Mi misi in strada, ora volevo solo il mio letto. Pioveva davvero forte porca troia, non si vedeva niente, per lo più ero anche ubriaco, non reggevo l'alcool nei migliori dei modi, ma nonostante i grandi bicchieri quel poco di lucidità per fortuna ancora c'era. Arrivai a casa, abito in un palazzo di sedici piani lussuosissimo, solo guardandolo in altezza mi girava così tanto la testa che a mala pena riusci a reggermi. Scendo dalla macchina barcollando di qua e di la, ero proprio messo male. Salgo fino al tredicesimo piano a piedi, dato che c' era quel tempaccio era meglio evitare l'ascensore, saltava la corrente molto spesso.
Sembrava non terminassero mai le scale, ero stanchissimo, ma questo non fu niente in confronto all'urlo straziante che sentì dalla porta del tredicesimo piano, ma non ci feci molto caso, visto che pochi minuti fa mi sembrava di volare, avevo le allucinazioni, ma quando ne sentii un altro, realizzai che forse non stavo immaginando, ma quello che sentivo era vero. Mi spaventai a morte, mille pensieri mi vennero in mente, tante emozioni scompigliate dentro la mente, pensavo soprattutto a cosa dovevo fare, come potevo reagire. Un altro urlo, sta volta seguito da uno, due, tre spari, CAZZO in quell' appartamento si stava svolgendo un omicidio, che cavolo dovevo fare?. Ancora ero li fermo sulle scale, tra il dodicesimo e il tredicesimo piano, ma mi venne un'idea al quanto fattibile. Mi venne una botta di coraggio, sali velocemente le scale, arrivando nella porta di casa mia, al piano superiore, presi una pistola una magnum vecchia che mi regalò mio nonno prima di trasferirmi in America e scesi piano piano le scale verso il muro, per non farmi notare. Arrivato davanti la porta la sfondai e vidi l'ultima cosa che volevo vedere in vita mia. Vidi i primi cadaveri, pieni di sangue dappertutto, ceduti li davanti a me, una donna con una bambina, si e no quest'ultima poteva avere dodici anni. Mentre mi stavo guardando intorno, altre urla dalla cucina, urla di un uomo sta volta; mi recai cautamente li e vidi un uomo incappucciato, vestito di nero, si girò di pochissimo e intravidi un ragazzo biondo, con un pearcing al labbro. Cercò di scappare, presi la mira e lo colpi all'altezza della spalla. Spense la luce, lo stronzo era molto furbo, non lo vidi e sentii una presenza seguita da un freddo micidiale che mi passò accanto, era davvero inquietante. Presi di nuovo lucidità, era agghiacciante quella situazione, lo rincorsi per le scale cercando di colpirlo, ma c'era così tanta scarsa visibilità che non riuscivo a squadrare il suo corpo per colpirlo, ma con la mia grande velocità riusci ad acciuffarlo, prendendolo dal colletto e dandogli due pugni nel naso e nel mento, nonostante c'è l'avessi davanti non riuscivo bene a vedere il suo volto. ho agito senza rendermene conto che insieme a lui, teneva in tasca un coltellino, lo prese con molta velocità e mi fece un taglio nella guancia destra; dal dolore lo lasciai e scappò, era un dolore lancinante, un bruciore e dolore allo stesso tempo così forte che mi accasciai a terra, lasciandomi intravedere il ragazzo fuggire con una motocicletta nera. Ritornai nel mio appartamento, specificatamente nel luogo dell'omicidio, zoppicando, mentre tenevo una mano nella guancia; chi era quel ragazzo? e perchè ammazzò quella famiglia? che cosa voleva da loro? che cosa gli dovevano? tre mila domande mi assalirono, mi girò di nuovo la testa, così forte che non riuscivo a reggermi in piedi. Stavo prendendo il telefono per chiamare la polizia con le piccole forze che mi rimanevano, ma qualcuno mi aveva già preceduto. Arrivarono, mi stavo girando per andargli a spiegare il tutto, ma non proferirono parola e vedendomi la dentro, senza pensarci neanche due volte mi anticiparono, correndo verso di me e dandomi un colpo di pistola alla nuca. Non capii più nulla, mi sentì svenire, sentì delle voci lontane, molto lontane, fin quando non sentii più nulla.
Mi risvegliai, la testa mi faceva un male cane e non volevo sentire altro che silenzio, quelle tante voci in torno a quella stanza mi davano così tanto fastidio. Focalizzai il tutto, ritrovandomi in un ospedale. Continuavo a non capire nulla e mi rilassai appoggiandomi allo schienale del letto chiudendo gli occhi, credendo che la testa si mettesse un po in pace e finiva di pulsarmi continuamente, mi stava dando sui nervi. Il mal di testa stava cessando, ma sentendo la porta aprirsi di colpo, mi alzai di colpo dallo spavento e la testa ricominciò a pulsare più forte. Mi misi una mano in testa, guardando un uomo che si stava avvicinando a me, un uomo alto e molto grosso. "Commissario Smith" mi porse una mano e guardandolo incredulo e confuso gli porsi la mano senza dire nulla; "Allora, che ci faceva nel luogo del delitto?" mi disse prendendo una sedia e sedendosi accanto a me con un foglio e una penna nera. Cominciò a farmi domande sull' accaduto e cominciai a raccontare, senza tralasciare nessun dettaglio, mentre lui scriveva tutto quello che gli dicevo. Cominciò a ridere, non capendo il motivo per cui lo stesse facendo, "Pensi che io creda a questa assurdità?" continuavo a guardarlo incredulo, perché non mi credeva? Che senso avrebbe inventare e giocare sulla situazione che in quel momento era uno schifo, "Non avrei motivo di inventarmi cazzate per una situazione così delicata" cominciai ad arrabbiarmi, che gran testa di cazzo, "Ho avuto così tanti omicidi da risolvere e queste grandi minchiate ormai per me sono acqua fresca", fece un sorriso compiaciuto, si mise le braccia appoggiate alle ginocchia e continuò, "Lei è accusato di triplice omicidio" con quanta tranquillità lo disse, quanta rabbia si scatenò dentro me e cominciai a ribellarmi, dicendogli che non farei mai una cosa del genere e che non ho un cuore di ghiaccio come ha quell'uomo che li aveva uccisi, ma non c'era nulla da fare, mi continuava a dire che non c'erano possibilità che nessuno lo potesse tirare fuori da questa situazione e cominciai ad incazzarmi sul serio, alzandomi dal letto, gridandogli in faccia e strappandomi tutti i fili in cui ero stato attaccato quella sera, dovevo dimostrare che ero innocente, ero arrivato al limite della sopportazione. La rabbia mi accecò talmente tanto che dovettero chiamare due infermieri, che con forza mi trattennero mettendomi la camicia di forza; si avvicinò il commissario, solo guardandolo volevo dargli così tanti pugni, "mio caro, verrai con me in un ospedale psichiatrico, ti farò vivere le pene dell'inferno" continuavo ad agitarmi per liberarmi da quella cazzo di cosa che mi bloccava, sentendo la mia vita cadere in un profondo cambiamento.