupi continuavano a guardarsi intensamente,sentimmo bisbigliare qualcosa dalla stanza accanto. ''Andiamo via!''. Qualcuna,finalmente,era riuscita a dar un suono alle parole che,dà un paio di giorni a questa parte,vagavano nel mio inconscio. Senza neppure volerlo,Ilenia,era diventata la più coraggiosa. Mai,prima di questa esperienza,sarebbe riuscita a pronunciare quella frase. I suoni di una frase che non promettevano nulla di buono. Poi,dopo aver udito il tutto, acconsentimmo. Fortunatamente,Marco continuava a dormire e non si accorse di nulla. Così,decidemmo che saremmo partite prima del suo risveglio,che sarebbe avvenuto a breve. Cominciammo a mettere caoticamente le nostre cose nelle piccole e insignificanti valigie. Avevamo tante cose da metterci all'interno e quindi i nostri cuori non ci entravano più. E fu così che con parsimonia li posammo ognuno sul proprio letto e senza nessun tipo di rancore si riaddormentarono. Non potevamo ritornare a casa integralmente. Milano,con il suo splendore,aveva rapito i nostri cuori ed era giusto che restassero qui. Un ultimo sguardo panoramico dalla finestra ed ecco che ritornano gli occhi lucidi. Era strano che continuassi ad emozionarmi nonostante non avessi più un cuore con cui farlo.

Ilenia posò la fatidica lettera che avevamo scritto già da un po' di tempo a questa parte,ma che non avevamo mai avuto il coraggio di posare su quel tavolo. Era una semplice lettera di ringraziamento. Una lettera che avrebbe avuto il compito di giustificare la nostra assenza a Marco dopo pochi istanti dal suo risveglio. Che strana la vita! Senti la necessità di conoscere tanto una persona che ti faccia star bene e poi,appena la trovi,risenti la stessa necessità,ma questa volta,di andar via. Pensavamo già a quanto male ci sarebbe rimasto Marco. Sì,pensavamo solo a lui perché ormai gli altri non pensavano più a noi. Luca,era da tempo partito per realizzare una delle sue più grande sfilate all'estero. Cris l'aveva ovviamente accompagnato,essendo uno dei suoi modelli più prestigiosi. Erano due mesi,quindi,che non avevamo notizie. Due mesi vissuti nella speranza di poter studiare,lavorare e di poter cercare finalmente di costruire il futuro che,da sempre, i nostri genitori avevano per noi pensato. Ma,tutte le porte chiuse,che avevamo ricevuto,c'erano bastate. C'erano bastate a capire che il futuro non aveva proprio intenzione di aprirci neanche una delle sue finestre. Per questo,esauste,avevamo deciso di tornare da quelle persone che,nonostante il loro campanello non suonasse da un bel po',la loro,di porta,era sempre pronta ad accoglierci. E dopo questa lunga e assillante riflessione,chiusi la porta alle mie spalle. Che piacevole incubo che avevamo vissuto! Di corsa,ci recammo alla stazione. Col fiatone in gola,comprai i tre biglietti. E rieccomi che stavo cominciando nuovamente a pensare. Non riuscivo a smettere. Fissavo i biglietti. Tutto aveva preso vita da lì,da quel pezzo di carta. Ed ora,tutto stava per finire. Non riuscivamo a parlare. Avevamo altro da fare. Piangere. Non ci importava più se la gente ci stesse guardando. Frattanto che le lacrime cadevano sull'asfalto,il capotreno emise un acuto fischio. Il treno,a breve,sarebbe arrivato. I miei occhi s'erano stufati di fissare il vuoto così cominciarono a cercare qualcosa di più concreto. Era come se non riuscissi più a controllarli. Guardavano ovunque. Guardavano tutti. Proprio come se stessero cercando qualcosa,qualcuno. Mi pervase per un momento quasi un forte senso di nausea che mai avevo avvertito fin'ora. La testa mi girava. Le mie cugine,essendosi accorte di questo mio malessere,mi porsero dell'acqua,dandomi diversi scossosi per farmi rapidamente riprendere. Non lo so se tutto questo fosse legato all'accumulo di ansia che avevo,ma,so solo che dopo le varie scosse ricevute,riuscii a focalizzare un punto. In modo quasi illegibile,riuscivo a leggere sul muro,fra i tanti murales,una scritta. Una scritta che leggevo ma che non riuscivo a pronunciare,perché qualcun altro con la sua potente voce mi impediva di leggere. Il mio desiderio irrefrenabile di tornare a casa,era svanito. Avevo solo una gran voglia di riprendere la mia vita da milanese. Non capivo perché. Scorgemmo in lontananza il treno che stava arrivando. Le nostre mani erano occupate. Stavano stringendo forte il prezioso biglietto. Pochi secondi e il treno con la sua velocità scatena una forte corrente d'aria che ci fa indietreggiare e che ci strappa letteralmente i biglietti di mano. Corsi a riprenderlo immediatamente,ma il vento non mi permise di afferrarlo. Mi stavo quasi infuriando. Sara e Ilenia stavano correndo per poter comprarne un altro,quando il treno chiuse le porte dei binari e sfrecciando, ripartì senza neanche aspettarci. Trascorsero diversi minuti prima che l'atmosfera ritornasse in sé,poi,la forte tempesta d'aria si placò. La stazione tacque.

Prima che lasciassimo quel surreale posto,rimasi ipnotizzata da Sara che ricevette una chiamata. Ilenia mi guardava perché non riusciva anch'essa a capire da chi provenisse. Poi sorrisi,appena ascoltai la voce tremante di Sara,dire:- ''Quanto tempo Cris...''.

Ed ecco che,nonostante il freddo ci stesse spaccando le ossa,avvertimmo un potente caldo all'interno del nostro petto. Sembrava infuocato. In realtà,erano i nostri cuori che ci avevano raggiunte e che avevano ripreso a battere.



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