1804 - Mezzosoprano

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Quella notte scampammo all'attentato, senza riportare particolari ferite; una cicatrice lunga quanto un pollice probabilmente non sarebbe mai sparita del tutto dalla mia caviglia, ma eravamo vivi, tutti, ed era l'unica cosa che contava.

Quattro anni prima, Napoleone Bonaparte era sopravvissuto a una congiura sventata e a un attentato, quattro anni dopo si apprestava ad essere incoronato Imperatore dei francesi.

I pareri al proposito erano tanti e contrastanti, come sempre accadeva quando si parlava di Lui: tanti ricordavano con odio la monarchia, ma altrettanti piangevano ancora le vittime del Terrore. Di fatto, nessuno sembrava poterglisi opporre.

Imperatore dei francesi. Continuavo a ripetere quelle semplici parole assaporandole sulla lingua quasi fossero miele e solitamente le ore che avrei dovuto trascorrere a prendere lezioni di grammatica erano il luogo perfetto per immaginare nella mia mente l'intera cerimonia, quando avrei indossato un abito bianco e avrei tenuto il mantello rosso di Joséphine, futura Imperatrice.

Sapevo che la mia signora aveva temuto di esser messa da parte, lasciata per una donna più giovane e di nobili natali che assicurasse al neonato impero alleanze e successione, ma non mi ero affatto stupita quando Napoleone l'aveva voluta con sé.

Ricordo che una notte, mentre sedevo in biblioteca approfittando della quiete per leggere, lo colsi ad osservarmi dall'uscio della porta; nonostante vivesse ufficialmente in quella casa, era raro che vi si palesasse e ancor più raro che io lo incontrassi, vivendo nell'ala riservata alla moglie in cui non metteva mai piede.

- Cosa leggete?

- Una raccolta di miti greci.

Egli annuì e mi si sedette accanto, sul tappeto persiano tanto amato da Joséphine. Era sempre così, con lui: altero e rigido con tutti, soprattutto fuori da quelle mura, ma affettuoso con me, complice quasi. Amico, sempre ammesso che un uomo come lui potesse mai avere un'amica come me.

- Un giovanotto banale che desiderasse impressionarvi a questo punto potrebbe paragonarvi a Venere, mia bella Claudia.

Ricordo di essere arrossita così violentemente che neppure la penombra poté celarlo. Lo amavo, sì, ma di un amore puro, scevro da qualsiasi carnalità: l'avevo capito da tempo ormai, e avevo smesso di negarlo a me stessa, ma custodivo quell'amore in segreto, in silenzio.

– Io non sono Venere, mio signore, ma voi siete senza dubbio Giove.

Sorrise, annuendo appena. –E Joséphine sarà la mia Giunone, come è giusto che sia.

Avevo smesso di soffrire, di essere gelosa: non sarebbe stato giusto e non avrebbe avuto alcun senso. Amavo entrambi, immensamente, e tutto ciò che mi rimaneva era una melanconica rassegnazione per ciò che non avrei mai avuto.

– E io, mio signore? Se non Venere, chi?

– Eos, la dea dell'aurora, perché quando voi siete con me, Claudia, tutto assume le connotazioni dell'alba, di una nuova nascita, della speranza.

Mi schermii, alzandomi in piedi ed allontanandomi da lui: aveva taciuto, ma la ricordavo perfettamente, sulla relazione di Eos con Zeus, corrispondente greco di Giove.

– Devo andare.

– Claudia!

Mi afferrò un polso, trascinandomi verso di lui. –Claudia...

Un sussurro, un sospiro.

Oh, quanto avrei desiderato abbandonarmi a lui, cedere a quel desiderio che sembrava farmi impazzire, ma poi i miei occhi caddero su un ritratto di Joséphine e bastò quello per darmi la forza necessaria a scappare.

**

Non lo rividi più, fino al giorno dell'incoronazione nella più imponente Cattedrale del mondo cristiano, Notre Dame. Seguii la mia signora lungo la navata, con il cuore che batteva furioso in attesa del momento in cui l'avrei visto, chiedendomi se sarei stata in grado di sopportare il dolore.

Entrammo a cerimonia già quasi conclusa e, inchinata davanti all'altare, lo osservai porsi sul capo la corona, in un gesto che simboleggiava tutto il suo potere, poi prese quella dell'Imperatrice e si avvicinò a noi.

Nell'istante in cui la corona sfiorò i capelli che io stessa avevo acconciato, egli mi guardò. Non più uomo, ma Imperatore, e benché avesse affermato che il suo potere derivava dal popolo e non da Dio, mai come in quel momento sembrò uguale a Giove, superiore a tutti noi.

E quello sguardo aveva un unico, chiaro scopo: mostrarmi a cosa avevo rinunciato, cosa avrei potuto avere e cosa mi ero lasciata scivolare dalle dita come fosse sabbia, ma avevo ventitre anni, ero folle d'amore per quell'uomo che dal nulla era salito sul trono più importante dell'Europa intera, per i suoi sogni di unità, per la costante ricerca della modernità.

Non avrei mai permesso a me stessa di diventare la sua amante, di svilire in quel modo quei sentimenti.
Era una strada senza uscita, la mia, nessuna alba mi stava aspettando.

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