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G O L D ;

Canzone per il capitolo: i'll take you there, dei sleeping with sirens.

ENJOY.

Sentivo gli occhi bruciare, la bocca impastata e la gola secca quando mi svegliai in bilico tra il bordo sottile del letto, che mi stava risparmiando una notevole botta violacea sul fondoschiena, e il braccio di Ash disteso orizzontalmente verso di me.

Solitamente amavo svegliarmi abbracciata a lui, e non a lato del letto, ma dovevo ammettere che Ashton fosse parecchio agitato di notte, e che dunque, certe volte, mi capitasse di allontanarlo in preda al nervosismo. Tutto si risolveva, però, entro il mattino seguente, quando generalmente mi lasciava un bigliettino con su scritto: "buongiorno amore" sul comodino.

Non lo ammettevo spesso, ma amavo il suo modo di dimostrare il suo affetto con piccoli cliché quotidiani.

Quando ti elencano le cose positive della convivenza parlano sempre del risveglio come un'azione tutt'altro che traumatica, raccontano solo delle domeniche mattina soleggiate, dove un raggio di sole scappato dalla penombra delle tende ti accarezza il volto, e il tuo ragazzo, rigorosamente nudo, ti riempie di brevi e bagnati baci sulla spalla.

Purtroppo questo era tutt'altro che la verità, la maggiorparte delle volte, di domenica, mi svegliavo per prima - tutta colpa del mio insulto orologio biologico che non mi permetteva di dormire più di sei ore, abitudine tipica delle anziane signore con un disturbo ossessivo compulsivo per la pulizia -. Mi facevo una breve doccia ed andavo a guardare qualche programma mattutino dove trasmettevano fatti di cronaca. Il riccio mi raggiungeva zampettando per il corridoio freddo, a piedi nudi, lanciandosi poi su di me facendomi ridere sguaiatamente. Questo era anche il meglio, per il mio carattere palesemente pudico ed introverso, della convivenza.

Introverso, si, ma attenzione a come lo si interpreta. Esistevano due categorie alla quale appartenevano le persone introverse: la prima era quella dei timidi, aggettivo che avrei piuttosto attribuito ad Ashton, ovvero persone che si estraniavano dal resto del mondo, restii ad esternare i loro sentimenti o le loro opinioni, le gote inffiammate e la voce flebile dall'imbarazzo; e poi c'era la seconda categoria, quella alla quale appartenevo: i riservati.

La mia categoria é sicuramente quella più fraintendibile, oscilla molto tra il "che vuoi?" E il "ma non hai una vita?!", i solitari di indole, idolo il silenzio, parole sussurrate alle orecchie e mai urlate. Forse era proprio quello il mio problema, quello di tenermi troppo dentro le emozioni senza mai voler conoscere dettagli delle vite di chi mi stava intorno.

Di sicuro molte, troppe, persone avevano pensato si trattasse di menefreghismo o disinteresse il fatto che non chiedessi mai come stessero, non dubito a proposito del fatto che avrei potuto incorrere nelle stesse difficoltà se mi fosse capitato di dovermi rapportare con un indiviuduo del genere, ma avevano irrimadiabilmente commesso l'errore di non provare nemmeno ad interpretarmi.

Cercai con la mano la sveglia alla mia destra tastando tutta la superficie del comodino. Trovai prima due perle tonde seguite da una punta sottile ed allungata di un materiale che sembrava molto del nickel: gli orecchini che mi ero tolta la sera prima, poi percepii sotto ai polpastrelli un fazzolettino di carta ancora umidiccio. Feci una smorfia all'idea di aver toccato quello schifo e mi appuntai mentalmente di buttarlo una volta svegliata del tutto; infine trovai quello che stavo, con tanta foga ed impazienza, cercando.
Tastando la superficie premetti il pulsante che fece illuminare la sveglia.

Mi voltai lentamente sperando di non precipitare al suolo, guardando il quadrante illuminato di blu. Erano le otto e cinquantasette. Sbarrai gli occhi incredula, era da anni che non dormivo così a lungo e così profondamente.

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